Consorzio Vini Orvieto, nominato il nuova cda, presidente Vincenzo Cecci, vicepresidenti Giulia Di Cosimo e Fabio Vittorio Carone

Il Consorzio Tutela Vini di Orvieto ha nominato il nuovo consiglio di amministrazione che resterà in carica per i prossimi tre anni. Vincenzo Cecci è stato confermato presidente, Giulia Di Cosimo e Fabio Vittorio Carone, ricopriranno invece la carica di vicepresidenti. Di Cosimo sarà chiamata ad occuparsi degli eventi del Consorzio. Il nuovo Cda si completa con i seguenti consiglieri: Alessandro Lattuada, Bernardo Barberani, Chiara Custodi, Corrado Bottai, Emiliano Sirchia, Enzo Barbi, Luigi Petrangeli, Massimiliano Pasquini e Paolo Nardo. Il presidente Cecci spiega così la rielezione voluta all’unanimità dal Cda: “Mi metto ancora al servizio del Consorzio Tutela Vini di Orvieto con rinnovato entusiasmo, anche se in questo mandato cercherò di accelerare il processo di crescita delle nuove generazioni che avanzano. È fondamentale gestire al meglio il presente, ma è ancora più importante progettare il futuro del Consorzio e quindi del vino orvietano. In tal senso – aggiunge il presidente – l’inserimento di Giulia Di Cosimo va proprio in questa direzione e il fatto che si occuperà fin da subito della gestione degli eventi è una decisione che ci vede tutti profondamente convinti data la formazione e la già importante esperienza che Giulia vanta in questo mondo nonostante la giovane età. Pensando proprio al processo di rinnovamento in seno al Consorzio – tiene a precisare Cecci – credo che vada agevolato e, se ci saranno le giuste condizioni, anche anticipato rispetto alla naturale scadenza del mio mandato. Tra gli obiettivi che mi sono prefissato e che ho condiviso con il Cda c’è anche quello di individuare, già nei prossimi mesi, il futuro presidente in una figura giovane e determinata”.

Cecci ricorda, inoltre, che “a fine mese, nei giorni 27 e 28 maggio, avremo un importante appuntamento con il ritorno di ‘Benvenuto Orvieto diVino’. Sarà un appuntamento – conclude – che porterà ad Orvieto giornalisti specializzati del settore anche dagli Stati Uniti. Nei prossimi giorni illustreremo in maniera dettagliata l’intero programma”.




E’ Simone Cascioli il nuovo direttore generale di Confindustria Umbria

Simone Cascioli, classe 1975, è il nuovo direttore generale di Confindustria Umbria. Cascioli ha appena assunto il nuovo incarico dopo essere stato, negli ultimi due anni, dirigente di un’importante multinazionale. Negli anni precedenti aveva ricoperto il ruolo di Responsabile dei Servizi Associativi e delle Relazioni Industriali di Confindustria Umbria.

Il consiglio di presidenza di Confindustria Umbria ha optato per un profilo che avesse già maturato esperienza in ambito associativo con l’obiettivo di rafforzare il processo di innovazione intrapreso negli ultimi mesi e cogliere con sempre maggiore attenzione le specifiche esigenze associative con un particolare riguardo al tema della rappresentanza e al territorio. “Sono convinto – ha sottolineato il Presidente di Confindustria Umbria Vincenzo Briziarelli – che la conoscenza del nostro sistema associativo e la professionalità personale e manageriale maturata in contesti internazionali, permetteranno a Simone Cascioli di svolgere nel migliore dei modi l’incarico che gli è stato affidato. Il nuovo Direttore saprà apportare idee, progettualità e una modalità di lavoro senz’altro rispondenti alle esigenze dei nostri associati, consolidando la rappresentanza, potenziando i servizi presenti e attivandone di nuovi per rispondere alle mutate esigenze di mercato”.




Lo chef orvietano Emanuele Rengo in semifinale nello show di Sky “Il miglior chef Italia”

Il cuore d’Italia è verde? Si, e anche la cucina. Di certo lo è quella di Emanuele Rengo del “Vis à Vis, cucina&eventi” di Orvieto che si è aggiudicato la semifinale della competizione “Il Miglior Chef Italia” di Sky. Rengo – chef umbro e vegetariano – entra a pieno titolo fra i migliori 30 colleghi del Paese. E già c’è attesa per il prossimo turno.
Sono felice di aver avuto la possibilità di portare la mia proposta 100% vegetale a una grande platea come quella nazionale e di Sky“, commenta lo Chef. Poi racconta il suo concept, quello che muove il Vis à Vis, in piazza 29 Marzo a Orvieto. “Il mio lavoro – spiega – è fondato sulla ricerca delle eccellenze italiane e nel pieno rispetto della Natura, dei suoi ritmi. Assecondare i cicli naturali delle materie prime significa portare armonia nella mia cucina: una rivoluzione continua di colori, sapori e abbinamenti creativi”.
Proprio a piazza 29 Marzo – per gli orvietani più comunemente ‘piazza San Domenico’ dalla preziosa Chiesa che vi sorge – sono attese le telecamere di Sky e la troupe al seguito dello Chef Simone Falcini, master della trasmissione. In questo turno, in giro per l’Italia, i 30 Chef gareggeranno ognuno nella propria cucina per aggiudicarsi, poi, la finale a tre. “Questa occasione – sottolinea lo Chef Rengo – mi darà la possibilità di dare maggiore visibilità alla mission di Vis à Vis. Nella mia cucina la tradizione italiana, naturalmente vocata al vegetale, incontra la ricerca di preparazioni e cotture moderne che sempre di più rispettano la materia prima. Una grande attenzione che mira a valorizzare e conservare al massimo le proprietà di ogni cibo. Il tutto dentro la nostra visione complessiva del futuro, di un domani sempre più ‘cruelty free’ e attento al ‘green’ in ogni suo aspetto”.
Prossimo passaggio quindi proprio nel cuore del centro storico di Orvieto, nella cucina di Vis à Vis. Un palco che da sempre Emanuele Rengo condivide con la moglie Rea. “A lei va il mio più grande grazie – conclude – per aver avuto l’idea di aprire la nostra casa con un ‘home restaurant’, 5 anni fa. La sua intuizione da un anno si è trasformata in un vero ristorante che oggi ci permette di far conoscere ad un pubblico sempre più vasto il nostro progetto di cucina e di vita”.




“Con la scomparsa di Alberto Satolli, Orvieto perde una figura stimata e di grande carisma in città”

Si è spento nel giorno di Pasqua l’architetto Alberto Satolli, una figura fondamentale per la città, per la sua storia recente. La redazione di OrvietoLife si unisce al dolore dei familiari e di seguito pubblichiamo il ricordo del sindaco Roberta Tardani, e dell’ISAO.

“Orvieto piange la morte dell’architetto e storico Alberto Satolli, un concittadino illustre, uno studioso meticoloso dalla raffinata curiosità che ha arricchito il mondo della cultura non solo locale ma della storia dell’architettura italiana.

Con la sua scomparsa Orvieto perde una figura carismatica e un esperto autorevole, apprezzato negli ambiti accademici e nella sua città di cui è stato un prezioso testimone delle trasformazioni realizzate negli ultimi anni.   L’architetto Satolli ha lasciato segni importanti nel restauro di significativi monumenti come il Palazzo del Capitano del Popolo o più recentemente il Palazzo Simoncelli, destinato a Centro di documentazione della Ceramica che affaccia sulla stessa piazza del Popolo, e ha dato il suo contributo negli anni Ottanta anche alla scrittura del “Progetto Orvieto”.  Come comunità orvietana avremo molto da ricordare di Alberto Satolli, dagli studi in vari campi di interesse storico, alla produzione di libri, dall’esperienza educativa come docente dell’Istituto Statale d’Arte a quella presso l’Ufficio Urbanistica e PRG del Comune, fino al suo sentire e vivere l’impegno politico.

In questo triste momento, siamo vicini a tutti i suoi familiari e abbracciamo in particolare la figlia Valentina”.Roberta Tardani, sindaco di Orvieto

“L’Istituto Storico Artistico Orvietano comunica con grande dolore che l’architetto Alberto Satolli, sua colonna da almeno cinquant’anni, e suo Presidente per più di un decennio, è purtroppo deceduto questa notte. Alberto Satolli ha saputo portare sempre più in alto il significato storico della nostra Città, in tutti i campi artistici, dall’architettura alla ceramica, dall’urbanistica alla letteratura di viaggio. E ha regalato a tutti gli orvietani libri di un’intensità eccezionale, come il meraviglioso Imago VV (Vrbis Veteris), e tanti, tantissimi interventi con i quali ha saputo dare il suo giudizio, in chiave anche polemica quando ce n’era bisogno, su scelte che coinvolgevano l’assetto, e non solo d’immagine, della Sua bellissima Orvieto. Ha sempre risvegliato le Istituzioni richiamandole con forza critica e con fede assoluta nella Politica: è stata la voce critica di Orvieto, un ruolo scomodo ma necessario!
Il Consiglio Direttivo dell’ISAO, in grande lutto.”




Michelangeli closing – Michelangeli chiude!

I poster con i simboli delle corporazioni delle arti e dei mestieri orvietane che coprono le vetrine della bottega Michelangeli sono un po’ come quelle tendine di pizzo che fanno intravedere qualcosa della casa che si trova dall’altra parte del vetro: non si capisce veramente cosa stia accadendo all’interno, è un vedo non vedo. E credo che gli Orvietani ancora non l’abbiano in effetti capito, altrimenti come spiegare il silenzio (anche delle istituzioni) che è seguito alla notizia, strisciante al punto da non essere presa per vera, che Michelangeli chiude. La retorica del pezzo di storia che se ne va, delle tradizioni che non sono tutelate, l’eventuale “buco” nel tessuto cittadino di un punto di riferimento come quello della bottega, sono tutte considerazioni che lascio ad altri. Quello che mi ha colpito è che un’americana più Orvietana di tanti Orvietani, Erika Pauli Bizzarri, abbia saputo concentrare in alcune sue righe quello che potrebbe essere il pensiero di tutti. Riprendo e traduco, al meglio ma di certo con una resa inferiore, il testo apparso nel suo blog (erikabizzarriorvieto.com).      Voglio credere che ci sia in tutti la forte speranza che qualcuno possa riprendere le redini della bottega e quelle dei cavalli di legno che rimangono a far la guardia al vicolo, con le panche che accolgono ancora le terga stanche dei turisti e degli Orvietani.

Un grazie alla famiglia Michelangeli ci starebbe proprio bene!

 

Michelangeli Closing

C’era una volta un uomo e c’era una volta una bottega ed un vicolo che ne portava il nome. Se si parlava di Michelangeli si parlava di Orvieto e se si parlava di Orvieto nella mente di molti c’era Michelangeli, di norma Gualverio, ultimo di una dinastia di artigiani.

Secoli or sono l’imperatore Diocleziano decretò che i figli dovevano seguire le orme dei padri. Questo accadeva appunto secoli fa ma sembrava ancora naturale che i figli seguissero la tradizione dei padri. Gualverio era cresciuto con l’odore della segatura del legno, ne aveva imparato i segreti e come lavorarlo da suo padre, il quale a sua volta l’aveva imparato dal suo di padre, e questi, ancora prima, dal suo. C’erano anche diversi zii in famiglia e tutti potevano, in qualche maniera, far risalire le proprie origini a Michele, un artigiano nato nel 1789, quando l’Italia non era nemmeno stata unificata.

Gualverio aveva un modo tutto suo di lavorare il legno rispetto a quello dei suoi predecessori, gli piaceva in particolare scoprire la natura nascosta delle fibre, la loro anima. Anche se il suo laboratorio continuava a produrre mobili, Gualverio sembrava in un certo senso essere rimasto bambino e creava un intero serraglio in grado di divertire sia i bambini che gli adulti. Quando venne a mancare  – e non sarebbe stato ancora il suo tempo – il suo spirito venne catturato nell’epitaffio che si volle sulla sua tomba.

Verranno e lo ricorderanno come un mago buono,



abile come pochi a costruire sogni,



frammenti di sole, gioia e di poesia.



Tra le solide mura spugnose di Orvieto

I piccoli animaletti di Gualverio erano regali perfetti per i bambini nati da poco. Con la complicità di un assortimento di piccole rane ho scritto una storia per questi bambini.

C’era una volta – le storie iniziano sempre così – c’era una volta, ma non tanto tempo fa, una città nata su una rupe. Come la nostra.

La maggior parte delle case erano molto piccole e costruite in tufo, ed il tufo aveva visto nascere bambini che erano poi divenuti madri e padri a loro volta e poi nonne e nonni. In questa città le persone erano tranquille. Amavano guardare le nuvole che passavano e si gonfiavano e vedere la luce del sole giocare con le colline vicine. Aspettavano il ritorno delle rondini ogni primavera ed il cambiare dei campi dal verde al giallo dorato del grano. Sapevano che Ottobre significava uva – e pure castagne, quelle che venivano arrostite sul fuoco fino a farne la buccia nera ma sempre dolci nella polpa.

Ora, in questa città, viveva un uomo che aveva tre figlie – amava le sue figlie e amava gli animali. Così un giorno decise di fare dei gatti per loro in modo che potessero fargli compagnia. E poi fece dei cani – e pure dei leoni – ed alcune rane – dimmi che animale vuoi ed io te lo faccio.

Di giorno questi animali facevano credere a tutti di essere fatti di legno, ma di notte, quando nessuno li vedeva, iniziavano a raccontarsi storie su quello che avevano visto durante il giorno. I gatti in effetti non è che dicessero molto – i gatti non sono come i cani e stanno sul suo. Anche le civette erano, per l’appunto, vecchie civette sagge che stavano abbarbicate ai loro trespoli o su rami e quanto più vedevano tanto meno parlavano, e tanto meno parlavano e tanto più ascoltavano, diventando sempre più sagge. Ma c’era anche la famiglia delle rane che faceva un baccano infernale – e credetemi loro non gracidavano – questo è quello che gli adulti vi diranno riguardo alle rane, che gracidano – loro cinguettavano, e fischiavano e trillavano e borbottavano. Tu lo sai fare? Prova e fammi sentire.

Saltellavano in giro per vedere cosa gli altri stessero facendo – saltavano in groppa al cane per essere scarrozzate gratis, giocavano col gatto che provava a prenderle ma senza speranza. C’erano rane grosse e rane piccole, rane verdi e rane marroni. Ed un giorno una coppia di rane saltò in una sfera di plastica e volò dall’altra parte dell’oceano (avrebbero potuto anche nuotare ma ci sarebbe voluto molto più tempo).

Dopo poco arrivarono in una casa a Baltimora dove c’era una bambina di nome Charlotte. Le rane sperarono che lei capisse che potevano essere i suoi amici speciali e a loro lei piacque così tanto che invitarono fratelli e sorelle – alla fine Charlotte scoprì di avere un’intera famiglia di rane, che le faceva compagnia quando mamma e papà avevano i loro problemi da risolvere – e Charlotte era contenta e rideva ed allora anche mamma e papà, dimenticandosi dei loro problemi, ridevano con lei: si poteva quasi toccare quell’aura di felicità che emanava da persona a persona fino a formare una grande famiglia felice, una famiglia che rideva con le rane. Ed è così che Gualverio avrebbe voluto che noi lo ricordassimo. Ora i tempi cambiano, la bottega chiude, Orvieto non sarà più la stessa.




Lei è russa, il marito ucraino, vivono a Orvieto. La testimonianza e il racconto di Elena

Abbiamo incontrato Elena, russa, che vive in Italia da più di vent’anni.  Ha sposato un ucraino e sta vivendo questi giorni con grande emozione, rabbia, commozione.  La rabbia perché il suo Paese ne ha attaccato deliberatamente un altro indipendente, democratico e con un presidente legittimamente eletto.  Con lei abbiamo ripercorso i giorni precedenti, il dibattito e le discussioni sui preparativi di guerra.  Il marito la sveglia e semplicemente le comunica “La Russia ha attaccato l’Ucraina”.  Sono stati momenti difficili, di smarrimento, anche per iniziare a spiegare ai figli cosa stava avvenendo.  Poi il pensiero è andato ai parenti a Kiev, i nipoti, la cognata, il cognato.  Fortunatamente le comunicazioni sono state sempre stabili e hanno iniziato a pianificare il viaggio.  Il cognato è rimasto a Kiev perché militare mentre la moglie e i bambini sono arrivati a Orvieto.  Il racconto del viaggio, le ore di attesa, le bombe, i missili, le paure prima di arrivare in Polonia e respirare aria di salvezza e pace, ma lontani da casa e dagli affetti.

Qual è in questo momento la situazione dei tuoi familiari in Ucraina?

Mia cognata con i suoi due figli, dopo un viaggio lunghissimo è riuscita ad arrivare qui a Orvieto.  Suo marito invece è un militare, quindi è rimasto a Kiev e lavora in ininterrottamente da giovedì scorso.

È notte fonda quando Putin decide di attaccare l’Ucraina. Cosa è successo a casa tua quando è arrivata questa notizia?

La prima reazione è stata d’incredulità.  Non è possibile, stai scherzando, non è una cosa reale. Non ci aspettavano mai una cosa del genere anche se sapevamo che una guerra lunghissima nel Donbass è in atto da tanti anni ma siamo rimasti veramente increduli di fronte alla televisione.   Mi ricordo perfettamente mio marito che mi ha svegliato e mi ha detto, “Elena la Russia ha attaccato l’Ucraina”. In realtà non era un evento totalmente ma nessuno ha voluto credere che Putin lo avrebbe fatto realmente.  E’ vero ha minacciato tante volte ma non si era mai concretizzato il pericolo.  Poi ha iniziato a spingere sull’acceleratore quando hanno iniziato le esercitazioni in Bielorussia.  Alla domanda diretta ha però sempre negato ogni intenzione bellicosa, ma intanto preparava l’attacco.   Qualosa personalmente ho iniziato a temerla quando gli USA hanno evacuato la loro ambasciata a Kiev.  Ma poi abbiamo continuato a non credere che fosse possibile l’invasione, poi mio marito mi ha svegliata e mi ha detto che la guerra era cominciata.  

Dopo un primo momento di plausibile smarrimento avete provato a mettervi in contatto con i parenti in Ucraina.  Ci sono stati problemi?

Assolutamente non ci sono stati problemi. La connessione internet è sempre stata attiva e anche oggi è possibile comunicare nonostante i bombardamenti continui. Appena ci hanno risposto semplicemente li abbiamo convinti a venire qui in Italia da noi. 

Ora tua cognata è qui a Orvieto.  Ti ha raccontato come è stato il viaggio verso la “pace”?

Lei ha provato a partire subito.  Ha preso la macchina con i suoi bambini ma dopo due chilometri ha dovuto rinunciare.  Il giorno successivo, dopo molte ore nei sotterranei, è ripartita.  Ci ha messo 17 ore per arrivare il più vicino possibile al confine.  Un viaggio lungo, difficile, drammatico.  Bombe, controlli, spari ma ha resistito con i suoi bambini.  Poi la sosta e ancora un altro lungo viaggio fino alla dogana con la Polonia.  Solo lì hanno potuto riposare, e soprattutto lì si sono resi conto di essere fuori dall’incubo terribile della guerra.  Ora sono a Orvieto e il suo racconto è stato come un fiume in piena.  Ha visto case distrutte, morti per strada perché le truppe di Putin non si fermano.  Anche Hitler concedeva delle piccole tregue per dare degna sepoltura alle vittime e per soccorrere i civili.  Avete visto anche voi che anche con i corridoi umanitari non c’è alcuna certezza.  Distruzione e morte ovunque!

Da una parte e dall’altra, tutti dicono che russi e ucraini sono fratelli, e certamente anche tra fratelli ogni tanto si litiga, ma non ci si uccide.  Allora come mai tutta questa violenza, invece?

L’Ucraina è stata per lunghissimo tempo sottomessa alla Russia e nel ’34, proprio perché non voleva cadere sotto il controllo sovietico, il regime di Mosca ha provocato la cosiddetta “finta fame”.  Poi è arrivata la tragedia della Seconda guerra mondiale e un nemico più pericoloso e Kiev è entrata definitivamente nell’orbita di Mosca.  Il popolo ucraino ha subito e è stato tradito dai fratelli russi e quindi quando questa folle guerra sarà finita per loro sarà estremamente difficile dimenticare, riabbracciare i fratelli che hanno tradito la fiducia. 

Come avere provato a spiegare cosa sta succedendo e soprattutto come stai cercando di spiegare l’invasione russa?

Io ho provato molto semplicemente a spiegare che la causa di tutto è la mancanza di democrazia.  Il popolo è come un gattino cieco, fa quello che dice la mamma senza ragionare.  Ecco in Russia c’è una persona sola al comando e tutti lo devono seguire.  Se qualcuno prova a deviare dalla strada maestra viene arrestato.  In Russia non si può protestare e chi lo fa rischia il carcere. Anzi, se vuoi protestare devi essere autorizzato dalle autorità, quindi è impossibile.  In questi giorni c’è  stato chi è sceso in piazza e tutti abbiamo visto la polizia arrestare senza alcuna pietà.  Hanno fermato due bambini impauriti con l’unica colpa di avere mostrato due disegni.  Hanno arrestato anziani, donne, giovani che ora perderanno il lavoro.  Le star di cinema e Tv che hanno deciso di schierarsi contro la guerra sono state licenziate in tronco.  Quindi in Russia chi non la pensa come il capo è tagliato fuori dal vivere civile.

I tuoi parenti in Russia li hai sentiti, ti hanno telefonato dopo l’attacco all’Ucraina?

No, non li sento da una settimana e nessuno di loro mi ha chiamato per avere notizie dei mei parenti ucraini.

Ma secondo te perché non chiamano?

Forse hanno paura, ma non ne sono certa. 

Vorrei farti una domanda piuttosto diretta. In Russia c’è democrazia?

No, nella maniera più assoluta.  Secondo la mia modesta opinione per Putin l’Ucraina è una spina nel fianco perché si è aperta la mondo e l’uomo forte non vuole che passi quest’idea.  Il russo che lavora, operaio, contadino, pensionato, non cerca stili di vita nuovi semplicemente perché non li conosce.  Il popolo russo nella sua maggioranza sopporta i disagi della vita quotidiana.  A soffrire sono gli oligarchi e le loro famiglie che sono ormai abituate a vivere all’occidentale e ora per loro è veramente difficile.

Ma allora cosa serve per rompere questo legame forte tra Putin e il popolo russo?

Sicuramente servono maggiori input esterni ma, ripeto. È molto difficile sia per i pesanti controlli della polizia e dell’apparato sia perché molti russi non sono mai usciti dal loro Paese e quindi non hanno conosciuto e non hanno visto come si vive all’estero.

E poi c’è una questione storica che la Russia non hai visto un regime democratico compiuto.  Si è passati dallo zar al regime comunista.  Poi c’è stato un periodo in chiaroscuro con Eltsin che ha gestito il dopo-Gorbaciov e militari.  Proprio Eltsin ha “scelto” il suo successore Putin e da allora non ha mai lasciato le leve del potere.  In Russia si vota per la Duma e per il presidente, ma è praticamente tutto già scritto (ndr).

Ma ora Putin è amato o temuto?

E’ molto difficile da spiegare.  All’inizio aveva un ampio consenso e anche oggi, nonostante tutto la gran parte del popolo è ancora dalla sua parte anche grazie a una propaganda molto efficace che racconta i fatti in maniera totalmente diversa dalla realtà dei fatti.

Dall’altra parte c’è l’Ucraina che invece…

L’Ucraina è una democrazia con tutti si suoi pregi e difetti.  Anche Kiev ha avuto un presidente filo-russo che poi è stato cacciato dal popolo che voleva più Europa. 

Come mai gli ucraini hanno questa grande forza e unità?

Un ruolo fondamentale lo sta giocando il presidente Zelenski.  Un comico, una star della televisione che ha scelto la politica e oggi è il primo a rimanere al fronte, senza apparente paura.  Gli ucraini, come ho già detto, sono stati traditi, si sentono traditi dai loro “fratelli” russi e ora la fratellanza è stata sostituita dall’odio.  Oggi non c’è un nemico più grande che può distrarre dal comportamento violento della Russia.  E poi c’è un forte senso patriottico.  Gli ucraini hanno scelto il loro presidente e da otto anni sono in guerra con la Russia di Putin che vuole smembrare il Paese.  Mosca si è presa la Crimea con un referendum che non ha avuto nulla di democratico e ora vuole prendersi Lugansk e il Donbass, troppo.  Quell’area è importantissima per l’Ucraina perché ricca di materie prime e lo stesso vale per Putin che ha promesso di tutto alla minoranza russa.  Loro hanno creduto e hanno combattuto per otto anni contro l’esercito ucraino con le armi fornite dal Cremlino.  Insomma, è una situazione complessa e difficile da spiegare in poco tempo ma il popolo ucraino non è disposto a cedere sovranità.

Prima di lasciarti andare per il lavoro vorrei farti una domanda sul tuo futuro.  Ma un giorno vorrai tornare in Russia o in Ucraina?

No, non andrò via dall’Italia.  Sono arrivata qui da ragazza e vorrei che anche i miei figli crescano in Italia.

Non ci resta che sperare in una fine della guerra rapida.  Elena continua a spiegarci come la Russia abbia tradito; come gli ucraini stiano combattendo contro il gigante russo con grande coraggio.  La salutiamo e la ringraziamo per la sua disponibilità.  Con parole semplici ha tentato di spiegarci fatti complessi e drammatici; ha ricordato avvenimenti storici che spesso non sono noti ai più e che sono alla base dei tragici avvenimenti di questi giorni.  Allora grazie Elena!




Ciao Ferruccio! Senza di te la stazione non è più stata la stessa…

Ciao Ferruccio, così ti salutavamo ogni giorno e così vogliamo salutarti anche oggi. Ci eravamo trasferiti da pochi mesi da Roma a Orvieto ma il giornalaio per la nostra famiglia era una figura fondamentale. I giornali, i periodici e anche i fascicoli interminabili delle enciclopedie più astruse non mancavano mai in casa. E quel signore con il sorriso, giubbotto invernale, e camicia d’estate, che si notava appena si entrava in stazione è entrato velocemente fra i nomi familiari.

Non era solo il giornalaio, con il suo sorriso e la sua ironia. Era il deposito piccoli bagagli, il punto di ritrovo, l’agenda, il “who’s who” ante litteram, la rubrica telefonica e chi ti rendeva meno snervante l’attesa durante i tanti ritardi dei treni. E ogni volta che ci si fermava davanti l’edicola si apriva un mondo a tratti surreale, con le richieste più strane e non solo da parte di chi Ferruccio lo conosceva, ma da parte di turisti e avventori occasionali. Come dimenticare le indicazioni date in un inglese improbabile ma che tutti comprendevano, “tickets for funicular”…oppure “Carta Unica pagate meno”. Sì, Ferruccio amava il suo lavoro e lo trasmetteva a tutti. Così anche il suo alter ego della mattina Franco, aveva sempre il sorriso anche alle 5 di mattina.

Gli anni sono volati e alla fine anche per Ferruccio è arrivata l’ora della pensione. Così, d’improvviso si è fermata la stazione. Basta deposito bagagli, basta fermo posta, basta servizio informazioni! Lentamente si è spenta la stazione ferroviaria, non più punto d’incontro, ma sala d’aspetto fredda, frettolosa, e con la ferita dell’edicola di Ferruccio chiusa. Ma lui per un po’ di tempo ha continuato a girare con la sua Punto e per tutti c’era un saluto, una battuta, un ricordo del lavoro e poi anche la Fiorentina, la sua passione.

E allora non ci resta che fare le condoglianze alla moglie e al collega Marco, e salutare l’amico Ferruccio, che la terra ti sia molto lieve!




Marcello Meffi, “il covid non è stato pesante, preoccupano le spese, i rincari di beni e servizi e la mancanza di tutele”

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Marcello Meffi la scorsa settimana ha comunicato la sua positività al covid. Ha chiuso la propria attività e le dipendenti hanno iniziato il monitoraggio e a loro volta l’isolamento contumaciale. Meffi ha avuto sintomi nella norma, raffreddore, febbre e gola arrossata e ora attende il prossimo tampone il 21 gennaio per uscire dalla quarantena. I problemi riguardano i costi sopportati in questo periodo e non solo. Negozio chiuso e bollette che sono arrivate con prezzi quasi raddoppiati, in particolare per il gas.

Marcello Meffi è pronto a ricominciare ma lo preoccupano i rincari anche delle merci utilizzate che potrebbero incidere sul costo finale per il cliente.




Francesco Notazio, Bar Montanucci, “il rispetto delle regole viene prima di tutto, basta con voci e pettegolezzi”

La pandemia è un fatto reale, il rischio di contagio è altrettanto reale e l’unica strada percorribile, a oggi, è la vaccinazione senza se e senza ma.  C’è poi il pettegolezzo cattivo, quello che…non si sa mai ma meglio evitare.  Del gossip di provincia le vittime preferite sono persone con qualche notorietà o attività importanti.  E’ questo il caso del Bar Montanucci oggetto di “si dice…”, “sembra che…”.  Francesco Notazio, proprietario dell’attività storica del centro storico, ha deciso di replicare e di presentare la realtà dei fatti, senza infingimenti a tutela del nome e soprattutto della clientela.

Andiamo con ordine, le voci che circolano sono chiare, Montanucci ha violato le regole sulla quarantena.  Che cosa è successo?

Queste voci diffamano la nostra correttezza e per evitare ulteriore fango provo a fare chiarezza e, carte alla mano, sono pronto al confronto con chiunque. I fatti sono semplicissimi.  Un addetto alla cucina, regolarmente vaccinato e in attesa della terza dose già prenotata per gennaio, il 24 dicembre si sottopone a test in farmacia risultando negativo, come il resto della famiglia, visto che la madre aveva una forte bronchite.  Il 26 dicembre la bronchite colpisce anche il nostro dipendente che torna a fare un nuovo tampone e questa volta esce positivo.

A questo punto vi siete attivati per seguire la normativa?

Sono stati sicuramente momenti di grande tensione e comunque certo, abbiamo seguito alla lettera quella che prevedeva il protocollo.  Il 27 dicembre è entrata in vigore la norma per cui non c’era bisogno di un molecolare di controllo, che comunque era stato effettuato il giorno precedente.  Dal 27 è partita la quarantena anche se in cuor nostro speravamo in un falso positivo.  In autonomia abbiamo proceduto a isolare i contatti diretti all’interno dell’azienda chiedendo loro di sottoporsi a quarantena, abbiamo chiuso la cucina e sanificato tutti gli ambienti dove aveva operato l’addetto positivo. 

Ma non eravate già in piena operatività per il 31 dicembre?

Certamente, avevamo già realizzato molte preparazioni del cenone del 31 dicembre.  Con la catena del freddo avremmo dovuto solo rigenerarle.  Il 26 avevamo già più di una trentina di prenotazioni.

E che decisione ha preso?

Ho scelto di disdire le prenotazioni telefonando a tutti i clienti, anche a chi aveva prenotato per l’asporto.  Ho anche chiesto alla band già bloccata per San Silvestro di trovare un altro ingaggio e che avrei comunque onorato l’impegno di spesa, visto che per noi la parola data è fondamentale, nel caso in cui fossero rimasti “liberi”.  Così poi è stato.  Sono venuti a suonare nonostante non avessimo più il cenone.

Ma torniamo ai fatti.  Come si è proceduto con la cucina vista il caso di positività riscontrato?

In pratica non ha mai chiuso il reparto visto che è un ambiente totalmente indipendente.  Un altro addetto alla cucina era già in quarantena perché di ritorno dall’Albania e sarebbe dovuto tornare in servizio proprio il 27, previo tampone negativo, in vista di UJW.  Voglio chiarire, poi, che la pasticceria opera in un ambiente totalmente separato dalla cucina e con orari diversi di lavoro.

Qual è stata la politica aziendale sulla prevenzione covid in particolare durante le festività?

Siamo stati molto scrupolosi e anche personalmente ho iniziato a sottopormi a test dal 23 dicembre con regolarità.

E i dipendenti?

Anche i miei dipendenti hanno seguito la stessa linea di condotta e mi sono sempre adeguato in maniera prudenziale alle norme in vigore. Tutti indossano mascherina ffp2 proprio per limitare ogni eventuale rischio.  Ovviamente siamo rigidi anche nei controlli verso la clientela e a Natale la Guardia di Finanza ha controllato la presenza nel locale di persone munite di green pass e il 30 dicembre abbiamo avuto il controllo da parte dei NAS e, questo lo sottolineo con forza, se siamo aperti significa che abbiamo operato e operiamo nel rispetto delle regole.  Per quanto riguarda, poi, la presenza di no-vax fra i miei dipendenti, perché anche questa è un’altra voce malevola che circola, facciamo chiarezza.  Io ho la terza dose fissata per il prossimo 21 gennaio e è vero, ho alcuni dipendenti che non hanno intenzione di vaccinarsi, una minoranza e non per questo intendo licenziarli, non amo le discriminazioni di alcun genere.  Non condivido la loro scelte ma le rispetto e, sia chiaro, non vi rinuncio per i comportamenti scorretti perpetrati contro chi non la pensa come me.  Per lavorare fanno tutto quello che è previsto dalla legge, quindi il tampone ogni 48 ore e nel caso in cui il governo dovesse prendere decisioni più drastiche sono pronto, come sempre, a rispettarle.  Magari non le condivido alcune scelte, ma non sta a me giudicare, io devo solo applicarle a tutela mia, dei miei dipendenti e dei clienti che quando entrano al Bar Montanucci devono sentirsi in un luogo sicuro e accogliente.




Stefano Corradino di Articolo21 ricorda David Sassoli, politico, cronista ma soprattutto uomo libero e sensibile

La terribile notizia della scomparsa di David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo, è arrivata in piena notte. Le redazioni sonnecchiavano ma il tam-tam è iniziato a risuonare immediatamente. A distanza di meno di 24 ore dall’annuncio che era costretto a annullare tutti i suoi impegni per un ricovero che durava da qualche tempo, è arrivata la notizia che nessuno avrebbe voluto mai scrivere. David Sassoli, prima di tutto un cronista, un giornalista serio, onesto, libero e poi un politico e uomo delle istituzioni. Il cordoglio è generale e noi di OrvietoLife abbiamo chiesto al collega Stefano Corradino, direttore di Articolo21, proprio Sassoli è stato tra i fondatori, di ricordarlo brevemente.

La fisiognomica spesso ci azzecca. I tratti del viso, i lineamenti gentili, l’espressione degli occhi. David Sassoli prima di essere giornalista ed esponente delle istituzioni era uomo di grande sensibilità umana e civile. Sapeva parlare ma soprattutto, sapeva ascoltare. Merce rara. E trattava alla pari l’autorità e il cittadino comune che lo fermava per strada. 

Con noi ha fondato Articolo21. Il 27 febbraio 2002. Quasi venti anni fa. Da giornalista Rai credeva nel valore di un servizio pubblico televisivo che fosse il più possibile autonomo dai condizionamenti di partiti, governi e lobbies. L’informazione libera come requisito fondamentale di ogni democrazia. 

La foto è del 2013. Alla sede del Parlamento europeo. L’europarlamentare leghista Borghezio aveva offeso l’allora ministra italiana Kyenge e io lanciai una petizione sulla piattaforma Change.org. Raccolsi 130mila firme in pochi giorni. Sassoli mi chiamò e mi invitò a Strasburgo. Era ancora europarlamentare, non ancora presidente. Volle metterci la faccia e aderire a quella petizione contro il razzismo.
Antifascista e antirazzista. Sono due valori che hanno sempre contraddistinto la sua vita e il suo impegno civile e professionale