1

I sogni infranti di un piccolo azionista Vetrya, “poca competenza e capacità di diversificare dopo la stretta sui VAS”

Il futuro prossimo in via dell’Innovazione non è ancora certissimo ma intanto iniziano a muoversi coloro che hanno più da perdere e che hanno già perso molto con Vetrya e cioè i risparmiatori, i piccoli azionisti.  All’inizio della lunga cronistoria dell’azienda di Bardano sentimmo il SITI, il sindacato che tutela i risparmiatori che avevano annunciato di aver acceso un faro sull’intera questione iniziando a raccogliere informazioni e adesioni da parte proprio dei risparmiatori per una possibile, nel caso in cui ce ne saranno i termini, azione collettiva, una class action. 

Nei vari forum si discute animatamente della questione e dei protagonisti, Tomassini e Sagrafena, ma fino a ora le bocche sono rimaste piuttosto cucite.  Sono di poche parole i sindacati, i lavoratori, i collaboratori, i creditori ma nel muro di gomma ecco la prima crepa.  Il piccolo azionista Giacinto Consorti, 34 anni e una laurea in economia e finanza.  Al telefono ci tiene a sottolineare di essere una persona normalissima che investe i frutti del suo lavoro.  “Non sono figlio di papà e non ho grandi disponibilità”, continua Consorti che poi inizia a parlare come un fiume in piena della sua personale esperienza con il titolo quotato all’AIM, Vetrya. 

Perché ha scelto il titolo Vetrya?

Vetrya è stato uno dei miei primi investimenti.  Ho iniziato a seguirli 6 mesi circa dopo la loro quotazione.  Personalmente cercavo di diversificare il portafoglio, come quasi tutti facciamo per livellare verso il basso il rischio, e soprattutto cercavo un titolo legato al settore tecnologico.  Chiaramente ho analizzato i numeri che allora erano piuttosto buoni.

Posso farle una domanda un po’ indiscreta, quante azioni e quanto ha investito in Vetrya?

Dopo aver fatto tutte le valutazioni ho acquistato il primo lotto da 245 azioni a circa 6,40 euro pari a circa 1570 euro.  Continuando a monitorare il titolo ho avuto occasione di vendere in guadagno a poco più di 7 auro, ma non l’ho fatto.  Il resto è più recente.  Quando il titolo scende si prova ad abbassare l’esposizione, ma ora ho imparato la lezione, e così ho acquistato un altro lotto minimo intorno ai 5 euro e un terzo con il titolo sotto i 3 euro.  In totale ho investito poco più di 3700 euro.

Ma quando è cambiato tutto?

Sicuramente nel 2019, il primo anno con un bilancio in perdita.  Se mi devo dare una colpa è quella di non aver seguito con attenzione massima il titolo ma noi “pesci piccoli” non facciamo trading di mestiere e quindi non sempre siamo pronti a reagire in tempi strettissimi.  Gli azionisti di riferimento e manager di Vetrya, poi, si presentavano e proponevano come la risposta italiana alla Silicon Valley, ma in realtà il vero core business erano i VAS, i servizi a valore aggiunto, solo questo e nel 2019, con le nuove e stringenti regole per il comparto, di fatto si è fermata l’azienda.  A quel punto non mi è rimasto altro da fare che ridurre la mia posizione.  Era il campanello d’allarme che ho ascoltato solo parzialmente.  Per mia abitudine, infatti, una posizione cerco di gestirla fino in fondo e Vetrya non ha fatto eccezione, almeno per un primo periodo.  Ora ho un lotto di 245 azioni che ho tenuto per avere il diritto di guardarmi lo spettacolo in prima fila.

Torniamo però a Vetrya e all’analisi del titolo.  Dopo il periodo “VAS” l’azienda ha diversificato e ha chiesto al mercato nuove risorse…

Certamente, ha spinto sul cloud ma per competere servono persone e risorse finanziarie visto che la concorrenza è grandissima a livello mondiale.  Alla fine, devo ammettere che c’è stata poca competenza nella gestione tecnica e dal punto di vista finanziario le risorse erano presenti ma il ricorso agli aumenti di capitale è stato per cifre veramente irrisorie e non hanno inciso sui bilanci, come poi si è dimostrato.  Nell’ultimo aumento hanno convinto il fondo ATLAS e grazie a quest’intervento hanno ottenuto, così come previsto dalle regole, anche soldi da Invitalia, soldi pubblici, quindi di tutti noi, ma il risultato finale non è stato positivo, assolutamente.  Chiaramente ho iniziato a pormi delle domande generali sui reali motivi di questa discesa senza fine.  La fiducia nei confronti di chi ha gestito l’azienda non c’è più e allora mi sono chiesto, “che stipendio si sono dati?”.  A questa domanda non sono riuscito a trovare una risposta (dai bilanci si evince l’aumento della voce emolumenti anche in piena crisi e in presenza di una diminuzione degli addetti ma non c’è una divisione per ruoli o di altri tipo ndr).

E ora?

Ora spero che vengano tutelate quelle categorie che ci rimettono di più e cioè, prima di tutto i dipendenti, e personalmente non comprendo come facciano alcuni a avere ancora fiducia piena negli azionisti di controllo, i fornitori e i tanti piccoli azionisti come me, e siamo tantissimi, che hanno avuto fiducia nel titolo e nella politica aziendale, nelle parole di chi aveva responsabilità di gestione.  E’ altrettanto vero che chi investe se ne assume il rischio ma in questo caso mi sento di dire che il primo responsabile è chi ha guidato Vetrya. Per tutelarmi ho già scritto al SITI e attendo una loro risposta.  Per ora non posso che ringraziarvi per l’informazione che ci avete offerto, trasparente, basata sui numeri.  Chiudo con il mio personale umilissimo pensiero, qualcosa poteva essere fatta ma ora è sicuramente tardi e chi ha avuto responsabilità, il fondatore e signora, hanno anche ottenuto soldi pubblici, di tutti quindi, ecco perché si deve controllare bene.  Se poi gli organi di controllo preposti non troveranno nulla allora torniamo all’assunzione del rischio da parte di chi investe.




“Il mea culpa digitale” di Sagrafena-Tomassini e Vetrya ritrova le “sue” Eclexia e Vilast, per ora

E’ proprio vero quando si dice che ”la notte porta consiglio”. Nel caso di Vetrya e Quibyt la notte ha portato più di un consiglio, così a poche ore dall’uscita dell’articolo “Quibyt e la sicumera di Sagrafena e Tomasini che rischia di nuocere a Vetrya” una “manina più responsabile” magari facendo un “mea culpa digitale” mette una pezza alle storture evidenziate da OrvietoLife sulla vicenda del concordato Vetrya. In particolare nel “footer” del sito www.vilast.it il copyright non è più riferito a Quibyt bensì torna ad essere attribuito alla legittima proprietaria, ossia Vetrya. Per il sito www.eclexia.it invece il dominio torna a vivere con una stringata homepage, a differenza dei giorni precedenti dove risultava spenta. Anche nel sito www.silicondev.it nella sezione “Il Gruppo Silicondev” alla voce Quibyt è stata cancellata la frase che abbiamo riportato nel precedente articolo in cui si affermava come Quibyt avesse ereditato importanti soluzioni e rapporti commerciali riferibili a Vetrya. Allo stesso modo sempre nel sito www.silicondev.it nella sezione “Soluzioni” è stata cancellato il riferimento ad Eclexia Vilast in quel caso espressamente attribuita a Quibyt.

Evidenze che OrvietoLife ha prontamente riscontrato e che oggi, evidentemente alla luce del nostro articolo, hanno forse convinto la coppia Sagrafena-Tomassini ad una più saggia retromarcia, confidando e sperando, come è legittimo che sia per i fondatori di Vetrya, che il giudice fallimentare dia domani (20 gennaio ndr) il suo semaforo verde all’affitto dei rami d’azienda Vetrya a Quibyt e Agitec Cloud. Per tutto il resto rimane difficile comprendere perché il giudice fallimentare dovrebbe proprio il 20 gennaio, con largo anticipo sullo scadere dei 120 giorni concessi per motivargli nel merito e nella quantità i termini per pagare i 39 milioni di debiti consolidati in Vetrya,  affittare e poi cedere alle condizioni poste da Sagrafena e Tomassini i due rami di azienda rimasti a Quibyt e Agiitec Cloud.

La migliore garanzia dei creditori rimasti, dopo il default Vetrya, letteralmente con il fiammifero in mano è rappresentata da una proposta concordataria capace di alleviarne le pene e soprattutto la possibilità di poter avere più offerte e tutti gli asset aziendali liberi da qualsiasi vincolo per recuperare il più possibile nell’ipotesi estrema del fallimento. Di certo l’affitto dei rami d’azienda a pochi euro, quanto la risibile offerta di acquisto ad un milione non rappresentano un percorso credibile per i creditori.




Quibyt e la sicumera digitale di Sagrafena e Tomassini che potrebbe nuocere a Vetrya

Al 20 gennaio mancano poco meno di 48 ore. Questa è la data che Katia Sagrafena e Luca Tomassini, rispettivamente liquidatore e socio controllante tramite la Holding Alglaia di Vetrya S.p.A., hanno individuato come termine da loro proposto al giudice fallimentare di Terni per accettare il loro progetto di affitto dei rami d’azienda di Vetrya a Quibyt e a Agitec Cloud. La proposta è stata fatta all’interno di una più ampia istanza di Concordato preventivo per la quale, come previsto dalla legge, sono stati concessi 120 giorni di tempo per essere argomentata al Giudice nei termini operativi e quantitativi. Come documentato nel precedente articolo “Vetrya: Sagrafena e Tomassini se la cantano e se la suonano. Al Tribunale Fallimentare di Terni l’ardua sentenza” una simile proposta, oltre che inadeguata in soldoni per garantire la sorte dei creditori che, ricordiamo, sono i primi soggetti a dover essere garantiti dalla procedura concorsuale, potrebbe rappresentare una forzatura non da poco.   Il giudice fallimentare, infatti, si troverebbe così a dover accettare il prossimo 20 gennaio, una proposta di affitto per poche centinaia di euro al mese con successivo acquisto alla imbarazzante cifra complessiva di 1 milione di euro a fronte di 39 milioni di debiti consolidati per i quali, invece, il dettaglio della proposta di rimborso dei debiti (la vera proposta concordataria) verrà presentata allo scadere dei 120 giorni, presumibilmente a fine febbraio o primi di marzo. Così facendo il giudice dovrebbe valutare l’eventuale affitto e cessione dei due rami d’azienda a scatola chiusa. Con il rischio che, una volta trascorsi i 120 giorni e finalmente conosciuti i termini del Concordato, per garantire la copertura dei debiti e quindi la sorte dei creditori, se questa proposta dovesse essere giudicata inadeguata e quindi rigettata, si aprirebbe, con tutta probabilità, la strada al fallimento di Vetrya. A questo punto però, l’eventuale curatore fallimentare, oltre alla mole dei debiti, alla voce attivi non avrebbe più la disponibilità dei rami d’azienda ceduti con la proposta di affitto e impegno alla successiva cessione, eventualmente accettata il 20 gennaio prossimo.

Se tutto ciò non bastasse come rischio per scongiurare l’ipotesi del 20 gennaio, nello stesso articolo si sollevavano anche banali quanto evidenti obiezioni di opportunità per una simile determina degli organi del concordato, visto che la cedente Vetrya è detenuta da Luca Tomassini (attraverso la Holding Aglaia) e gestita dal liquidatore Katia Sagrafena, entrambi presenti a vario titolo nella compagine sociale e negli organismi di controllo delle due società acquirenti (Quibyt e Agitec Cloud).  Che da parte della coppia Sagrafena-Tomassini vi sia una premeditata quanto interessata voglia di “forzare” l’istanza di Concordato nella direzione di una continuità aziendale nelle due NewCo individuate per l’affitto e il successivo acquisto dei due rami d’azienda di Vetrya è dimostrato da numerosi fatti presto detti.

Se l’istanza di concordato preventivo per Vetrya viene presentata il 7 dicembre scorso a seguito della decisione di liquidazione della società da parte del suo Consiglio di amministrazione e successivamente dall’Assemblea degli azionisti il 15 novembre 2021, le due NewCo Quibyt e Agitec Cloud vengono rispettivamente costituite il 17 ottobre e il 17 novembre, quindi in anticipo e subito dopo la liquidazione di Vetrya. Già in questa fase va rilevato il fatto che per Quibyt Srl la sede legale viene mantenuta nell’attuale sede di Vetrya ad Orvieto. Fin qui la logica premeditata asseconda e accarezza l’ipotesi di una continuità aziendale di Vetrya nelle due NewCo. Riprova ne è anche il fatto che lo stesso Tomassini, patron di Vetrya, al Festival del Futuro partecipa il 19 novembre scorso come relatore sul tema “Verso nuovi modelli di lavoro tra fisco e digitale” presentandosi come Presidente e AD della neo costituita Quibyt.

In seguito però, soprattutto perché in presenza di una istanza concordataria e quindi sub iudice, la coppia Sagrafena-Tomassini mostra una spiccata sicumera rispetto all’esito stesso della loro proposta di affitto e acquisto contenuta all’interno dell’Istanza fatta al Tribunale fallimentare di Terni. In particolare, il liquidatore di Vetrya, Katia Sagrafena, sembra operare come se già tutto fosse avallato da un parere favorevole del giudice, atteso invece per il prossimo 20 gennaio.   All’interno della sede di Vetrya, infatti, sulla parete dell’atrio, come documentato in una fotografia, campeggerebbe il logo Quibyt, lo sembrerebbe accadere per l’esterno della sede Vetrya, in una fotografia che il suo liquidatore Sagrafena

posta sulla pagina Google dedicata all’azienda Quibyt .

La questione poi si fa ancor più grave allorché piattaforme e marchi (Eclexia e Vilast) di Vetrya

passano senza colpo ferire sotto ‘l’Egida” di Quibyt, dove nell’Homepage del sito spicca la scritta “Stiamo arrivando, gennaio 2022”. Nel mentre il proprietario di Vetrya, Luca Tomassini, è già proiettato al futuro e chiude nuovi accordi societari. E’ il caso di SiliconDev un modello a rete di imprese legate alla trasformazione digitale come Quibyt per cui viene testualmente scritto sul sito di SiliconDev che “Quibyt eredita collaborazioni di successo con le più importanti industrie, operatori di telecomunicazioni, media company, editori, broadcaster, banche, utilities, organizzazioni sportive… fornendo le migliori soluzioni digitali ai clienti Fortune 500”. Quali soluzioni? Ererditate da chi? Quelle di Vetrya? Altrimenti di chi, se lo startup di Quibyt è appena iniziato lo scorso 17 ottobre 2021?  Tutto dovrebbe porre alcune questioni e interrogativi circa l’esito e il prosieguo dell’eventuale Concordato preventivo di Vetrya.

E’ corretto che in attesa del parere del giudice fallimentare il liquidatore, ancorché socio e amministratore di Quibyt e Agitec Cloud, possa disporre liberamente degli asset societari di Vetrya e così forse anche dei dipendenti ancora in forza alla Google italiana, dando per scontato l’esito positivo per la proposta di affitto e acquisto da parte di Quibyt e Agitec Cloud? Per completezza d’informazione è giusto ricordare che la continuità aziendale il liquidatore dovrebbe comunque garantirla in Vetrya proprio con il personale rimasto ancora in forza, magari permettendo al giudice di conoscere le reali possibilità di compensazione dei debiti accumulati e garantendo il più possibile i creditori. Inoltre, in questo modo il giudice potrebbe garantirsi anche la possibilità di esaminare, con più tempo e proposte dettagliate, anche eventuali nuovi potenziali acquirenti capaci di rilanciare Vetrya.

Alla luce di queste valutazioni la “sicumera digitale” della coppia Sagrafena-Tomassini potrebbe non essere il miglior viatico per un giusto vaglio e soluzione della vicenda Vetrya.




Vetrya: Sagrafena e Tomassini se la cantano e se la suonano. Al Tribunale Fallimentare di Terni l’ardua sentenza

Piano piano la breve ma intensa storia del default di Vetrya comincia ad assumere contorni più definiti e anche, se uniti tra loro come i punti ideali di una pista cifrata, utili spunti per studiare e comprendere, per chi dovrà e vorrà farlo, cosa sia realmente accaduto. Il tutto restituendo così il giusto rilievo per un’azienda così importante e blasonata, per i numerosi riconoscimenti internazionali e anche e soprattutto per il prestigioso riconoscimento di Cavaliere del Lavoro attribuito al suo fondatore, Luca Tomassini.

I dati congelati dalla messa in liquidazione e dall’ultimo accordo sindacale sono: circa 39,5 milioni di debiti consolidati nel 2020, 30 esuberi che si aggiungono ai 17 tecnici dimissionari e un futuro incerto per chi ha deciso di proseguire, più o meno una cinquantina di dipendenti. Per chi, come investitori, risparmiatori e fornitori, si trovano accomunati dai debiti accumulati sin qui da Vetrya la sorte dipenderà unicamente dall’esito della liquidazione e del concordato preventivo appena depositato. Per i dipendenti licenziati ci saranno gli ammortizzatori sociali e si spera un rapido reinserimento nel mondo del lavoro. C’è da dire che se un gruppo di dipendenti ha anticipato la sua uscita ricollocandosi altrove, magari anche a condizioni lavorative migliori, altrettanti hanno comunque deciso di restare e continuare a dare fiducia al Cavaliere del lavoro Tomassini e a sua moglie, Katia Sagrafena, neonominato liquidatore del Gruppo.

Prima di affrontare il nodo gordiano del Concordato preventivo presentato da Tomassini&Co., è necessario fissare alcuni fatti di questa breve storia imprenditoriale soprannominata la Google Italiana.

Il tracollo del Gruppo Vetrya si consuma in due anni, 2019 e 2020 ma manager, politica e molta stampa se ne accorgono solo nel 2021. I numeri, come si dice, sono rivelatori e nel caso di Vetrya debbono rimanere più che mai il punto fermo di ogni analisi lasciando poi spazio a legittimi commenti o interrogativi.

La società Vetrya S.p.A. alla fine del 2019 e quindi prima della crisi determinata dalla Pandemia Covid-19, brucia in un solo anno tutti gli utili sin lì accumulati dal 2016 al 2018, totalizzando 6,8 milioni di perdite. Se ciò non fosse stato sufficiente ad allarmare manager, organi di controllo e osservatori più o meno interessati quanto distratti (sindacati, politici e stampa finanziaria, generalista e locale) sicuramente non poteva passare inosservato il dato preoccupante dei ricavi che letteralmente crollano, passando da circa 60 milioni a poco più di 29. Parallelamente cresce anche l’indebitamento passato da 39 a 41 milioni. Una situazione a dir poco disastrosa che a fronte di un crollo verticale del fatturato vede i debiti crescere e non diminuire. Fin qui, salvo alcune eccezioni, tutto tace. Nel 2020 il tracollo è conclamato con una perdita di 14,7 milioni, ricavi ulteriormente ridotti dai precedenti 29 a poco meno di 24 e debiti ormai consolidati da 41 a 39 milioni di euro.

E’ giusto rammentare che proprio all’inizio del 2019, nell’ambito dell’applicazione del nuovo codice della crisi d’impresa, era appena entrato in vigore il nuovo articolo 2086 del Codice Civile con cui l’imprenditore “ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile… in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa… nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione degli strumenti… per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. L’imprenditore Tomassini, il suo management e gli organi di controllo si attiveranno molto tardivamente e di certo “la natura e la dimensione” aziendale non potevano far mancare questa attenzione per di più in una impresa quotata in Borsa seppure in un mercato di nicchia come l’AIM. Se quindi l’imprenditore poteva essere “distratto” dalle dinamiche della vision aziendale, almeno i suoi manager e organi di controllo dovevano segnalare l’evidente crisi e attivarsi affinché l’imprenditore prendesse i provvedimenti necessari a sventare nel 2019 il concreto rischio di una crisi aziendale poi drammaticamente avveratasi nel 2021.

Sarà solo Ernst&Young in qualità di società di revisione incaricata a segnalare nel bilancio 2020 “dubbi significativi sulla capacità della società di continuare ad operare come un’entità in funzionamento”. Successivamente nel 2021 sarà invece il nominated adviser, EnVent Capital Markets, a dimettersi lamentando “la violazione dei doveri informativi della società nei confronti del nominated adviser”. A questo punto il piglio imprenditoriale del tandem Sagrafena-Tomassini, dall’ottobre del 2021 si risveglia con grande solerzia e il 17 ottobre partecipa alla costituzione di Quibyt srl, l’11 novembre mette in liquidazione Vetrya e nomina liquidatore la signora Sagrafena, socia e consigliere di amministrazione della Holding di controllo, il 17 novembre partecipa alla costituzione di Agic Cloud Srl e il 7 dicembre deposita l’istanza di concordato preventivo con la quale propone un affitto dei due rami di azienda residui del patrimonio Vetrya alle due Newco, Quibyt e Agic Cloud, ciascuna ad un canone di 500,00 euro mese e con una proposta di acquisto per euro 500.000,00 ciascuna e quindi per complessivi 1 milione di euro. Il tutto con una locazione dei locali per 3,5 euro al mq.

Il nodo gordiano che gli organi della procedura concorsuale nominati (commissario giudiziale e ufficio fallimentare del Tribunale di Terni) è presto detto: fermo restando che la procedura attivata dall’istanza presentata da Sagrafena e Tomassini è per definizione finalizzata alla tutela dell’attivo patrimoniale a garanzia dei creditori, è legittimo chiedersi come l’offerta di un milione possa essere considerata in linea con un indebitamento consolidato di circa 40 milioni. In sostanza il tandem Sagrafena-Tomassini propone un decimo del valore degli asset che loro stessi hanno attribuito nell’ultimo bilancio approvato del 2020.

Una domanda e considerazione finale emerge su tutto: se a fronte dei cospicui investimenti fatti negli ultimi anni nell’ordine di alcune decine di milioni oggi viene proposto un valore di acquisto di un solo milione, ci si può chiedere se questi investimenti siano stati sovrastimanti all’acquisto o enormemente sottostimati in fase di proposta concordataria. Inoltre, a sollevare più di qualche dubbio di opportunità è il fatto che una simile proposta sia poi circoscritta, di fatto, alle stesse persone, Sagrafena e Tomassini, che ricoprono ruoli decisionali rilevanti sia in Vetrya in liquidazione che nelle due NewCo che si propongono per l’acquisto dei rami di azienda.

Adesso a decidere sulla proposta di affitto e successivo acquisto dei due rami di azienda, dovrà essere il Tribunale Fallimentare di Terni che, visto quanto appena descritto, non avrà un compito semplice, soprattutto in considerazione del fatto che, il tandem Sagrafena & Tomassini ha chiesto di pronunciarsi entro il 20 gennaio.  Una decisione gravosa e foriera di effetti non marginali da prendere in poco più di 40 giorni, senza considerare che di mezzo ci sono state le festività di fine anno e senza conoscere il contenuto e i termini della proposta di concordato per cui sono stati già concessi 120 giorni dal deposito, come prevede la legge. Ardua sentenza perché il Tribunale dovrebbe decidere, praticamente, a scatola chiusa.