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Home #Economia

Vetrya: Sagrafena e Tomassini se la cantano e se la suonano. Al Tribunale Fallimentare di Terni l’ardua sentenza

Francesco Paolo Li Donni Francesco Paolo Li Donni
12 Gennaio 2022
in #Economia, Copertina
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Piano piano la breve ma intensa storia del default di Vetrya comincia ad assumere contorni più definiti e anche, se uniti tra loro come i punti ideali di una pista cifrata, utili spunti per studiare e comprendere, per chi dovrà e vorrà farlo, cosa sia realmente accaduto. Il tutto restituendo così il giusto rilievo per un’azienda così importante e blasonata, per i numerosi riconoscimenti internazionali e anche e soprattutto per il prestigioso riconoscimento di Cavaliere del Lavoro attribuito al suo fondatore, Luca Tomassini.

I dati congelati dalla messa in liquidazione e dall’ultimo accordo sindacale sono: circa 39,5 milioni di debiti consolidati nel 2020, 30 esuberi che si aggiungono ai 17 tecnici dimissionari e un futuro incerto per chi ha deciso di proseguire, più o meno una cinquantina di dipendenti. Per chi, come investitori, risparmiatori e fornitori, si trovano accomunati dai debiti accumulati sin qui da Vetrya la sorte dipenderà unicamente dall’esito della liquidazione e del concordato preventivo appena depositato. Per i dipendenti licenziati ci saranno gli ammortizzatori sociali e si spera un rapido reinserimento nel mondo del lavoro. C’è da dire che se un gruppo di dipendenti ha anticipato la sua uscita ricollocandosi altrove, magari anche a condizioni lavorative migliori, altrettanti hanno comunque deciso di restare e continuare a dare fiducia al Cavaliere del lavoro Tomassini e a sua moglie, Katia Sagrafena, neonominato liquidatore del Gruppo.

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Prima di affrontare il nodo gordiano del Concordato preventivo presentato da Tomassini&Co., è necessario fissare alcuni fatti di questa breve storia imprenditoriale soprannominata la Google Italiana.

Il tracollo del Gruppo Vetrya si consuma in due anni, 2019 e 2020 ma manager, politica e molta stampa se ne accorgono solo nel 2021. I numeri, come si dice, sono rivelatori e nel caso di Vetrya debbono rimanere più che mai il punto fermo di ogni analisi lasciando poi spazio a legittimi commenti o interrogativi.

La società Vetrya S.p.A. alla fine del 2019 e quindi prima della crisi determinata dalla Pandemia Covid-19, brucia in un solo anno tutti gli utili sin lì accumulati dal 2016 al 2018, totalizzando 6,8 milioni di perdite. Se ciò non fosse stato sufficiente ad allarmare manager, organi di controllo e osservatori più o meno interessati quanto distratti (sindacati, politici e stampa finanziaria, generalista e locale) sicuramente non poteva passare inosservato il dato preoccupante dei ricavi che letteralmente crollano, passando da circa 60 milioni a poco più di 29. Parallelamente cresce anche l’indebitamento passato da 39 a 41 milioni. Una situazione a dir poco disastrosa che a fronte di un crollo verticale del fatturato vede i debiti crescere e non diminuire. Fin qui, salvo alcune eccezioni, tutto tace. Nel 2020 il tracollo è conclamato con una perdita di 14,7 milioni, ricavi ulteriormente ridotti dai precedenti 29 a poco meno di 24 e debiti ormai consolidati da 41 a 39 milioni di euro.

E’ giusto rammentare che proprio all’inizio del 2019, nell’ambito dell’applicazione del nuovo codice della crisi d’impresa, era appena entrato in vigore il nuovo articolo 2086 del Codice Civile con cui l’imprenditore “ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile… in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa… nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione degli strumenti… per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. L’imprenditore Tomassini, il suo management e gli organi di controllo si attiveranno molto tardivamente e di certo “la natura e la dimensione” aziendale non potevano far mancare questa attenzione per di più in una impresa quotata in Borsa seppure in un mercato di nicchia come l’AIM. Se quindi l’imprenditore poteva essere “distratto” dalle dinamiche della vision aziendale, almeno i suoi manager e organi di controllo dovevano segnalare l’evidente crisi e attivarsi affinché l’imprenditore prendesse i provvedimenti necessari a sventare nel 2019 il concreto rischio di una crisi aziendale poi drammaticamente avveratasi nel 2021.

Sarà solo Ernst&Young in qualità di società di revisione incaricata a segnalare nel bilancio 2020 “dubbi significativi sulla capacità della società di continuare ad operare come un’entità in funzionamento”. Successivamente nel 2021 sarà invece il nominated adviser, EnVent Capital Markets, a dimettersi lamentando “la violazione dei doveri informativi della società nei confronti del nominated adviser”. A questo punto il piglio imprenditoriale del tandem Sagrafena-Tomassini, dall’ottobre del 2021 si risveglia con grande solerzia e il 17 ottobre partecipa alla costituzione di Quibyt srl, l’11 novembre mette in liquidazione Vetrya e nomina liquidatore la signora Sagrafena, socia e consigliere di amministrazione della Holding di controllo, il 17 novembre partecipa alla costituzione di Agic Cloud Srl e il 7 dicembre deposita l’istanza di concordato preventivo con la quale propone un affitto dei due rami di azienda residui del patrimonio Vetrya alle due Newco, Quibyt e Agic Cloud, ciascuna ad un canone di 500,00 euro mese e con una proposta di acquisto per euro 500.000,00 ciascuna e quindi per complessivi 1 milione di euro. Il tutto con una locazione dei locali per 3,5 euro al mq.

Il nodo gordiano che gli organi della procedura concorsuale nominati (commissario giudiziale e ufficio fallimentare del Tribunale di Terni) è presto detto: fermo restando che la procedura attivata dall’istanza presentata da Sagrafena e Tomassini è per definizione finalizzata alla tutela dell’attivo patrimoniale a garanzia dei creditori, è legittimo chiedersi come l’offerta di un milione possa essere considerata in linea con un indebitamento consolidato di circa 40 milioni. In sostanza il tandem Sagrafena-Tomassini propone un decimo del valore degli asset che loro stessi hanno attribuito nell’ultimo bilancio approvato del 2020.

Una domanda e considerazione finale emerge su tutto: se a fronte dei cospicui investimenti fatti negli ultimi anni nell’ordine di alcune decine di milioni oggi viene proposto un valore di acquisto di un solo milione, ci si può chiedere se questi investimenti siano stati sovrastimanti all’acquisto o enormemente sottostimati in fase di proposta concordataria. Inoltre, a sollevare più di qualche dubbio di opportunità è il fatto che una simile proposta sia poi circoscritta, di fatto, alle stesse persone, Sagrafena e Tomassini, che ricoprono ruoli decisionali rilevanti sia in Vetrya in liquidazione che nelle due NewCo che si propongono per l’acquisto dei rami di azienda.

Adesso a decidere sulla proposta di affitto e successivo acquisto dei due rami di azienda, dovrà essere il Tribunale Fallimentare di Terni che, visto quanto appena descritto, non avrà un compito semplice, soprattutto in considerazione del fatto che, il tandem Sagrafena & Tomassini ha chiesto di pronunciarsi entro il 20 gennaio.  Una decisione gravosa e foriera di effetti non marginali da prendere in poco più di 40 giorni, senza considerare che di mezzo ci sono state le festività di fine anno e senza conoscere il contenuto e i termini della proposta di concordato per cui sono stati già concessi 120 giorni dal deposito, come prevede la legge. Ardua sentenza perché il Tribunale dovrebbe decidere, praticamente, a scatola chiusa.

Tags: aimborsa italianacrisi aziendalelavoroquibyttribunale fallimentare ternivetrya
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Francesco Paolo Li Donni

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