Anche se la scelta del tema dell’Apocalisse è da attribuirsi all’influenza della Chiesa di Roma, l’opera di Signorelli non potè non riflettere quella profonda trasformazione che si stava diffondendo rapidamente in tutta Europa. Del resto il pittore di Cortona, artista colto e sensibile, si era a lungo consultato con gli Amici dell’Accademia medicea, l’importante circolo di intellettuali, filosofi, artisti, letterati e matematici fondato a Firenze nella seconda metà del ‘400 da Lorenzo il Magnifico. Fu questa la culla di pensiero che permise a Luca Signorelli di realizzare nella cappella di san Brizio una delle più grandi rivoluzioni nella storia dell’arte: il primo ciclo pittorico di nudi integrali.
Nel pieno della maturità, l’artista impiegò tutto il suo talento per rappresentare un numero incredibile di corpi umani dalla prorompente fisicità che suscitò nei contemporanei un impatto senza precedenti. Servendosi di un semplice chiodo, egli incideva sull’intonaco fresco e con tratto rapido e preciso, corpi maschili e femminili, straordinariamente dettagliati, come fossero pagine di un moderno trattato di anatomia.
Mai soddisfatto, li ritraeva in posa o in tensione, capovolti o abbracciati, non ancora composti o già perfettamente formati e vigorosi, in ginocchio o seduti, mentre escono a fatica dal suolo o in piedi, facendo della cappella Nuova il ‘tempio del nudo’. Fu così che, ad Orvieto, la Chiesa rinascimentale celebrava tutto il valore dell’essere umano che in quel tempo era posto al centro degli studi teologici, filosofici e scientifici. Grazie alla passione per l’anatomia, ereditata da Leonardo da Vinci e all’Umanesimo cristiano di Ficino, Cusano e Giovanni Pico, Signorelli riuscì a rappresentare un mondo tutto pervaso dal divino dove ogni singolo uomo aveva la capacità di determinare il proprio destino.
Nella scena della Resurrezione della carne due possenti angeli suonano le trombe del Giudizio recanti il vessillo di Cristo, mentre uomini e donne si risvegliano dalla morte uscendo non dalle tombe, ma dal suolo della sterminata pianura ultraterrena. A sottolineare la reale consistenza fisica dei risorti appaiono anche le ombre. Questo particolare anticipava la conclusione del V Concilio Lateranense del 1511 in cui la Chiesa proclamò la resurrezione individuale e integrale dell’uomo, corpo e anima. I primi a risorgere sono proprio gli eletti, completamente nudi, che si affacciano sull’eternità. A destra della scena, serrati come sulle quinte di un palcoscenico, alcuni scheletri incredibilmente animati sono in attesa di essere ricomposti nella carne; di spalle si trova ritratto un uomo ancora non completamente formato… si sta facendo!
Sul proscenio ne appare ancora un altro, con le mani ai fianchi, nel gesto di mostrare la sua potente muscolatura. Come i fotogrammi di un film viene descritta la ricomposizione della carne: ossa, muscoli, nervi che via via
tornano al loro posto, immagine questa che evocava la visione biblica del profeta Ezechiele al capitolo 37. Con grande senso scenografico l’artista alternò figure ben delineate ad altre più grossolane, mirando a creare un effetto d’insieme funzionale al significato dell’Apocalisse. Il vigoroso personaggio in primo piano, dai lunghi capelli e saldamente in piedi, era infatti il simbolo dell’uomo rinascimentale che, posto al centro dell’universo, si apprestava a riscoprire la bellezza di un creato riempito della presenza del Creatore: “Già il sommo Padre, l’Architetto divino –scriveva Pico della Mirandola nella ‘Orazione sulla dignità dell’uomo’ pubblicata nel 1496– aveva costruito con le leggi della sua arcana sapienza questa dimora terrena quale ci appare, tempio augustissimo della divinità che è il nostro mondo”.
I risorti, infatti, si elevano dalla terra con sforzo e potenza, con grazia e meraviglia, a sottolineare che la loro vita è stata sempre alla ricerca di quel bene, visibile e invisibile, che si manifesta nella bontà del mondo. Con Signorelli, teologia e filosofia prendono allora la forma di immagini e simboli al fine di suscitare, in chi guardava, pensieri e sentimenti capaci di trasformarsi in azioni e scelte di vita. L’umanità risorta che emerge a fatica dal suolo esortava dunque lo spettatore a risollevarsi dalle “cose inferiori che sono i bruti” e, ritrovata la sua dignità e libertà, a contemplare le “cose superiori che sono divine” fino a scorgere la Bellezza in sé, da cui deriva ogni bellezza, che è “l’infinito lume dell’infinito bene” e che risplende nel cielo dorato.
E mentre il popolo della Resurrezione è proteso in alto, verso il divino, la folla dell’Anticristo ha “lo sguardo rivolto verso il basso”(Platone), e cioè verso le passioni terrene. Le due opposte realtà preannunciavano la sorte ultima degli uomini quando, alla fine del mondo, l’arcangelo Michele soppeserà tutte le anime, separando quelle leggere, che per i loro meriti saliranno in Paradiso, dalle quelle pesanti che invece precipiteranno, già in questa vita, in basso e cioè nella bestialità del mondo infernale. In cielo, e cioè in una ritrovata pace e armonia fra gli uomini, ascendono gli eletti proprio perché hanno incarnato sulla terra il Verbo divino, conoscendo la bellezza del mondo, praticando l’amore fraterno e ricercando il Bene assoluto: Dio ha creato il mondo riempiendolo della sua bellezza affinché il mondo ritorni, attraverso di essa, a Dio.
E se l’uomo è stato generato con una natura superiore a tutte le creature, così egli potrà in quanto animale celeste accedere alla divinità grazie al seme dell’intelletto e dell’amore che Dio ripose in ognuno per dargli la potestà di diventare un angelo e figlio di Dio. Scopo dell’Apocalisse non era quello di raccontare la fine del mondo, ma rivelare agli spettatori il senso ultimo della Storia, un futuro di speranza e di liberazione del creato da ogni forma di male e di sofferenza, fino all’avvento di “quei cieli nuovi e terra nuova”(Ap. 21,1) profetizzati nel libro dell’Apocalisse.
La scena della Resurrezione della carne diventava allora un meraviglioso inno alla nobilitazione della condizione umana che “non più costretta da nessun
limite” era pronta finalmente a raccogliersi nel centro della sua unità -corpo, anima e mente- per sottomettere tutte le forze del male, fino a plasmare il proprio destino: “Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio…perché quel posto, quell’aspetto che tu desidererai, tutto secondo il tuo volere e il tuo consiglio ottenga e conservi”.
Bibliografia:
Pico della Mirandola, “De homini dignitate”(1486), traduzione E.Garin, 1985.