Alla conferenza dei capigruppo si è discusso di Fondazione Faina con il presidente Daniele Di Loreto. Ne sono emersi spunti piuttosto interessanti che non possono essere lasciati in disparte soprattutto in un periodo particolare come quello attuale.
E’ preciso dovere di ogni amministratore di un Ente pubblico gestire le finanze come un buon padre di famiglia. Per farlo deve essere messo nelle condizioni e soprattutto essere indipendente. Può succedere, infatti, che gli interessi dell’Ente, che poi dovrebbero essere quelli della collettività, siano sacrificati per i contrasti sul piano politico. Scadono i mandanti e non vengono rinnovati gli amministratori pur meritevoli oppure vengono sostituiti perché considerati “scomodi”. Non c’è bisogno di andare troppo lontani perché a Orvieto sta succedendo proprio in questi giorni. E’ un segreto di Pulcinella quello dei dissapori tra sindaca e presidente Di Loreto. Eppure la relazione ha presentato un conto economico in ordine, prospettive ancora positive nel medio periodo, una difficile negoziazione con l’Archivio di Stato conclusa favorevolmente con un canone allineato ai prezzi di mercato, museo messo in sicurezza con un impianto anti-incendio, azienda agricola in utile e ben gestita. Non importa, il Presidente va sostituito comunque.
Sono state poi evidenziate anche le criticità, che sono concentrate tutte nel patrimonio immobiliare, in gran parte impossibile da mettere a reddito.
E questa è la grande questione. Una fondazione culturale pubblica deve mantenere il patrimonio immobiliare a tutti i costi anche se ciò compromette l’obiettivo statutario? A partire dagli anni ’50 l’investimento immobiliare è stato considerato fra i più certi e stabili in Italia. Dal 1999 anno della cosiddetta Legge Amato sulle fondazioni di origine bancaria molto è cambiato. Questi Enti hanno scelto, laddove presenti, di dismettere gli immobili, con esclusione della sede, e investire in fondi e/o partecipazioni azionarie. La stessa strada l’ha intrapresa la CEI, forse il principale proprietario immobiliare con le diocesi, che sta dismettendo una buona fetta di patrimonio immobiliare sia per effettuare lavori e ristrutturazioni nei luoghi di culto, sia per diversificare gli investimenti. Ha ancora valore dunque, difendere immobili da ristrutturare per poi metterli sul mercato delle locazioni?
Che oggi non sia più una buona soluzione lo dicono anche gli economisti. Investire in grandi aziende o nei tradizionali titoli di Stato è oggi più conveniente rispetto agli immobili. Quelli della Fondazione Faina, poi, sono da ristrutturare con costi altissimi che non può certamente affrontare il Comune, proprietario dell’intero patrimonio. E’ invece almeno strano che non si sia proceduto al “bundle” tra Pozzo e Museo con un biglietto unico. Da una parte si pubblicizza la “Carta Unica”, dall’altra non si procede con l’unione in casa. Tra l’altro in consiglio di amministrazione, dove sono presenti sindaca e due consiglieri in rappresentanza del consiglio comunale, si è discusso e si è approvata la proposta. Ma c’era la sindaca? E allora perché poi si è bloccato tutto? Non era un mero ritiro “bancomat” come detto da uno dei Capigruppo ma un aumento dell’offerta culturale con l’abbinamento di due siti e del relativo biglietto di ingresso. Nel 2019 il Pozzo ha registrato 212 mila ingressi pari, con l’abbinamento al Museo Faina sarebbero entrati nelle casse della Fondazione 212.000 euro. Potenziali incassi ancora più alti nel 2022 con 247.955 ingressi pari alla stessa cifra in euro.
E’ quindi ancora più incomprensibile la scelta di non procedere anche alla luce della volontà, non possiamo giudicare quanto valida, di sistemare il patrimonio immobiliare della Fondazione nel centro storico di Orvieto. Questi soldi potevano essere utilizzati per incrementare l’offerta culturale della città, per intervenire e finanziare le attività, ad esempio, del Centro Studi, sempre con il fiato corto dal punto di vista finanziario. Con il biglietto unico, poi, anche insieme alla Torre del Moro, si poteva creare un circuito museale del Comune da offrire ai visitatori oltre alla Carta Unica, al Duomo e relativo museo, all’Undergound, al Pozzo della Cava, al Labirinto di Adriano ai Sotterranei della Chiesa di Sant’Andrea; un vero e proprio cartello culturale per il turista che sceglie Orvieto per più giorni, invitandolo a prolungare la permanenza in città.
Cambiano i tempi e cambiano anche le scelte, i progetti, il marketing di una città. Mettere gli immobili sul mercato potrebbe anche normalizzare i prezzi medi di case e negozi, sparametrati attualmente dalla realtà economica di privati e attività, anche questo è un obiettivo della politica, rendere più conveniente la vita quotidiana dei suoi cittadini. E le eredità servono per garantire l’obiettivo primario, non per mantenere i beni a tutti i costi, anche se questo dovesse significare cedere il bene primario allo Stato, una nuova sconfitta che la città non può permettersi.