E’ vero alcuni primari remano contro Orvieto e il suo ospedale. Ci sarà un futuro?

Ci risiamo e questa volta è stato scoperto quello che avevamo scritto di temere e cioè che a remare contro lo sviluppo dell’ospedale di Orvieto fossero figure professionali interne. La conferma arriva dal verbale del consiglio comunale di Attigliano con il sindaco Fazio che, rispondendo ad alcune sollecitazioni del consigliere Meloni, ha apertamente spiegato che un primario di Orvieto ritiene inutile l’emodinamica e che anche altri professionisti, riportiamo il virgolettato, “sarebbe opportuno insistere sull’elisoccorso, che arriva immediatamente, anziché su qualcosa che non riescono a fare, perché loro lavorano sui numeri, e non sulla comodità delle persone”. E no, non si tratta della comodità, ma della vita delle persone e un medico non deve lavorare sui numeri ma sui pazienti, deve fare tutto il possibile per salvarle. Oggi, con l’attuale personale sicuramente l’emodinamica non potrebbe funzionare, ma tante altre cose non funzionano. Lo diciamo ormai da più di un anno. L’ospedale di Orvieto viene depotenziato lentamente per una politica “foligno e spoletocentrica” che onestamente risulta stucchevole. Ad agosto ci saranno criticità nel Pronto Soccorso, ad esempio, e ci risulta, attendiamo conferme, che ad alleviare i problemi vengano professionisti proprio da Spoleto e Foligno, guarda caso.

Delle liste di attesa infinite non ne parliamo più per decenza, anche perché basta effettuare una prenotazione a pagamento che come d’incanto non si attende più. Oppure basta girare per l’Umbria e spuntano posti per servizi essenziali che dovrebbero funzionare anche ad Orvieto. Mentre una parte dei primari orvietani è impegnata in una lotta infruttuosa e fratricida la presidente Tesei ha auspicato che Foligno e Spoleto diventino il terzo polo dell’Umbria, giustamente, ma dimenticandosi un territorio piuttosto vasto, l’orvietano, che per raggiungere l’unico polo della Provincia di Terni ha tempi di percorrenza di almeno 45 minuti. Sicuramente con i mezzi di soccorso i tempi si accorciano ma siamo sempre al limite per le patologie tempo-dipendenti. La creazione di un terzo polo, ancora un volta lontano dalle principali direttrici di traffico nazionale sia su ferro che su gomma, testimonia la scarsa attenzione per il territorio che nel corso degli anni, con colori diversi al potere, si è vista sfilare la ASL, il Tribunale, il CAR ricevendo in cambio l’ampliamento della discarica, qualche sistemazione delle strade e il mantenimento di UJW

Ricordiamo che Foligno ha lottato strenuamente, tutta unita, per la perdita della propria ASL e in cambio ha ottenuto tanto dal punto di vista sanitario. Il risultato è semplice, oggi Foligno per un giovane professionista è appetibile mentre Orvieto sicuramente no. E il risultato è ancora più chiaro se si vanno a controllare quanti posti in ospedale sono rimasti vacanti e quanti hanno rifiutato a vantaggio di altri nosocomi anche umbri.

Eppure Orvieto anche stavolta è governata da una coalizione identica quella regionale ma stiamo rischiando lo stesso errore del passato e cioè di essere tiratori d’acqua per conto terzi e non interlocutori con la schiena dritta pronti a combattere per il futuro della città e di tutto il territorio, senza accettare compromessi al ribasso o ancor peggio piccole prebende ad uso personale e non della comunità, troppo spesso. Che si investano soldi e progettualità vere sulla sanità territoriale e ospedaliera per non perdere un ulteriore treno, tra l’altro abbiamo perso anche l’AV a vantaggio di siti extra-regionali, perché senza una sanità pubblica vera, reale, pronta non si attirano residenti nuovi e investimenti privati di rilievo. Non chiediamo un sindaco barricadero ma che ribadisca in ogni occasione la centralità dell’ospedale e valorizzi le professionalità presenti, che punti i piedi e rifiuti ogni offerta se non estremamente vantaggiosa per l’intero territorio!




Lettera aperta di Franco Raimondo Barbabella al sindaco su situazione sanità orvietana e punto vaccinale

Gentile Signora Sindaco,

Le scrivo in modalità lettera aperta perché su certe questioni la discussione deve essere palese e l’opinione pubblica deve essere informata.

Ieri (il 29 luglio ndr) in consiglio le ho posto due questioni, una come interrogazione a risposta immediata (cosiddetta question time), perciò senza diritto di replica, l’altra come interrogazione ordinaria e quindi con possibilità di replica seppure telegrafica. Riassumo rapidamente com’è andata, andando alla sostanza.

La prima riguardava i servizi ambulatoriali presso il nostro ospedale. Le ho letto il messaggio di una persona che segnalava che, mentre una colonscopia per via normale non si riesce a fare entro i 60 gg prescritti dal medico, se vai in intramoenia paghi un ticket di 305 euro e ce l’hai dopo pochi giorni. Le ho poi segnalato il fatto che nello stesso giorno un’altra persona era stata costretta ad andare a Terni per il rinnovo semestrale del piano terapeutico non avendo avuto la possibilità di prenotare la visita reumatologica perché il servizio viene garantito per poche ore al mese ed è molto difficile prenotarlo per mancanza di posti. Le ho infine segnalato, come però lei sa perfettamente, altri problemi simili, tutti legati ad un evidente depotenziamento dei servizi ambulatoriali.

Le ho chiesto anzitutto di intervenire, come responsabile della tutela della salute dei cittadini, perché vi sia subito un cambiamento di rotta nell’erogazione dei servizi ambulatoriali. Le ho anche proposto di promuovere, insieme al Presidente del Consiglio, la riunione della Conferenza dei capigruppo come commissione di studio perché nel giro di poche settimane si arrivi ad una precisa individuazione dei punti critici per poi sottoporli unitariamente all’attenzione sia del direttore generale ASL che dell’assessore regionale. In spirito assolutamente collaborativo.

Lei con un lungo discorso di fatto mi ha risposto che le liste di attesa non ci sono certo da oggi (come se si trattasse di un fenomeno naturale e immodificabile e come se poi trasferirsi in altra città per avere un servizio specialistico ordinario fosse da accettare passivamente) e addirittura che l’intramoenia è una possibilità per chi non riesce o non può stare dentro i tempi di attesa delle prenotazioni ordinarie (trascurando l’ovvietà che questo ha un costo, peraltro non sempre sopportabile).

Non le ho potuto replicare e per questo le dico qui ciò che avrei voluto dirle lì. Noi stiamo vivendo una situazione straordinariamente importante. Perciò: 1. È necessario decidersi a fare una proposta strategica per il nostro ospedale per farla poi diventare la battaglia di tutti e di tutto il territorio; è allarmante che mentre si promette il terzo polo a Spoleto qui si assiste passivamente ad un processo di progressivo depotenziamento; 2. È necessario intervenire subito, adesso, sulle carenze dei servizi che costringono i cittadini o ad astenersi dalle visite o a pagare o a recarsi in altra città. Prima che l’esasperazione diventi qualcosa di peggio.

Lei sbaglia, se non a giustificare, ad accettare nei fatti questa situazione. Noi sbagliamo tutti se non superiamo particolarismi e interessi settoriali e non organizziamo una vera battaglia non di testimonianza a cose fatte ma di proposta reale prima che i buoi siano scappati definitivamente dalla stalla. C’è bisogno di agire subito, con una proposta e una iniziativa all’altezza di una sfida che è vitale.

La seconda riguarda il trasferimento del punto vaccinale, avvenuto ormai più di un mese fa, da Fontanelle di Bardano a Sferracavallo. Le ho dato atto della tempestività con cui ha trovato la soluzione. Ma la mia interrogazione riguardava altro, ossia se all’atto della collocazione del punto vaccinale nell’edificio di Sviluppumbria a Fontanelle di Bardano fu fatta una verifica sulle condizioni di sicurezza dell’edificio, perché appare singolare che ci si accorga all’improvviso che ci sono problemi statici senza che nel frattempo vi sia stato un terremoto e qualche fenomeno similare.

Lei nella sostanza ha sorvolato sul punto essenziale dell’interrogazione e mi ha detto (mi pare impropriamente, no?) che avrei dovuto concentrarmi non su quello ma sul fatto che il servizio è stato trasferito con tempestività, cosa di cui le avevo già dato atto volentieri. Nella replica le ho ricordato perciò che il tema è se esiste o meno un atto formale che dimostra che al momento dell’attivazione del punto vaccinale furono verificate le condizioni di sicurezza per gli operatori e per i cittadini. Poiché lei su questo non ha risposto (l’interrogazione la conosce da un mese e quindi avrebbe potuto nel caso documentarsi), sarò costretto a fare l’accesso agli atti per verificarlo e poi vedere quali potranno essere le iniziative conseguenti a tutela della sicurezza dei cittadini quando si decide di utilizzare edifici per attività pubbliche.

Mi auguro che tutto ciò serva a fare chiarezza sui reciproci compiti e responsabilità. A me comunque non piace questa modalità di intervento, perché tutto dovrebbe risolversi nella sede istituzionale e nel momento ufficiale della dialettica tra maggioranza e minoranza. Perciò mi auguro anche che finalmente ci si decida ad uscire dalle chiusure a riccio e da una specie di obbligo alla propaganda perché questa che viviamo è la fase delle concretezze davvero praticate e perciò delle scelte e delle battaglie vere per il futuro.

Il consigliere Franco Raimondo Barbabella




Emodinamica e medicina di territorio sono necessarie per rilanciare la sanità orvietana nonostante i bastian contrari

Siamo a scrivere nuovamente dell’ospedale di Orvieto, anzi della sanità dell’orvietano perché ospedale e medicina di territorio vanno sempre più a braccetto nella sanità 3.0, quella che nell’orvietano è ancora una chimera o quasi, fatte salve alcune eccezioni. Ne torniamo a discutere dopo l’uscita poco felice del sindaco di Attigliano che ha definito l’emodinamica “cosa inutile” mentre “l’elisoccorso una cosa seria”. Sicuramente le spiegazioni date in consiglio comunale sono frutto di un’attenta analisi costi/benefici del servizio di emodinamica e elisoccorso, di una valutazione puntuale dal punto di vista scientifico e medico, altrimenti è la politica, scritta con la “p minuscola” che cerca di giustificare l’ingiustificabile per un territorio penalizzato da troppi anni, nonostante alcune operazioni di maquillage passate, presenti e future che dovrebbero servire a tacitare le voci fuori dal coro.
Non vorremmo polemizzare ma ci è sembrato, quello del primo cittadino del Comune di Attigliano, un discorso pensato e scritto a più mani, con l’aiuto determinante di qualche medico speriamo non di Orvieto o in servizio nell’orvietano, almeno questo!
E’ giusto chiedere a chi conosce la materia e così ci siamo consultati anche noi con una serie di professionisti della sanità per capire meglio, per approfondire l’argomento con numeri e statistiche. Partiamo dall’assunto che il territorio orvietano non finisce con i confini regionali, ma va oltre, insistendo su parte del viterbese e della bassa Toscana. Ecco che il calcolo, allora, non deve essere fatto sui 40 mila abitanti circa ma su 120mila, numero sempre basso, ma non avulso, assolutamente. Entra in gioco l’orografia del territorio e l’età media degli abitanti, due fattori che possono e, anzi secondo i consiglieri regionali umbri, tutti, fanno la differenza. Puntando il compasso su Orvieto gli ospedali con emodinamica più vicini sono a 80 km, Terni e oltre 100 km, Foligno con tempi di percorrenza in ambo i casi superiori all’ora. L’età media, già alta in tutta l’Umbria, nell’orvietano ha un’incidenza di over 70 del 26% sul totale della popolazione. Calcolando tutte queste variabili il numero di procedure potrebbe superare le 250 anche se le linee guida come parametri per avere un’emodinamica attiva prevedono 300 mila persone e 400 interventi annui. Ma, probabilmente, chi ha collaborato al discorso del sindaco di Attigliano non la letto le linee guida della Società Italiana di Cardiologia Interventistica che ritengono il limite inferiore ai 400 interventi “tollerabile quando il laboratorio è situato in aree geograficamente isolate…”. E’ altresì pacifico che l’elisoccorso sia necessario in un territorio di grande ampiezza, collegato male con eventuali altri ospedali, con tre direttrici di traffico, due su ferro e un’autostrada, che possono far scattare emergenze anche piuttosto importanti. Mettere sullo stesso piano elisoccorso ed emodinamica è errato, soprattutto confrontarle sui costi. L’elisoccorso regionale spalma i costi sull’intera popolazione umbra, un servizio di emodinamica deve essere calcolato sul bacino d’utenza direttamente interessato. Ma anche sui costi la sventolata concorrenzialità dell’elisoccorso è tutta da dimostrare. Facciamo due conti; un laboratorio di emodinamica ha un costo medio di 2,5 milioni di euro a cui va aggiunto quello dell’equipe sanitaria e medica dedicata. Ogni trasporto in elicottero verrà a costare circa 5 mila euro e per emergenze cardiache con 100 interventi arriveremmo a 500 mila euro annui, cioè 2,5 milioni in soli 5 anni. A questi vanno aggiunti i costi sociali, tutte le patologie croniche che obbligano a ricoveri frequenti in mancanza di una medicina di territorio e di telemedicina avanzata, i costi di ricovero inevitabilmente più lunghi e la perdita di appeal dell’ospedale di Orvieto dal punto di vista professionale.
In conclusione, l’emodinamica a Orvieto è giustificata professionalmente vista la distanza chilometrica e oraria da altri nosocomi per le patologie tempodipendenti; non deve esserci una gara di campanile con Foligno, che ha numeri di poco superiori in termini di abitanti e ospedali alternativi e attrezzati molto più vicini. Non deve esserci concorrenza ma equiparazione di trattamento sì. C’è poi il falso problema della mancanza di figure professionali nell’ospedale di Orvieto. Oggi, hic stantibus rebus, il Santa Maria della Stella è destinato ad un lento ma inesorabile declino, mentre con il laboratorio di emodinamica e una telemedicina reale, potrebbe divenire un punto di riferimento anche regionale per quanto riguarda la medicina a distanza. C’è poi da non sottovalutare la soddisfazione del cittadino e il voto unanime in consiglio regionale risalente ormai al 26 maggio del 2020, che ha approvato il servizio di emodinamica ad Orvieto. Speriamo che questa battaglia di civiltà venga fatta propria non solo dagli amministratori locali, i sindaci hanno firmato una lettera in cui chiedono l’apertura di emodinamica a Orvieto, ma soprattutto dai professionisti sanitari che per una volta dovranno guardare oltre il loro striminzito orticello per un progetto di ampio respiro che porterà in seguito frutti per l’intera struttura e un ritorno al centro dell’attenzione per la sanità pubblica.




Sanità, l’elisoccorso il trucco per mascherare le difficoltà di Orvieto

Le tre sedi individuate per l’elisoccorso tutto umbro erano a Perugia e due a Foligno.  Nessuna menzione per l’intera provincia di Terni.  Alla fine, l’ha spuntata Foligno.  L’aeroporto sembra essere al centro del cuore dell’Italia.  Ora sono tutti più o meno contenti.  La sanità ha trovato la quadra e addirittura la Regione ha un suo servizio di elisoccorso non più dipendente dalle vicine Marche.  Sono tutte rose?  Assolutamente, no!  Chi sponsorizza politicamente l’elisoccorso come soluzione dei mali di Orvieto e del territorio non ha ben presente l’intero complesso problema della sanità.  L’ospedale di Orvieto viene sempre più marginalizzato nonostante la sua vocazione sia proprio quella dell’emergenza-urgenza.  Basti pensare che il Comune di Attigliano ha approvato l’ospedale Santa Maria della Stella come riferimento per la Protezione Civile perché Terni è a maggiore distanza.  Peccato che poi, nella stessa seduta, il sindaco abbia bocciato la proposta dell’opposizione di firmare il documento per l’emodinamica liquidandola come inutile.

Quindi, da una parte la politica ritiene il Santa Maria della Stella centrale per rispondere ad eventuali emergenze su ferrovia e autostrada, per un territorio ampio e piuttosto isolato dal resto della Regione; dall’altra toglie nel concreto quello che in teoria ammette.  D’altronde come non condividere che il territorio è isolato, troppo distante da altri ospedali per le patologie tempo-dipendenti e attrattivo per la mobilità di parte del Lazio e della Toscana.  Dall’altra, però, si sceglie di non scegliere, di mantenere lo status quo con operazioni di maquillage, anche profondo, di reparti e macchinari ma di non potenziare l’emergenza-urgenza.  Si farà, prima o poi.  Intanto la realtà che si troveranno di fronte i cittadini del territorio rischia di essere ancora peggiore.  Chi verrà colpito da una patologia tempo-dipendente, verrò trasportato in ospedale, lì stabilizzato in attesa dell’elicottero proveniente da Foligno e successivamente trasportato verso Terni, Perugia o Foligno stessa.  E i costi?  Rischiano di aumentare ulteriormente senza un vero e proprio miglioramento del servizio.  Non solo, c’è un costo sociale che sembra non sia calcolato da chi dovrebbe.

I cahiers de doléances della sanità orvietana sono molteplici partendo dalle liste d’attesa, troppo lunghe, ai servizi incompleti, al ricambio a tratti frenetico dei professionisti e degli specialisti, alle incertezze sul futuro prossimo del Distretto sanitario, fino alla visibile mancanza di un progetto che porti l’ospedale di Orvieto a un DEU di II livello per l’emergenza-urgenza.

Intanto i viaggi della speranza ora si potranno fare con la “classica” e scomoda ambulanza oppure con l’elicottero, apparentemente più veloce, ma sempre lontani da casa, dalla famiglia e per patologie che potrebbero essere curate tempestivamente a Orvieto con costi sul medio periodo minori e con maggiore soddisfazione del cittadino




Lettera aperta a Massimo Braganti, “chissà da dove partono gli umbri alla ricerca di servizi sanitari di qualità”

La sanità umbra è in sofferenza. I conti non tornano come dovrebbero e in particolare balza agli occhi una spesa da 3,3 milioni di euro per la cosiddetta mobilità passiva. In un articolo apparso sul quotidiano “La Nazione” a firma di Michele Nucci il direttore della sanità, Massimo Braganti ha spiegato che “da tre anni la Regione viene richiamata dal MEF per il trascinamento di perdite dai dodici mesi precedenti…”. Quali sono la cause? Certamente ci sono spese non controllate a dovere, come quella farmaceutica ma a ben vedere la mobilità passiva inizia a pesare ogni anno di più. Tanto per sgombrare il campo da illazioni politiche provenienti dall’attuale opposizione, il circolo vizioso è nato e cresciuto durante la gestione Marini per poi continuare nella sua escalation nel 2019, per la gran parte ancora in capo al centro-sinistra. Il covid ha dato la mazzata finale. Ma è colpa del virus? Perché la sanità umbra da eccellenza è diventata un punto debole? E’ così dappertutto? Veniamo al territorio orvietano: si è investito bene in questi anni? Si è pensato e programmato sui bisogni dei cittadini? E’ giusto spendere gran parte delle risorse per la creazione di un centro della salute a due passi dal Duomo? OrvietoLife vuole sapere e ha deciso di scrivere una lettera aperta al direttore regionale alla sanità e al welfare, Massimo Braganti.

Egr. dr. Massimo Braganti,

la notizia che ogni anno il saldo di bilancio tra spese verso altre regioni e incassi da altre regioni è in rosso per 3,3 milioni euro ha lasciato a bocca aperta molti, ma non tanto i cittadini di un’area, quella dell’orvietano, che ormai da anni subiscono le lentezze, la mancanza di professionalità mediche e la carenza di servizi nella sanità pubblica. Ci risulta, infatti, poco credibile che questi 3,3 milioni vengano spesi in maniera più o meno omogenea in tutta la Regione. Perugia e Terni hanno ospedali eccellenti e Foligno segue a ruota, tanto che la prima mobilità per gli orvietani è proprio verso questi tre hub regionali. Nulla da eccepire, si badi bene, in una Regione con poco più di 850 mila abitanti pretendere servizi sotto casa è fuori luogo. Alcune domande però ci girano nella testa; è giusto ragionare in termini meramente aziendali? Come mai il privato, invece, riesce a guadagnare e bene? Le patologie tempo-dipendenti vengono tenute nel giusto conto? La posizione geografica e logistica di Orvieto è stata ragionata bene?

Ragioniamo e cerchiamo di capire. L’area “Umbria ovest” è a scarsa presenza di presidi ospedalieri con unico riferimento l’ospedale di Orvieto. Dovrebbe essere una garanzia, anche perché a ben guardare il territorio è cerniera con altre due Regioni, che spesso afferiscono al Santa Maria della Stella per le prestazioni ospedaliere e specialistiche. Quindi il sistema sanitario umbro prende dal territorio con la mobilità passiva dell’Alto Lazio e della Bassa Toscana. Ma la Regione Umbria, intesa come politica, ha mai ragionato sul bacino d’utenza allargato, oppure si è fermata ai meri numeri dei Comuni del distretto? Insomma quando a Perugia si programma si ragiona sui circa 120 mila cittadini potenziali o su numeri sicuramente più bassi? Si è mai pensato ad Orvieto come “Porta dell’Umbria” vera e propria? Dal punto di vista degli investimenti nei trasporti e nella viabilità la risposta è più che chiara, assolutamente no, ma ciò sembra valere, purtroppo, anche in sanità.

A parte Terni, che per ovvie ragioni è un’eccellenza, poi abbiamo Foligno, con alcune specializzazioni di riferimento per l’intera USL Umbria2, Narni-Amelia che supportano il capoluogo, e a Orvieto? La programmazione sanitaria ha preso in considerazione i numeri della patologie croniche, acute e tempo-dipendenti in rapporto, ad esempio, all’età media della popolazione? Ha mai preso in considerazione i costi per il trasferimento di pazienti solo stabilizzati verso Terni per patologie cardiache acute? La mobilità passiva potrebbe addirittura aggravarsi se i cittadini provvedessero alle visite specialistiche e agli esami diagnostici presso strutture fuori Regione pubbliche. Invece in molti scelgono il privato, pagando di tasca propria, almeno chi può, per evitare liste d’attesa da tempi biblici. A proposito, il privato investe in mezzi e professionisti, spesso ex-pubblici, e il gioco vale la candela; perché lo stesso ragionamento non dovrebbe valere nel pubblico? E ancora, perché nel PNRR Umbria, certo poco più di una lista della spesa, gli investimenti nella sanità orvietana sono ridotti al lumicino? Un po’ di telemedicina, non si capisce bene come e con quale specializzazioni incluse, lavori di ristrutturazione del Pronto Soccorso, alcuni macchinari sostituiti (finalmente!) e poi un palazzo di grandissimo pregio vista Duomo, che verrà trasformato in centro salute e residenza diurna per anziani…Verrebbe da dire, tutto qui? 3,3 milioni di euro di mobilità passiva rischiano di crescere ogni anno in maniera esponenziale mettendo a rischio, alla fine, il sistema sanitario. Quali cittadini partono per i “viaggi della speranza” dall’Umbria, allora? E’ poco credibile che siano perugini o ternani o folignati o spoletini. Il territorio che negli anni ha perso appeal, professionalità e con adeguamenti tecnologici dell’ultimo minuto è Orvieto, almeno questo balza agli occhi.

Allora non si può sopportare chi si meraviglia di questo risultato. Non si può sopportare l’indignazione di un’opposizione che ha iniziato la “privatizzazione” dei servizi e il depauperamento professionale dell’ospedale di Orvieto; le liste d’attesa sono un problema annoso e molti primari top sono “andati via” in quegli anni. Oggi l’attuale maggioranza non ha cambiato lo schema, anzi lascia convivere pubblico e privato ma senza il filtro sociale della “convezione”, quindi chi può si cura e chi non può aspetta e prega. A questo punto non resta che attendere il nuovo Piano Sanitario Regionale per capire definitivamente verso quale sanità si vuole andare e soprattutto se e quanto è importante il territorio orvietano per l’Umbria.




La USL Umbria2, l’ortopanoramica a Orvieto funziona regolarmente, operativa dal 2 luglio dopo i lavori

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera della USL Umbria2 che precisa la situazione per le ortopanoramiche e sul nuovo punto vaccinale di Sferracavallo. Dopo la lettera una nostra breve replica.

Cortese attenzione ALESSANDRO LI DONNI

Direttore Responsabile ORVIETO LIFE

Buongiorno Alessandro, per opportuna conoscenza tua e dei tuoi lettori, in relazione all’editoriale “Lettera all’assessore regionale alla sanità Luca Coletto, prima gli Umbri…” ed in particolare al passaggio sulla impossibilità di prenotare una semplice ortopantomografia, sentiamo il dovere di precisare quanto segue:

l’ortopantomografo in dotazione alla Radiologia del P.O. di Orvieto è perfettamente funzionante e non corrisponde al vero sia che, da oltre un anno, non venga riparato sia che non si possano prenotare ed eseguire, da oltre un anno, ortopanoramiche ad Orvieto.

Confermiamo invece che, a seguito dei lavori interni alla Radiologia stessa, lavori propedeutici all’installazione di una seconda Tc 64 strati, l’apparecchio è stato spostato in altro locale e successivamente costruita una paratia piombata a protezione degli operatori sanitari che eseguono l’esame. È evidente che, per la durata delle operazioni suddette, l’apparecchio non poteva essere utilizzato e pertanto sono stati sospesi temporaneamente gli appuntamenti.

Informiamo che, al momento in cui scriviamo, ci sono posti liberi a CUP per prenotare una OPT a far data dal 2 luglio 2021.

Come detto, sarà a breve attiva ad Orvieto una nuova Tc di ultima generazione, a dimostrazione dell’attenzione dell’Azienda sanitaria nei confronti del “Santa Maria della Stella” e del territorio Orvietano.

Abbiamo infine dettagliato le ragioni del trasferimento del Punto Vaccinale Territoriale, da Bardano a Sferracavallo, anche in questo caso rendendo ben evidente che non si è trattato assolutamente di un depotenziamento. Motivazioni che hai correttamente riportato in forma integrale, e di questo ti ringraziamo, nel sito web di informazione che dirigi.

Un cordiale saluto

AZIENDA USL UMBRIA 2

All’Azienda USL Umbria2

Prendiamo atto di quanto ha scritto la USL Umbria2 per quanto riguarda l’ortopantomografo. Ci piacerebbe conoscere la data da cui è partito il momentaneo fermo per i lavori. Da esperienze quasi dirette e certificabili, però, nel mese di maggio non era possibile effettuare a Orvieto tale esame, e da fonti vicine all’ospedale tale problema sussiste da tempo. Riteniamo però che la risposta sia stata esaustiva dei nostri dubbi e soprattutto una bella notizia è che dal prossimo 2 luglio tornerà operativa l’attrezzatura radiologica. Sul punto vaccinale ribadiamo che il problema non è assolutamente della USL, che anzi ha fatto tutto il possibile per risolvere i tempi brevissimi il problema, ma di Regione e Sviluppumbria che non hanno comunicato fin da subito il possibile problema e la possibile sospensione per inagibilità del servizio a Bardano.

Grazie, come sempre, per l’attenzione e la puntualità nell’informare i cittadini.




I coccodrilli “piangono” sulla privatizzazione della sanità e il cittadino paga

Sanità vero punto dolente del nostro territorio.  Non solo di Orvieto perché, e la consolazione è piuttosto magra, anche altrove le liste d’attesa per alcuni esami diagnostici sono lunghissime e gli screening languono.  A dire il vero bisogna sottolineare che alcuni screening di prevenzione oncologica sono comunque stati effettuati ma in molti hanno rinviato per timore del virus. 

Torniamo al territorio orvietano, da tempo penalizzato nelle scelte e che continua ad esserlo.  Basta scorrere velocemente la propria pagina FB per imbattersi praticamente con cadenza quotidiana in post che testimoniano i gravi ritardi per esami e visite specialistiche nelle strutture pubbliche.  Sì, in quelle pubbliche perché ormai, più o meno apertamente, già in fase di prenotazione viene “suggerito” di rivolgersi al privato.  E allora le domande da porsi sono due: è giusto che il privato si sostituisca al pubblico? La politica, e in particolare l’opposizione, perché non interviene in maniera determinata e anche dura se necessario?

Alla prima domanda la risposta è piuttosto evidente, “no”, mille volte “no”.  Il privato giustamente fa il proprio lavoro, investe ed è pronto ad accogliere le legittime richieste di visita, ma deve essere una libera scelta del cittadino.  Non è possibile che si sostituisca la sanità pubblica, gratuita o in concorso di spesa, con quella privata a totale carico del cittadino.  Si parla da tempo di una “privatizzazione” del sistema sanitario umbro strisciante ma sempre più evidente; allora che si faccia in convenzione ma assicurando il primato delle strutture pubbliche con seri investimenti in mezzi e personale. 

Alla seconda domanda la risposta deve essere necessariamente più complessa.  In Umbria abbiamo votato per le regionali con anticipo per i problemi legati proprio alla sanità utilizzata come “ufficio di collocamento degli amici” e la sinistra ha perso le elezioni perché si è resa poco credibile.  L’attuale centro-destra si è presentata spiegando di voler rendere un servizio di eccellenza ai cittadini.  Oggi non è proprio così.  Diminuiscono i servizi, si tagliano presidi e il cittadino soffre.  Il paragone con il Veneto non può valere.  Anche orograficamente l’Umbria è totalmente diversa e le distanze sono ampliate dalla difficoltà nei collegamenti stradali in particolare per alcuni territori, e tra questi c’è sicuramente l’orvietano che avrebbe il vantaggio di avere una struttura ospedaliera che però è in sofferenza per persone e mezzi ma soprattutto per la risposta ad eventuali emergenze e urgenze.  Anche il Veneto entra in sofferenza nell’area montana per motivi simili, così come la Lombardia.  E poi c’è la questione dei numeri.  Non si possono legare le prestazioni esclusivamente alla massa degli interventi e della popolazione, si deve superare questo metodo o almeno si deve inserire quello delle patologie tempo-dipendenti, altrimenti si rischia un peggioramento delle condizioni di vita di un intero territorio se non di un’intera Regione

Per l’attuale opposizione il gioco sembrerebbe apparentemente facile, ma poi, basta andare a ritroso nel tempo, rileggere i dossier delle tante commissioni locali e regionali, per rendersi conto che il processo di privatizzazione era iniziato ben prima e senza paracadute per i meno abbienti.  Ma soprattutto che alcuni territori sono stati impoveriti da tempo.  L’unica USL, prima della ulteriore riforma, ad essere sacrificata fu quella di Orvieto, dai bilanci in equilibrio e con cespiti di tutto rispetto; il nuovo ospedale è stato inaugurato già vecchio; il turn-over dei primari assomiglia molto a quello dei calciatori delle squadre di Serie A di secondo livello e quindi non si è assicurata una crescita sia delle prestazioni che professionale; al centro dei ragionamenti politici c’è Perugia, poi Terni e ancora Foligno, mentre all’orvietano restano le briciole con interventi spot di maquillage che nascondono i difetti ma solo per un breve periodo di tempo.  E Orvieto? E gli orvietani?  Sembrano rassegnati a subire il progressivo e non più lento impoverimento di servizi sul territorio, quasi senza colpo ferire.  Se poi piangono in particolare i coccodrilli allora la reazione non s’innesca.  Nella vicina Pantalla in una domenica assolata e post-lockdown, i cittadini si sono messi a manifestare di fronte all’ospedale insieme ai sindacati, tutti, senza distinzione politica, per difendere un bene comune.  Basterebbe prendere esempio da lì facendo rete, una parola quasi sconosciuta nella Città del tufo, ma che oggi è necessaria per tentare di non perdere ulteriori servizi di primaria importanza e perché vengano rispettati le decisioni unanimi del consiglio regionale in materia di urgenze sanitarie e crescita professionale dell’ospedale.




Il PNRR, tanti sogni e due incubi, sanità e rifiuti. Sindaci, siamo sicuri che va tutto bene?

Il PNRR dell’Umbria è stato consegnato a Roma.  Come quello di altre Regioni è un po’ un libro dei sogni, dove c’è dentro tutto, ma proprio tutto.  E come tutti i libri dei sogni che si rispettano, leggendolo si intravede il progetto futuro di Regione che ha in testa la presidente Tesei.  Si spinge sul digitale, certamente, si implementa la centralità (sic!) di Bastia Umbra, si pensa a una mission adeguata per Terni sempre meno a trazione industriale pesante.  E Orvieto?  Ecco, anche il futuro di Orvieto è disegnato.  Soprattutto è delineato il grado d’importanza della città all’interno dell’Umbria.  Otto volte è citata la città del Duomo; sembrano tante ma nella realtà così non è, visto che l’unica ripetizione e gli unici progetti definiti già nel libro dei sogni riguardano l’incubo-rifiuti.  Sarà un caso?

Ma vediamo brevemente come è pensata Orvieto del futuro per l’Umbria.  I collegamenti dovrebbero essere il piatto forte e invece, solo generici impegni a migliorare, migliorare, migliorare…nulla di più.  Ma cosa e dove?  Sicuramente i collegamenti ferroviari da e per Roma e Firenze, andandosi a collegare in maniera veloce con i due punti extra-regionali dell’AV umbra (il pensiero di utilizzare Orvieto non è mai venuto né a sinistra né a destra) e con l’aeroporto di Roma Fiumicino, quello di riferimento per la città del Tufo.  Sarebbe auspicabile un netto miglioramento della viabilità da e verso il capoluogo regionale nei punti dei cosiddetti “Fori di Baschi” e rendendo meno tortuosa, laddove economicamente sostenibile, la Orvieto-Todi che poi si collega alle E45 per Perugia.  Orvieto città isolata, ma allo stesso tempo di confine con alto Lazio e bassa Toscana e attraversata da tre direttrici di grande traffico nazionale (due linee ferroviarie e una autostradale) dovrebbe avere una sanità semi-autonoma, non si pretende di avere in house anche i trapianti, per rispondere in particolare alle emergenze denominate “tempo-dipendenti”.  Ci ritroviamo con un hospice a due passi dal Duomo e ambulatori, in un punto dalla viabilità difficile e dove auspicabilmente non si dovrebbe proprio arrivare in auto.  Un ospedale DEA di I livello con alcune operazioni di maquillage e una manciata di operatori in più.  Per il resto Orvieto è inserita in “altre città” nel PNRR targato Tesei.

Poi, per finire, c’è l’incubo dei rifiuti, un male ma necessario.  E’ vero, i rifiuti li produciamo tutti ma perché poi il conto lo paga solo uno?  Insomma, anche nell’ossatura del nuovo piano e nel libro dei sogni, Orvieto appare come punto di riferimento per il settore.  Sì da una parte si recupera e si mette in sicurezza il calanco più “antico” quello con i rifiuti importati per intenderci, ma dall’altro non si nasconde più la mano che ha scritto “revamping”.  Sì, ci si è giustamente preoccupati della vicinanza di un possibile futuro impianto di trasformazioni di rifiuti plastici, ancora una volta sempre di rifiuti si parla, perché troppo vicino a zone di alto pregio vitivinicolo, e poco più in là c’è la discarica che dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, rimanere come riferimento per l’intero ATO2, anche se in forma residuale, ma tanto basta per sapere che continueranno gli scarichi a “Le Crete”.  Contro questa realtà hanno alzato la voce, di un tono, sindaci e amministratori, di più, le associazioni, ma alla fine la discarica continua a rimanere a Orvieto come un moloc.

In sintesi, per quanto possibile, questo è il profilo che viene delineato per Orvieto nel “libro dei sogni” della Regione Umbria, un territorio ancora marginale, con qualche “aiutino” di facciata e nulla di sostanzioso e due incubi: la sanità e l’ambiente.  E allora per finire due domande agli amministratori dell’orvietano, semplici e dirette.  Ai sindaci dell’intero territorio piace questa situazione?  I sindaci del territorio sono pronti a combattere fino alle barricate senza distintivi politici?




Ripartiamo dalla sanità! La medicina territoriale e l’ospedale interregionale perno del nuovo sviluppo dell’area orvietana

La discussione sulla sanità con riferimento al territorio orvietano sta finalmente uscendo, seppure con grande fatica, dalle secche in cui è stata relegata a lungo per mancanza di coraggio nel riconoscere i bisogni oggettivi di miglioramento anche del solo stato di fatto e però soprattutto per mancanza sia di progettualità strategica che di dialettica politica costruttiva.   Ora, mentre la gestione della pandemia ha messo a nudo i punti di debolezza strutturale del sistema, la predisposizione e il prossimo avvio del PNRR indicano con drammaticità l’urgenza di quella progettualità strategica che appunto ancora non c’è. Il ritardo va colmato, le responsabilità vanno tutte esercitate. Noi crediamo che questo della sanità sia per il nostro territorio lo snodo del futuro e quindi anche il primo problema politico. 

Nessuno, crediamo, può rimanere indifferente di fronte ad una sfida di questo tipo. Proponiamo dunque all’attenzione delle altre forze politiche, delle organizzazioni sociali e dei cittadini, prima ancora che ai livelli istituzionali, di sviluppare un ragionamento stringente e costruttivo per una proposta di strategia sanitaria territoriale nel quadro provinciale e regionale. Un buon sistema sanitario, infatti, è garanzia di futuro, perché è sicurezza per prevenzione, assistenza e cura, ma anche promozione per attrattività e residenzialità, sviluppo turistico, oltre che deposito e sviluppo di cultura e qualità professionale.  Riteniamo anzitutto che siano principi inderogabili i seguenti:

1. L’Umbria ha il suo principale punto di debolezza nel centralismo e può avere il suo principale punto di forza nei territori.

2. Il territorio orvietano, come d’altronde altri, ha il suo destino in una funzione interregionale, in questo caso tra Umbria, Lazio e Toscana.

3. La sanità ha un determinante ruolo strategico per la funzione del territorio nel quadro di un concreto progetto di sviluppo, beninteso nel contesto di un coerente sistema sia a scala provinciale che regionale. 

Si tratta dunque di portare questi principi generali al livello di un’idea progettuale credibile sia rispetto ai bisogni delle popolazioni del vasto territorio interregionale di cui parliamo, sia rispetto alle logiche complessive del sistema sanitario regionale. Perciò si dovrà prendere atto insieme sia dei limiti attuali che delle potenzialità, e proporre un’idea progettuale forte, necessariamente ambiziosa e realistica, capace di smuovere una situazione stagnante che oggi ci vede candidati, come territorio orvietano, ancora una volta ad essere marginali e a subire scelte maturate altrove. Ma questa volta non si può. Questa volta c’è di mezzo non solo il destino dei servizi di prevenzione e cura, ma il futuro di una vasta area della nostra regione insieme e in comune con i territori vicini.  Per un’idea progettuale strategica a nostro avviso occorrono idee ben determinate su cinque punti, gli stessi che mette a fuoco il documento governativo che riforma il Sistema Sanitario Nazionale (SSN):

1. sistema di medicina territoriale capillare, efficiente, qualificato, tecnologicamente avanzato;

2. assistenza domiciliare dotata di mezzi e di personale sufficiente a garantire un territorio ampio e con molta popolazione anziana;

3. case della comunità collocate in modo razionale nel territorio in modo da rispondere ai bisogni degli utenti svolgendo con efficienza una funzione di prevenzione, di assistenza e di filtro rispetto alla cura, senza pregiudizi di localizzazione;

4. ruolo funzionale interregionale di emergenza-urgenza del nostro ospedale come parte organica sia del sistema ospedaliero provinciale che di quello regionale.

5. Mantenimento del Distretto (il nuovo nome sarà COT, Centrale Operativa Territoriale), che in questo quadro è essenziale.

Il nostro quindi vuole essere anche un contributo al rinnovamento del Servizio Sanitario Regionale nella direzione del nuovo disegno del SSN.  Tenendo conto di ciò, dobbiamo dire che il dibattito è sì uscito finalmente dalle secche, ma non tiene ancora conto delle dinamiche reali e soprattutto non ha raggiunto né il livello delle idee chiare né quello delle scelte condivise, e a questo invece bisogna arrivare rapidamente. Questo è il nostro impegno. Bisogna uscire da tutte le ambiguità. Ad esempio nessun tentennamento sul mantenimento del Distretto e chiara strategia sia per la Casa della comunità che per l’Ospedale con funzione territoriale interregionale.

Per Terni e Narni-Amelia si annunciano finanziamenti significativi. Vero, solo annunci, però almeno gli annunci ci sono. Per Orvieto zero. E questo è un pezzo determinante della partita. Il futuro del nostro ospedale c’è se l’Azienda ospedaliera di Terni verrà pensata come Azienda dell’Umbria Sud-Occidentale che si articola in tre funzioni: Alta Specialità a Terni e spedalità generale, Riabilitazione a Narni-Amelia, DEU di secondo livello per l’emergenza urgenza a Orvieto.  La casa della comunità di Orvieto deve essere ben progettata sia rispetto alle sue funzioni che rispetto alla localizzazione, che non può essere quella dell’ex ospedale in piazza Duomo, sia per ragioni di tipo urbanistico e logistico, sia di funzionalità territoriale, sia di rispondenza alle ragioni dei tempi stretti previsti dalla logica del PNRR. In ogni caso essa deve rispondere prioritariamente ai bisogni di tutela della salute dei cittadini da dovunque vengano e non prioritariamente ad altri scopi.

Questi dunque le analisi, i ragionamenti e le proposte per una strategia territoriale, che fa della sanità territoriale il perno di un nuovo sviluppo. Su questo intendiamo promuovere gli opportuni confronti e le opportune iniziative politiche dando così avvio a quella svolta di strategia progettuale di cui c’è bisogno per non restare indietro e non farci dettare il destino da altri. Ci auguriamo vivamente che gli altri soggetti che hanno responsabilità pubblica convergano su queste idee e che dal più largo apporto collettivo si possa giungere ad un proposta condivisa da portare al confronto con i diversi livelli decisionali.

Franco Raimondo BarbabellaCiviciX Orvieto

Massimo GnagnariniItalia Viva dell’Orvietano

Massimo MorcellaAzione Orvieto




Dalla Sicilia a Orvieto per lavoro, se hai il diabete c’è un “dolce” calvario da affrontare per ottenere i presidi necessari

La cronaca quotidiana ci offre spesso spunto ma la storia che vi raccontiamo oggi ha dell’incredibile e ancora non è giunta a soluzione.  Giuseppe (nome di fantasia) è affetto da diabete insulinodipendente.  Vive a Orvieto ma è residente ancora in Sicilia.  Fin qui nulla di strano.  Arriva il giorno in cui si accorge che stanno per terminare gli ausili che di solito utilizza per monitorare il livello della glicemia e l’insulina con i relativi aghi.  

Inizia a porsi il problema e chiede agli uffici USL come poter usufruire dell’assistenza qui a Orvieto.  Con estrema velocità, nonostante il periodo pandemico, lo specialista dell’ospedale controlla e compila il piano terapeutico che poi il nostro Giuseppe porta agli uffici USL.  Lì scopre di aver sì diritto a tutti gli ausili ma la certificazione e la richiesta deve arrivare dalla propria USL di appartenenza cioè da Palermo.  Nonostante il covid, dunque, i progressi tecnologici e l’avanzata del digitale per il povero paziente poco cambia, se non che si può fare tutto telefonicamente.  Dopo qualche lungaggine finalmente arrivano l’agognato tesserino con il codice a barre dalla Sicilia.  “Che bello, ha pensato Giuseppe, proprio in tempo per rifornirmi di tutto il necessario!”.  Ma l’amara sorpresa è dietro l’angolo.  In farmacia non accettano il codice, non per dispetto, ma semplicemente perché quello specifico codice per quello specifico assistito vale in Sicilia.  “E ora cosa devo fare?”

Giuseppe è quasi rassegnato e preoccupato perché la sue scorte stanno terminando.  Non si può contare sulle amicizie e sul proprio portafoglio perché le spese iniziano ad essere poco sostenibili e poi ne ha diritto!  All’ufficio USL spiegano che la farmacia prescelta da Giuseppe deve telefonare in Sicilia, farsi abilitare il codice e il gioco è fatto.  A parte la stranezza che nel 2021 ancora serva il telefono e non una procedura automatica e digitale, sembra cosa facile.  Giuseppe va nella sua farmacia di fiducia, spiega quello che sembra apparentemente semplice e invece qui inizia l’odissea.  Il farmacista chiama il numero della USL di Palermo indicato dall’impiegato di Orvieto.  Il numero addirittura non squilla, o meglio il trillo è quello tipico del telefono staccato.  Inizia un giro di telefonate fra uffici USL, Giuseppe, farmacista per capire il corretto iter.  Ecco scoperto l’arcano, In tutta Italia il sistema è simile e quindi non servono grandi sforzi ma per la Sicilia è diverso, la piattaforma è dedicata alla Regione.  Quindi il farmacista deve farsi accreditare dalla USL di appartenenza di Giuseppe, farsi accreditare, fornire tutti i codici per il rimborso e per la fatturazione.

Intanto viene reperito un nuovo numero per la USL di Palermo.  In verità dovrebbe rispondere una persona che poi dovrebbe a sua volta, indicare il numero dell’impiegato che prima non rispondeva al proprio telefono.  C’è il nuovo numero ma la musica non cambia, anzi, risulta inesistente.  E allora?  Giuseppe è già pronto a rimettere mano al portafoglio per pagare ciò che non dovrebbe.  Il farmacista orvietano non demorde e studia una strada tortuosa ma veloce.  “Troviamo una farmacia in Sicilia che fa spedizioni di presidi, non di medicine, e il gioco è fatto.  Noi forniamo il codice siciliano, luo prepara il pacchetto e lo invia all’indirizzo di Orvieto”.  Inizia un nuovo giro di telefonate.  Alla terza farmacia sembra che il problema possa risolversi.  Giuseppe è estremamente fiducioso.  Arriva l’ultima cocente delusione.  Il sistema sanitario siciliano è diviso rigidamente in province e quindi anche il farmacista di Messina o Agrigento, dovrebbe seguire lo stesso iter del loro collega di Orvieto, in pratica siamo tutti stranieri in Patria.

Giuseppe ha ancora qualche giorni di autonomia per i vari ausili ma rimane incredulo di fronte all’ultima trovata della burocrazia per complicare la vita a chi ha bisogno di monitorare e curare una malattia cronica e pericolosa.  Ora rimane l’ultimo tentativo, quello di trovare una farmacia a Palermo con un parente disponibile a ritirare gli ausili, impacchettarli e spedirli a Giuseppe ad Orvieto.  Qui la burocrazia non riesce a metterci lo zampino, serve solo la buona volontà.  

Una riflessione questa storia la merita sicuramente.  Il ministro Renato Brunetta, tanto odiato dalla categoria dei pubblici impiegati, ha spiegato che la nuova rivoluzione sarà quella della buona burocrazia.  Ecco ci permettiamo di suggerire al ministro di partire proprio da questa storia per partire con una riforma che, una volta almeno, parta dalle necessità dell’utenza, del cittadino, e non dalla parte esclusivamente dell’impiegato o del funzionario che oggi, troppo spesso, sembra avere diritto di vita o di morte sul privato o sulla partita IVA o sull’impresa che si presenta allo sportello.  Un primo passo potrebbe proprio essere l’uniformità del sistemi e delle piattaforme e una forte spinta verso il digitale.  Rimarrà tutto una chimera o un giorno non molto lontano sarà realtà?