Ha segnato un punto decisivo, nella valutazione del comportamento dei mass media verso ogni forma di discriminazione, il seminario che si è tenuto recentemente nella sede della Fondazione Museo della Shoah a Roma. L’iniziativa era destinata ai giornalisti con il titolo “85 anni dalle leggi razziali: lotta all’antisemitismo nei media italiani“. Nel corso della giornata di studi, accolti da Alon Bar ,ambasciatore di Israele in Italia, e da Mario Venezia, Presidente della Fondazione Museo della Shoah, si sono alternate figure di spicco del giornalismo e delle istituzioni italiane, a partire dal Ministro Gennaro Sangiuliano, che ha ricordato quanto la cultura ebraica sia tuttora indispensabile fattore di crescita e di arricchimento del sapere italiano. Preziosi gli interventi della editorialisti e opinionisti su antisemitismo ed antisionismo, degli storici Amedeo Osti Guerrazzi ed Enrico Serventi Longhi in rappresentanza della Fondazione Murialdi sul significato e gli effetti delle Leggi Razziali (o per meglio dire razziste) del 1938 , che sono stati il prologo per le analisi del dottor Stefano Gatti del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e del prefetto Giuseppe Pecoraro, coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo sulla situazione attuale riguardo l’odio antiebraico ed il razzismo tout court.
Il quadro che hanno tracciato non è certo idilliaco per il nostro paese. Una importante lente di ingrandimento poi, su come gli organi di informazione ed il sistema mediatico in Italia spesso sorvolino o non diano il dovuto risalto ad atti ed atteggiamenti antisemiti e discriminatori, nella società e perfino nello sport, è stata prospettata nel corso degli interventi successivi. Momento chiave fondamentale e conclusivo della mattinata di studi è stata la adozione da parte dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, con il suo Presidente Carlo Bartoli e dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio, Guido D’Ubaldo, assieme alla Fondazione Murialdi, della definizione di antisemitismo dell’IHRA, con la firma del documento redatto dall’International Holocaust Remembrance Alliance a Budapest nel 2016, dove le nazioni aderenti redassero ed approvarono questo testo: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei.Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei e non ebrei e/o alle loro proprietà ,verso istituzioni militari ebraiche ed edifici utilizzati per il culto”. Non è giuridicamente vincolante ma la definizione dei perimetri e dei confini dell’antisemitismo e dell’antisionismo permette di offrire al legislatore uno strumento fondamentale di comprensione del fenomeno . Ed e’molto importante che gli ordini dei giornalisti la abbiano fatta propria. Da come trasmettiamo e veicoliamo le notizie può e deve iniziare la lotta all’odio antiebraico ed alle discriminazioni dì qualsiasi genere e natura.
Il fulcro di questa iniziativa diviene quindi proprio questa firma degli ordini professionali che rappresentano giornalisti, editori e media e che In questa maniera si fanno carico di divulgare ai propri iscritti, soprattutto ai giovani che si stanno formando nelle scuole di giornalismo, l’idea che le parole possono diventare pietre se usate in maniera scorretta. Dando seguito così ai buoni propositi della Carta di Assisi, adottata dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana contro i muri mediatici e le parole d’odio, promulgata nel gennaio 2020, perché questa non rappresenti solamente una benefica mozione di intenti ma venga applicata quotidianamente e costantemente da chi ha il privilegio di poter divulgare idee e concetti attraverso i media.
Il passo successivo a queste manifestazioni di principi potrebbe essere quello di istituire un osservatorio permanente che veda le associazioni stesse garanti e vigili del rispetto di queste norme ,perché soprattutto le giovani leve apprendano fin dall’inizio della professione la grande responsabilità di cui si fanno carico ed allo stesso tempo comprendano fin dagli albori del mestiere che ci sono regole da seguire e da rispettare.
Come la Carta si è sviluppata dal basso, dagli operatori del mediatico, alla stessa stregua dovrebbe partire dagli Ordini il rispetto di questa importante firma ed adozione, perché il testo dell’IHRA diventi, per sillogismo, un vademecum da utilizzare anche per la lotta ad ogni forma di razzismo, discriminazione e xenofobia, perché ci si renda conto ad esempio che parlare di “sostituzione etnica”rischia di divenire uno strumento pericoloso da utilizzare ed offre una sponda, più o meno consapevole, ai movimenti suprematisti bianchi e che allo stesso tempo allertare dall’ altoparlante di una stazione di una metropolitana romana i viaggiatori, potenziali vittime dei borseggiatori, agitando lo spettro della presenza degli “zingari”, non fa che alimentare odio e pregiudizio.
Il ruolo dei media e dei comunicatori nel diffondere notizie ed alimentare narrative diviene così delicato e fondamentale ,proprio perché si creino nella società e nella opinione pubblica gli anticorpi necessari a combattere quel virus latente, sempre presente e mai sopito che è il razzismo ,con l’antisemitismo ad esserne costantemente portabandiera ideale.
La salute di una democrazia e di una società si misurano molto spesso dal livello di odio antiebraico presente nelle stesse e la categoria dei giornalisti può e deve fare molto perché non si oltrepassino i limiti di guardia.
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