Sono passati alcuni giorni dalla scelta della Capitale della Cultura che ha visto prevalere Agrigento sulle altre nove concorrenti, fra queste la nostra Orvieto. E’ quindi maturo il tempo per alcune riflessioni sul prossimo futuro e sulle reazioni alla decisione della giuria.
E’ stato sicuramente un successo arrivare fra le dieci città finaliste e aver visto una gran parte delle associazioni e dei cosiddetti stakeholder partecipare alla costruzione del progetto di “Orvieto Capitale della Cultura 2025. Il punto di partenza è la città di Orvieto con la sua particolare conformazione e la sua storia che parte dagli etruschi per arrivare fino ai giorni nostri, un unicum che ci deve far riflettere, tutti, sulle grandi potenzialità e sul privilegio di vivere a Orvieto. Un secondo punto forte e la presenza di due monumenti già conosciuti nei circuiti internazionali come il Duomo e il Pozzo di San Patrizio. Il racconto costruito per la gara ha ampliato la visione a 360 gradi sull’intero centro storico, sui borghi vicini, sulle aree archeologiche, sul paesaggio e sulle eccellenze orvietane. Un altro punto fondamentale è la capacità di fare squadra, di mettere in rete le realtà imprenditoriali e associazionistiche, gli enti e il terzo settore. Questo è un tesoretto che non deve ora essere disperso per la delusione della sconfitta. Non deve essere disperso anche il patrimonio di idee racchiuso nel dossier ricercando nuovi canali di finanziamento e nuove occasioni di collaborazione.
La domanda da porsi è perché si è perso? La risposta più ovvia è che contro la corazzata Agrigento-Lampedusa era difficilissimo concorrere, ma non impossibile. E allora cosa è mancato, se qualcosa è mancato e quali sono stati i punti deboli? Ecco che le risposte iniziano a essere più complesse. Essere capitale della cultura significa grande afflusso di turisti, ospitare eventi continui, offrire servizi ma soprattutto avere già dei servizi in essere. A Orvieto necessita, e su questo si deve lavorare, una rete di servizi e infrastrutture da città vera che poi ognuno può declinare come vuole, turistica, artistica, artigianale, digitale e tanto altro. La città deve attirare potenziale residenzialità soprattutto produttiva, perché se uno dei principali punti deboli è la demografia economica. Il dato è stato evidenziato nel report di Cittadinanza Territorio Sviluppo che ha registrato il trend negativo in termini di residenti e in particolare di cittadini che emigrano tra i 18 e i 50 anni. Orvieto rischia di ritrovarsi nei prossimi dieci anni sotto la soglia dei 16 mia abitanti, con una media piuttosto alta e con poche risorse umane per i settori trainanti: servizi, agricoltura e turismo che non posso fare a meno di manodopera generica e specializzata. per trattenere la popolazione attiva serve lavoro e questo si crea solo con la presenza di imprese che investono in ricerca e produzione. Alle imprese, poi, servono infrastrutture, trasporti rapidi e una città sempre accesa che poi vogliono anche i turisti.
Dopo il risultato non poteva mancare anche la stira e l’ironia. Certo’ la satira non può essere politicamente corretta, a tratti cattiva e non può essere altro. E’ altrettanto chiaro che la satira spesso arriva da chi è distante come pensiero da colui o colei che comanda, ma non può esserci soddisfazione per la sconfitta di una città che dovrebbe essere unita, invece.
Per chiudere volgiamo un occhio al futuro. Non è tutto perduto ma tutto deve essere costruito. Gli artisti contemporanei, il convinto supporto alla proposta del MOST alla Piave sparita dai radar dell’amministrazione, il coinvolgimento dei giovani nelle fasi decisionali, una cura maggiore del centro storico, nuove infrastrutture al servizio dei flussi turistici rapidi e dei residenti, un ospedale al servizio della città e dei suoi ospiti e credere fortemente nelle potenzialità di Orvieto, senza campanilismi fuori moda ma cercando di creare reti, abbattendo le distanze e trovare legami per essere pronti a rilanciare la sfida magari insieme ad altre città vicine per cultura, tradizioni e logistica.