Si è finalmente conclusa una vicenda che ha tenuto tutti con il fiato sospeso, in attesa del giudizio definitivo della corte egiziana ed è la questione legata a Patrick Zaki, il giovane egiziano, studente universitario a Bologna, arrestato nel febbraio 2020 dalle forze di sicurezza del suo Paese al suo arrivo al Cairo, proveniente dall’Italia ed accusato di istigazione alla violenza ed incitazione al terrorismo attraverso i social e di aver scritto un articolo sui diritti negati alla minoranza copta, di cui egli fa parte, nel 2019.
La “questione Zaki” era diventata in questi tre anni il simbolo di una battaglia per i diritti civili troppe volte negati in un paese, l’Egitto, storicamente instabile e dove le forza armate e gli apparati di sicurezza ed intelligence mantengono un controllo severo sulle libertà individuali e rimangono spesso implicate in storie terribili come quelle del ricercatore italiano Giulio Regeni, per l’assassinio del quale il nostro paese invoca ancora giustizia e verità, in un sistema che invece depista e frappone ostacoli alla ricerca dei colpevoli e dei mandanti di quel delitto così efferato.
Nelle ultime 48 ore si è passati dalla indignazione per la sentenza del tribunale di Mansoura, che condannava Patrick a tre anni di reclusione, al sollievo per la grazia ricevuta a stretto giro dal presidente egiziano Al Sisi, ottenuta grazie alla mediazione del nostro governo e che ha visto protagonista la premier Giorgia Meloni assieme al ministro degli Esteri Antonio Tajani. I due in questi ultimi mesi si sono spesi in trattative ed accordi con la concessione di fondi ed aiuti al più grande paese del nord Africa, con una serie di impegni e sostegni italiani in vari settori, dall’agricoltura alla sanità, dalla cooperazione sul tema immigrazione e tra le forze armate dei due Paesi, fino all’ultimo recentissimo capitolo con la concessione di 431 milioni di dollari per fronteggiare la crisi delle risorse distribuite dall’Onu all’Egitto, grazie soprattutto all’Intercessione del nostro governo, nell’ambito del vertice del Programma Alimentare Mondiale tenutosi all’inizio di luglio a Roma.
Sicuramente il balletto della condanna del tribunale cattivo stoppata dalla grazia di Al Sisi, trasformatosi in “gigante buono”in sole 24 ore, l’Egitto poteva risparmiarcelo e soprattutto il governo egiziano dovrebbe fornire alle nostre autorità quelle verità negate su Regeni, ma nel frattempo non possiamo che rallegrarci per una storia finita bene e per un successo diplomatico del nostro Paese. Rimangono poi in sospeso le tante ombre su una nazione, l’Egitto, che non brilla per rispetto dei diritti umani, per la libertà di stampa e di opinione e che, per un caso che risolve bene, come questo di Patrick Zaki, ne crea altre centinaia con arresti arbitrari e condanne proditorie con pene severe, da scontare in prigioni con uno stato di degrado e di detenzione durissime.
E su questo gli Stati dovrebbero essere più attenti e rigorosi prima di concedere altri aiuti ad Al Sisi e richiedere preventivamente il rispetto delle regole democratiche.
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