Se ci sono i Padri della Chiesa senz’altro devono esserci le Madri! Ma al di là di ogni polemica, che tale affermazione potrebbe generare, un dato di fatto è certo: viviamo in un mondo che cambia velocemente, in un mondo in cui gli scenari della società e della Chiesa stanno prendendo coscienza che è necessario adattarsi alle diverse culture e ai nuovi tempi, soprattutto per quanto riguarda la questione femminile.
La condizione femminile è stata trascurata dalla Chiesa fin dalle origini del Cristianesimo: la situazione della donna era di grave emarginazione sia nella società giudaica prima che in quella cristiana dopo, anche se il comportamento e l’insegnamento di Gesù nei confronti delle donne, abbia rappresentato una radicale innovazione con l’affermazione di certi valori. La storia del Cristianesimo dei venti secoli passati non è sempre stata attenta alle esigenze delle donne. La gerarchia ecclesiale ha mantenuto una mentalità legata ad una concezione piuttosto maschilista sorretta dalla dottrina dell’apostolo Paolo, giudeo di nascita e di formazione, uno dei più accaniti oppositori dei diritti delle donne. Come non pensare alle sue famose affermazioni di sottomissione femminile: “Mulier in silentio discat” la donna impari in silenzio (I Timoteo 2,11) o “Mulieres in ecclesiis taceant, non enim permittitur eis loqui” le donne tacciano nelle assemblee perchè non è loro permesso di parlare” (1 Cor 14, 34). Interdizione che è pesata per circa due millenni fino a quando San Giovanni Paolo II, nel suo magistero, ha sottolineato l’importanza del ruolo femminile per umanizzare il nostro mondo e ha parlato di “genio femminile”. É stato il pontefice che ha dedicato alla questione femminile la prima lettera apostolica Mulieris dignitatem (15 agosto 1988). In essa si ribadisce come la collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo è impegnativa: finalmente la donna, che era stata esclusa dalla vita sociale e non aveva avuto un riconoscimento concreto dei suoi diritti di persona, viene chiamata come l’uomo a partecipare al progetto di Dio nella storia.
Nella Chiesa delle origini le condizioni e gli stili di vita delle donne risentivano della cultura romana, greca e giudaica. Tuttavia la presenza femminile cristiana aveva uno spazio molto più ampio di quello consentito nel contesto della società pagana del tempo. Ci sono state donne il cui ruolo è stato di grande rilevanza nel Cristianesimo dei primi secoli, nonostante la presenza di molte di loro sia poco ricordata sia nelle fonti letterarie che nella documentazione archeologica. Parlare della donna vissuta nell’antichità sia pagana che cristiana è un argomento complesso e delicato: allora la donna era priva di parola e di autonomia, situazione che nella Chiesa cattolica si è protratta fino ad alcuni decenni fa, retaggio paolino e dei Padri della Chiesa che hanno affermato sempre la loro mentalità maschilista. I Padri costituiscono ancora oggi un importante punto di riferimento per l’esperienza cristiana, e quelli dei primi secoli sono testimoni autorevoli della tradizione apostolica perchè eredi diretti dell’insegnamento di Gesù e degli Apostoli.
Con i loro scritti ci hanno tramandato un ricco patrimonio di sapienza, sempre più necessario ai nostri giorni. Ma accanto a loro ci sono state donne che sin dalla giovinezza hanno scelto di vivere la loro sequela Christi nella vita monastica o eremitica: queste donne vissero nella castità, nella preghiera assidua e nella povertà totale, donne troppo spesso dimenticate. Occorre che la Chiesa prenda atto di quanto sia stata indispensabile la loro testimonianza. Nel deserto c’era la figura dell’abba ma si era affermata anche quella dell’amma, il padre e la madre, erano donne cristianamente formate tanto da partecipare a livello teologico nelle dispute dottrinali ed ecclesiali del loro tempo. Esse si potrebbero definire le Madri della Chiesa per il prezioso contributo e l’opera di supporto che i Padri hanno ricevuto da loro. Molti Padri sono diventati importanti grazie all’opera silenziosa di queste donne e delle loro discepole. Come non ricordare San Girolamo, dottore e teologo, e il gruppo delle nobildonne che lo hanno seguito a Betlemme e lo hanno sostenuto con la loro cultura, la loro abnegazione e il desiderio di vivere un’esistenza alle sorgenti della vita cristiana in Terra Santa? Paola con la figlia Eustochio fondarono due monasteri a Betlemme: uno maschile e l’altro femminile, ed è proprio in quello dei monaci che San Girolamo si ritirò per completare la traduzione della Bibbia dalla lingua greca al latino. Ma chi era Paola? Era una nobile matrona, dell’alta e ricca aristocrazia romana, donna di grande cultura che conosceva la lingua ebraica e la greca alla perfezione, una delle famose madri del deserto e considerata la prima monaca della storia cristiana. Morto il marito, dal quale ebbe cinque figli, si consacrò alla preghiera e alla penitenza insieme ad altre vedove sotto la guida di Marcella. La sua residenza era una domus al centro di Roma, aperta per incontri di preghiera e di approfondimento della dottrina cristiana e per iniziative caritative, dedicate ai bisognosi della città. Ospitò San Girolamo quando giunse a Roma e lo seguì con la figlia Eustochio in Palestina, dopo aver venduto tutti i suoi beni. E a Betlemme visse nel suo monastero di cui fu abbadessa. La figlia ne continuò l’opera insieme a tante altre donne che abbracciarono la vita monastica. Anche una nipote, Paola, raggiunse la nonna e la zia e assistette Girolamo fino alla morte. Attorno al dottore più colto di quei tempi, Girolamo, ruotava un nutrito gruppo femminile che condivideva il suo grande amore per gli studi biblici. Erano donne convertite al cristianesimo, di elevato livello culturale, appassionate delle Sacre Scritture, che viaggiavano e compivano pellegrinaggi. Di tutta questa esperienza ci è stato tramandato ben poco. Anche Marcella, una vera teologa, apparteneva ad una delle più illustri famiglie patrizie romane. Rimasta vedova dopo appena sette mesi di matrimonio, la nobildonna si dedicò alla vita ascetica seguendo le direttive spirituali di san Girolamo. Nella sua casa, sul Colle dell’Aventino, confluivano nobildonne, vergini e vedove, preti e monaci il cui desiderio era l’approfondimento delle Scritture. La sua domus era diventata un centro di preghiera e di incontri: quando Girolamo lasciò Roma per recarsi in Palestina, tanti sacerdoti consultavano Marcella per chiarire alcuni punti di passi biblici di difficile comprensione.
Un’altra figura rilevante è stata Melania l’Anziana che, da vedova e dopo la morte dei due figli, si impegnò nello studio della Bibbia e nelle opere di carità, si trasferì a Gerusalemme e qui fondò un Monastero sul Monte degli Ulivi. Di lei si ricorda la conversione di un grande Padre, Evagrio Pontico, che venne da lei accolto nel Monastero di Rufino. Melania dopo averlo convinto ad abbandonare le abitudini mondane, Evagrio si convertì e si dedicò alla vita monastica divenendo uno dei più noti monaci del deserto del IV secolo. La nipote Melania, detta la Giovane, seguendo i consigli della nonna, decise di abbandonare, insieme con il marito, la sua ricca casa romana per trasferirsi in una sua proprietà in Campania lontana dagli sfarzi della vita imperiale. Qui visse in grande austerità, dedicandosi all’assistenza dei poveri, dei detenuti, dei sofferenti. La sua fama si diffuse presto e tanti si unirono intorno a lei fondando un centro di vita monastica. In seguito vendette tutte le sue proprietà e il ricavato lo destinò ai molti poveri dell’Impero, alla Chiesa e ai monasteri della Palestina, della Siria e dell’Egitto. Durante l’invasione barbarica dei Goti di Alarico fuggì con la famiglia diretta in Africa, dove possedeva ancora qualcosa. Si stabilì a Tagaste e qui conobbe Agostino d’Ippona con cui strinse una forte amicizia; inoltre in terra di Numidia fondò due monasteri. Concluse il suo peregrinare terreno, vissuto in austerità e preghiere, a Gerusalemme collaborando con Girolamo e continuando le sue iniziative caritative. Nella storia del cristianesimo dei primi secoli troviamo schiere di santi eremiti che vivono nel deserto, gli abba di cui abbiamo testimonianza attraverso gli scritti dei loro “detti” ma la presenza di altrettante donne, le amma, non viene presa nella giusta considerazione.
Di recente, tuttavia, sono state portate alla ribalta alcune figure significative che hanno messo in luce la preziosa opera di supporto ai Padri del deserto. San Giovanni Crisostomo definisce l’esercito di Cristo “gli uomini e le donne nel deserto che si danno alla vita ascetica…..le donne hanno combattuto spesso con più impegno degli uomini”. Ecco le Madri della Chiesa, tante e ignorate! Donne coraggiose, dotate di volontà ferrea e di spirito di sacrificio eroico! Figure femminili che nel Cristianesimo dei primi secoli hanno avuto il loro peso e che occorre oggi riscoprire e valorizzare il loro ruolo. Gli abba e le amma devono avere parità nella storia della Chiesa. Ce ne sono tante di amma in Egitto, in Siria, in Palestina, in Asia Minore, i cui nomi non ci sono noti se non di poche come Teodora, Sara, Maria Egiziaca, Sincletica. Di quest’ultima mi piace riportare un ammonimento rivolto alle sue monache, che Lisa Cremaschi, monaca della Comunità di Bose, scrive nella “Vita di Sincletica”: “Non lasciamoci trascinare dall’illusione affermando che quanti vivono nel mondo sono esenti da preoccupazioni; anzi, forse, a confronto con noi affrontano maggiori fatiche. Generalmente nel mondo sono le donne a patire maggiori tribolazioni, sopportano tutto senza che vi sia una fine alla loro fatica”.
Ci sono tante altre testimonianze e l’elenco non potrebbe esaurirsi con pochi nomi, ma mi limito a ricordare Macrina, la Madre del monachesimo femminile d’Oriente, sorella di Basilio e Gregorio; Marcellina, sorella del grande vescovo Ambrogio di Milano, Proba, Egeria e tante altre sante che vissero nel deserto e nell’anonimato.