Credo che durante l’audizione del 28 Marzo gli orvietani tutti abbiano sperato che la candidatura di Orvieto a Capitale della Cultura 2025 potesse avere esito positivo. Così non è stato, ma nel valutare il progetto non possiamo fermarci al risultato finale. Il processo innescato dall’elaborazione della proposta invece è un’occasione importante di riflessione. La sindaca Tardani, come ho detto un paio di settimane fa, ha dimostrato coraggio, entusiasmo, ed ambizione. Ed anche un po’ di umiltà, mi viene da aggiungere. La candidatura è stata una mossa importante, per Orvieto in primis, e anche per la giunta Tardani, perché forse per la prima volta da quando si è insediata ha messo nero su bianco alcune idee guida sul futuro della città, palesando come si immagina la Rupe ed il suo territorio fra venti anni. Un progetto di crescita e di cambiamento dunque, che non può fare altro che bene. Anche i più convinti oppositori di questa amministrazione, come il sottoscritto, non possono negare l’importanza di questa candidatura. Secondo il mio modo di vedere, per chi ha a cuore le sorti di Orvieto—area interna in via di spopolamento e depauperamento—il dossier “MetaMeraviglia” costituisce una base su cui innestare un confronto sul futuro. Invece di giocare a rimpiattino—al netto delle meschinità che ho letto e sentito in questi giorni—sarebbe il caso che i cittadini orvietani cominciassero a riprendere in mano il loro destino, cercando di costruire quello che manca ad Orvieto per trasformarsi e cambiare in meglio.
Mi ha fatto sorridere (un riso amaro, s’intende) il comunicato con cui il PD ha espresso interesse e sostegno al progetto di candidatura a poche ore dal verdetto. Cari amici del PD vi siete espressi troppo tardi e in modo del tutto acritico: la toppa è stata peggio del buco e trasuda ipocrisia, se non sfacciata inettitudine. Se le cose vanno così così ad Orvieto non è certo solo colpa della giunta di destra, che pure ha i suoi limiti.
Passando alle cose concrete, credo che il miglior modo per dare un contributo al dibattito sia ripartire dalle proposte elaborate durante la fase di progettazione della candidatura. Non ho letto il dossier, ma ho visto l’audizione con attenzione e penso di avere qualche cosa da dire in proposito.
Sulla forma. Mi pare che sulla presentazione del progetto ci siano stati alcuni errori di fondo. Quasi tutte le altre città candidate hanno affidato alla sindaca o al sindaco il compito di illustrare i contenuti del progetto, con l’ausilio di esperti che hanno collaborato o partecipato direttamente alla stesura dei dossier. Orvieto invece si è affidata ai rappresentati della società esterna che ha sostanzialmente organizzato i lavori e sintetizzato i contenuti della proposta. Da una parte questo depone a favore della Sindaca, la quale probabilmente ha capito che serviva qualche competenza che l’amministrazione non poteva fornire. Bene. D’altro canto, quando ho ascoltato i rappresentati della società di consulenza ho pensato che avrebbero potuto fare quella stessa presentazione ritagliata su altre cento cittadine italiane. Il fatto che le professioniste ingaggiate non sono di Orvieto e la conoscono poco si è percepito in modo chiaro, soprattutto durante la parte a domanda e risposta. Riferimenti troppo generici, giri di parole troppo lunghi, concetti nebulosi, mai declinati concretamente attraverso esempi tangibili sulle ricadute sociali, culturali, ed economiche delle iniziative proposte. Il soccorso dei membri del comitato scientifico intervenuti alla presentazione (credo che gli si debba dire grazie) hanno soltanto in parte attenuato la sensazione di astrattezza data dalla descrizione sommaria delle linee guida progettuali. Dire le cose fondamentali con chiarezza in pochissimo tempo non è facile, ci vuole professionalità, preparazione, ed allenamento. Ecco forse qui le cose non sono andate come avrebbero potuto.
Ma andiamo sui contenuti. Finalmente si è sdoganato il termine “immaginazione”. Era ora! Dopo tre lustri di grigio amministrativismo basato sulla gestione dell’esistente (e spesso neanche quella), abbiamo finalmente il coraggio di dire che proviamo a guardare oltre noi stessi, oltre i confini, materiali ed immaginari. Questo bisogna fare. Però al tempo stesso, mi pare che la proposta confezionata dal team che ha lavorato al dossier sia troppo sbilanciata sulle attività culturali-turistiche, che non fanno i conti con la realtà di Orvieto. Volare alto si, immaginare si, ma come tenere insieme le tante comunità che ormai vivono e risiedono ad Orvieto, garantendo un futuro a chi non ha ambizioni di diventare poeta, cineasta, pittore/pittrice, musicista, ballerina/o, e via dicendo? Può il futuro di Orvieto reggersi soltanto sulla creazione di laboratori aperti permanenti mentre le infrastrutture vanno in rovina, negozi ed attività che hanno fatto la storia di Orvieto hanno chiuso i battenti, la sanità conosce una crisi profonda che sembra non trovare risposte, e la caserma Piave giace alle intemperie da trent’anni? Già la Piave! Non so se nel dossier viene menzionata, ma durante l’audizione neanche una parola è stata spesa su uno spazio che da problema dovrebbe trasformarsi in risorsa straordinaria! Ammetto che sono rimasto sorpreso. Spoleto invece—al suo terzo tentativo di diventare Capitale della Cultura—aveva ben confezionato una serie di proposte per il riutilizzo di beni immobili strategici. Il sindaco Spoletino, lo confesso, ha strappato il mio applauso quando ha detto che “la sola cultura non basta” riferendosi evidentemente al fatto che senza un’ossatura imprenditoriale solida, senza servizi fondamentali, senza infrastrutture, e senza il coinvolgimento di tutto il territorio (campagne, periferie, etc.) il tessuto sociale non regge. Mi pare che il problema della sostenibilità del progetto oltre l’anno celebrativo sia stato uno dei criteri chiave per l’assegnazione del titolo. Ecco allora la domanda: immaginiamo che Orvieto possa diventare la sede di attività culturali che coinvolgano le giovani generazioni; come facciamo a tenere insieme tradizione ed innovazione? Come si crea impresa? Come si tutela la salute dei cittadini e dell’ambiente? Se mancano risposte a queste domande fondamentali la MetaMeraviglia diventa una fuga dalla realtà e non un suo superamento attraverso il cambiamento.
Chi risiede ad Orvieto in una posizione privilegiata, mi si perdoni il riferimento prosaico, può andare benissimo a fare una visita specialistica negli istituti privati migliori e spesso non si accorge delle tribolazioni dei cittadini comuni che purtroppo hanno a che fare con problemi meno “alti”. Se sconfiniamo ma non ci portiamo appresso anche coloro che sono rimasti indietro o che semplicemente non hanno interesse a sconfinare non possiamo andare lontano. La sindaca ha ripetuto più volte—anche durante l’audizione—che Orvieto ha già tutto, ma bisogna cambiare la narrazione, il modo di dire ciò che siamo. Ma come non accorgersi che Orvieto, quello che siamo, è cambiato in modo drastico negli ultimi decenni? Possiamo aggrapparci ai simboli, certo, ma non basta. Non è un problema di marketing e comunicazione il nostro, ma di sostanza. Se non lo capiamo, e se non partiamo dalle risposte da dare a chi questi cambiamenti li ha subiti e non si ritrova più nella comunità di appartenenza, allora non possiamo creare le condizioni per cambiare in meglio, per far tornare i giovani a vivere il territorio perseguendo le loro passioni e le loro ambizioni, tutte. Ripartiamo da qui, dunque, cercando di includere le voci che finora sono rimaste assenti. Il lavoro fatto non va buttato via, anzi costituisce una base finalmente solida su cui iniziare a confrontarsi sul futuro della città e di tutto il suo territorio.