Intenso ed emozionante il pomeriggio vissuto alla chiesa di San Domenico, nel ricordo affettuoso del maestro Ciconte.
“Un fiore per la Città”, opera che il laboratorio di scultura dell’Unitre di Orvieto, sotto l’attenta guida di Santo, realizzò nel 2015 per “Orvieto in fiore”, è stato posizionato nella prima campata a destra della chiesa di San Domenico, per iniziativa del “Comitato Cittadino dei Quartieri” e dell’Unitre.
La breve cerimonia, di fronte ad una contingentata presenza di cittadini causa l’attuale pandemia, ha rivelato il rapporto di cuore, ancora intatto, che lega Orvieto al maestro Ciconte, il cui contributo artistico e pedagogico offerto a tutti i livelli della convivenza cittadina non è affatto dimenticato.
Le parole, sentite e commosse, del dott. Armando Fratini, vicepresidente del Comitato Cittadino dei Quartieri, e della dott.ssa Roberta Tardani, sindaco di Orvieto, sono state accompagnate da un breve omaggio musicale della Corale Sant’Andrea e della tromba di Gabriele Anselmi, che ho avuto il piacere di dirigere.
L’Unitre ha vissuto un momento toccante: il manufatto del maestro Ciconte e dei suoi Allievi ha trovato degna e definitiva collocazione. Finalmente.
Che il fiore di Santo rappresenti per tutti testimonianza di Grazia e Bellezza
Ringrazio sentitamente gli amici Leonardo Mariani ed Armando Fratini, per aver voluto riscoprire la luminosa bellezza del Fiore di Santo; don Luca Conticelli, che non ha esitato un attimo nell’accogliere l’opera all’interno della splendida Chiesa di San Domenico; la signora Roberta Tardani, per la delicatezza del suo intervento; il signor Gabriele Anselmi, che ci ha aiutato nell’allestimento generale; gli Allievi del laboratorio Unitre che nel 2015 parteciparono alla realizzazione; in maniera particolare, i familiari del maestro Ciconte, che ci hanno onorato della loro presenza. Abbraccio l’Arch. Raffaele Davanzo, alla cui sensibilità ho chiesto la stesura di una nota tecnico-estetica.
Che il Fiore di Santo rappresenti per tutti testimonianza di Grazia e Bellezza.
L’arte di Santo Ciconte: specchi di luce spirituale, di Raffaele Davanzo
Garbato, gentile, affabile; ma riservato e schivo. Sono le caratteristiche umane di Santo che tutti ricordiamo, e che sottoscrivo anch’io, dato che l’ho frequentato davvero sul campo del lavoro artistico: infatti per vent’anni il suo studio è stato sotto casa mia, ed è lì ancora, con tutti i suoi lavori iniziati, con i suoi progetti, i suoi segreti. Segreti anche di perizia tecnica che gli hanno permesso di raggiungere livelli di finitura che si addicono alla porcellana lucida. Perché lui ha sempre prediletto una realtà filtrata, asciutta e scarna nella ricerca di un’armonia e di una bellezza assolute, dove i sentimenti, le emozioni, i desideri e gli impulsi vengono da segni che, anche se in partenza pensati come tesi e dinamici, sono ricondotti ad una sorta di “pacificazione” di gusto ellenico (e infatti la Magna Grecia calabrese, quella tirrenica del Vibonese, era la sua culla culturale). Per mettere in realtà la sua poetica gli bastavano pochi piani prospettici, da cui è quasi assente il chiaroscuro: e il risultato è un etereo simbolismo, ma non certo quello “dotto” degli scultori neoclassici e neanche quello di quelli post-impressionisti, come Rodin. Il mondo invisibile di Ciconte, quello che leggiamo in filigrana dietro all’immagine nettamente espressa, è costruito su semplificazioni di forme sempre più astratte che tendono ad un’armonia quasi mistica che si esalta nell’estrema levigatezza delle superfici, in una purezza assoluta ed in un’integrità plastica che alludono alla lotta tra l’uomo corporeo e l’uomo spiritualizzato. La sua poetica ha fotografato quindi l’ascesa della forma che si libera, “ellenicamente”, dalla materia plastica per tendere alla semplicità di un geroglifico, al divenire emblematico del trascendente.
Pochi piani, poco chiaroscuro, abbiamo detto: con la penombra Santo ha assolutizzato le sue forme tentando di strapparle dalla schiavitù della materia per condurle in un mondo totalmente interiore. Un’operazione di sintesi tra l’armonia e la bellezza ideali e quelle naturali, che tuttavia non può portare che ad un atteggiamento malinconico, di cosciente accettazione dell’arduo compito di un’arte che, pur in quest’ultimo secolo di astrattismo e di concettualismo, tenta sempre di contrastare la posizione di chi afferma l’inattualità della figurazione naturalistica. Ma chi lo fa o chi lo ha fatto, come appunto Santo Ciconte, ed ha affrontato con animo poetico il realismo della realtà, non può che esaltarne con la sua arte il senso del silenzio, della malinconia, della sofferenza interiore, ma sempre in una continua compenetrazione con la morbida delicatezza del lento scorrere della Vita e del Tempo.
Foto, per gentile concessione, di Paolo Maiotti