TIC TAC/10: si apre la campagna elettorale piena, piena, piena di…veleni, macho-man e ricerche spasmodiche

Archiviate le feste si torna alla politica parlata, alle discussioni e, a quanto sembra, anche alle liti con tanto di minacce di querela.  Obiettivo, arrivare alle elezioni con pochi danni.

TIC TAC: IL PD ALLA RICERCA DEL CANDIDATO PERDUTO

“Caro candidato ti scrivo così cerco di convincerti un po’…”.  Rimane il dilemma con una novità di questi ultimi giorni.  Il dottore continua nel farsi desiderare nonostante i responsabili del PD abbiamo steso tappeti rossi.  Lo stesso discorso pare che stiano facendo con l’altro candidato possibile, la novità.  Sta crescendo l’ipotesi di una candidatura più “tecnica” di area laico-socialista, già provato in passato dalla politica e dall’amministrazione. 

TIC TAC: A DESTRA PARENTI SERPENTI

Più che Fratelli d’Italia verrebbe da dire Fratellastri d’Italia.  Ormai vivono da separati in casa con tanto di opposizione locale nascente, di destra-destra.  E così anche l’unico partito che era rimasto scevro da liti interne a Orvieto è caduto nella fitta ragnatela.  Prima Forza Italia ai tempi della candidatura Tardani, poi la Lega con i due rimpasti e la mancata sostituzione con altri rappresentanti del partito di Salvini e ora Fratelli d’Italia…Bingo!

TIC TAC: “NON DISTURBARE IL MACCHINISTA”

Se si scrive in maniera critica, se si utilizza la parola “visione”, se si utilizza la parola “declino”, se si scrive “mancano servizi” non sei una persona che ha un’opinione, magari diversa, non sei critico ma un disfattista, nemico da abbattere.  Mala tempora currunt!

TIC TAC: LE BANDECCHIADI CONTINUANO

L’ultima uscita del sindaco di Terni è stata veramente squallida, quella sule donne e gli uomini “normali”.  E’ credibile chi ritiene “normale” un uomo, forse sarebbe meglio scrivere maschio “alfa”, è giusto che guardi il c..o delle donne?  E’ credibile, o meglio è eleggibile?  E a Orvieto chi è pronto a raccogliere l’eredità da “uomo-maschio normale”?




Italia Viva prende le distanze dal dibattito cittadino, “ci sono troppi déjà vu”

Basta parlare di cultura, economia e amministrazione per distinguersi dal solito gioco destra-sinistra, campo largo, ripicche interne, e chi più ne ha e più si allontana dal reale. Dicevamo le note che servono per fare un salto di qualità sono: cultura in quanto  da sempre presente in città ma mai intrecciata con schemi nazionali di riferimento in modo da diventare un bene patrimoniale di tutti. I nostri asset culturali debbono aprirci la strada per una nuova idea di città capace di eventi e fucina di cultura. Presa d’atto della situazione economica dell’area in modo da allargare la ricchezza collettiva e l’offerta, attraverso l’orientamento, la collaborazione con le istituzioni . Aprire altresì una concertazione con gli imprenditori aprendo la funzione pubblica con forme di sostegno e nuove politiche di solidarietà ed economia circolare. Costruzione di sistemi di attenzione a tutti i livelli verso i portatori di interesse economico. Fare una politica in Comune con associazioni, volontariato, giovani semplificando i livelli decisionali. Attivare nuove forme di sviluppo sociale coinvolgendo tutte le generazioni animando l’ascolto, l’impegno sociale, facendo respirare aria nuova a tutta la comunità.

L’ispirazione deve essere il mantra di queste forme di espressione di una comunità come la nostra cosi ricca di storia , di personalità famose, di luoghi eccellenti.La premessa è il cambiamento  attraverso l’ispirazione.Quindi città delle politiche sociali, delle generazioni, della vita alla pari, della salute, verde e pulita, sicura, sostenibile e accessibile, città aperta al mondo. Attenzionare la realtà prendendo le distanze dalla finzione animando una politica comune attraverso un mappa di impegni prioritari con metodo e innovazione.Le note sinora risonanti in città non rappresentano un possibile programma politico e amministrativo, il nostro impegno è di stimolare un progetto collettivo utilizzando parole e azioni che finora sono mancate nella campagna elettorale che appunto ad oggi rivela ancora apatia, disaffezione.

Oltre a fare una prima proposta-valutazione, vogliamo cambiare lessico alla contesa elettorale attraverso questo comunicato ai fini di un rilancio culturale e amministrativo. 




Perugia: così vicina, così lontana…

Nella sua ultima conferenza stampa come Presidente del Consiglio Comunale, Umberto Garbini, che è anche un dirigente di punta di Fratelli d’Italia ad Orvieto e a livello provinciale, ha ribadito senza mezzi termini che non appoggerà mai la ricandidatura di Roberta Tardani. Sempre Garbini ha fatto sapere con chiarezza ch’egli non è solo: una parte sostanziale di Fratelli d’Italia ad Orvieto ha espresso le sue stesse posizioni. È evidente che questo strappo non è frutto di un impazzimento improvviso, né di questioni puramente personali, ma si tratta di una lacerazione che è avvenuta praticamente ad inizio consigliatura e si è allargata nel tempo. I rapporti non sembrano recuperabili, tanto che Garbini, sfidando i dirigenti regionali del suo stesso partito, ha detto che questi dovranno scegliere da che parte stare: se rispettare la volontà del gruppo dirigente orvietano, oppure ignorare gli iscritti orvietani per assecondare logiche di coalizione stabilite a tavolino a livello regionale. Come era prevedibile la risposta del coordinamento regionale di Fratelli d’Italia non ha tardato ad arrivare: il partito regionale sceglie Tardani e la coalizione di destra, contro il volere di Orvieto. Tralascio lo squallore politico ed umano descritto da Garbini riferendosi ai sistemi di epurazione che l’attuale amministrazione avrebbe messo in atto ai danni dei dissidenti interni e di figure professionali di segno politico opposto (il condizionale è d’obbligo, ma temo che si tratti di cose documentabili).

La giunta uscente probabilmente sarà ricandidata secondo una logica spartitoria voluta a livello regionale, esattamente come avveniva nei decenni precedenti (mutatis mutandis), quando sia la regione che il comune erano amministrati dalla sinistra. Certo fa specie che coloro che accusavano la sinistra orvietana di essere succube della matrigna Perugia, oggi con grande disinvoltura si inchinano al volere dei partiti regionali. Questo fatto, per quanto importante in vista delle prossime elezioni, in realtà è soltanto una conferma di quanto abbiamo visto in questi cinque anni. Discarica, ospedale, ambiente, e pendolari: su questi tre temi fondamentali per i cittadini di Orvieto la giunta Tardani ha nicchiato, è stata zitta e buona per non rompere le scatole ai vertici regionali. Quante volte abbiamo sentito dalla sindaca in carica che sanità e trasporti non sono di competenza comunale? Basta andare a riascoltare i consigli comunali (devo dirlo perché tale è la disonestà intellettuale di questa maggioranza che alcuni dei suoi alfieri sarebbero pure in grado di sostenere tutto ed il suo contrario pur di negare l’evidenza). 

La subordinazione della giunta Tardani ai voleri ed alle necessità della giunta regionale a guida Lega danneggia i cittadini di Orvieto. Non è un caso che su ambiente, sanità, trasporti, politiche abitative, turismo, economia, ed infrastrutture siano nati e stiano nascendo gruppi ed associazioni di cittadini che esprimono disagio e viglia di cambiare. Quando le cose vanno bene i cittadini solitamente se ne stanno a casa, lavorano, ed organizzano il proprio tempo libero, la partecipazione cala in maniera fisiologica (basta leggere qualsiasi statistica al riguardo). Invece i cittadini cominciano a mobilitarsi in massa quando avvertono che solo e soltanto il loro impegno personale attivo potrebbe contribuire a cambiare le cose. Orvieto è ad un bivio: o riesce a mobilitare le sue forze migliori per imprimere una svolta, oppure sarà destinata a diventare un parco giochi per i turisti del fine settimana. I problemi sono sul tappeto da anni, alcuni da decenni. Le analisi sono state fatte, tutte. È ora di agire, con l’umiltà di chi sa che le questioni elencate sopra sono molto complesse e vanno affrontate con metodo, programmazione, e con lo sguardo ampio e lungo. Facciamo parte di un territorio vasto ed abbiamo bisogno di proiettarci nel futuro (da qui a dieci, venti anni). Questo richiede uno sforzo di immaginazione e di programmazione insieme, che non possono essere improvvisati.

Chi naviga a vista, come l’attuale amministrazione, fa naufragare Orvieto. I cittadini devono riprendere in mano le sorti della loro città, non si può più attendere che i partiti svolgano i loro giochi, con i loro tempi, e con modalità che appartengono al passato. E questo è un monito, o se volete una previsione: o i partiti istituzionali seguiranno l’onda di rinnovamento che si sta alzando fra i giovani ed i cittadini che hanno deciso di riprendersi le sorti della città oppure continueranno a implodere. Questo non significa prendere delle scorciatoie, tipo venire alle riunioni delle associazioni per vedere di intercettare il malcontento, o blandire possibili candidati per cooptarli, ma significa ascoltare e smetterla di credere di poter continuare a dare le carte.




Quel “carnaio” per Orvieto delle 17 e 20

Uno dei treni maggiormente usati (e odiati) dai pendolari orvietani per il rientro a casa è il regionale veloce 4106 in partenza da Roma Termini alle 17,20.
Dopo una partenza all’alba per il solito estenuante e sfiancante turno di lavoro, tantissimi sono i pendolari orvietani che terminata la giornata lavorativa si incamminano verso il binario sei della stazione Tiburtina per attendere questo treno per l’agognato rientro a casa. Tra i tanti ,in questa umida e uggiosa serata di metà gennaio ci sono anche io.
Mentre mi accingo ad entrare nello spiazzale antistante la stazione, giro lo sguardo meccanicamente verso il grande orologio rettangolare che accoglie i viaggiatori. Indica che mancano pochi minuti alle cinque . Mi lascio trasportare dalla prima e dalla seconda scala mobile che porta al piano superiore. Poi, dopo aver percorso i soliti cinquanta metri del piano dei negozi, mi lascio trasportare, stavolta in discesa, dalle due scale mobili che conducono al binario sei e al binario sette. Sul binario sei transitano i treni diretti al Nord, sul binario sette quelli diretti a Roma Termini. Abbandonate le scale mobili, mi incammino in fondo al binario. Per una ragione dettata dal mio inconscio viaggio sempre nella prima carrozza, quella che precede la carrozza motrice del treno. Con un cenno degli occhi saluto un po’ di persone che conosco, anche loro già in attesa. Scorgo parecchi orvietani. Più o meno sempre gli stessi. Costretti a dover deglutire giocoforza ogni santa sera questa amara cicuta denominata regionale veloce 4106, scelta obbligata per poter rientrare alle nostre abitazioni. Il momento più stressante e faticoso da gestire è questa mezz’ora che precede l’arrivo del treno. Con il notare che ad ogni minuto che passa aumenta la calca umana che si distribuisce sul lungo binario, annotazione mentale che ci fa pregustare quello che ci attende una volta saliti a bordo.
Sarà il freddo, sarà la stanchezza dovuta alla pesante giornata di lavoro, sarà l’umidità che ti entra dentro, ma ogni minuto sembra lungo come un’ora.
Alle cinque e dieci, come ogni sera, arriva il regionale diretto a Terni, partito da Roma Termini alle 17,02. Fino a qualche anno costituiva per i pendolari orvietani una fonte di gioia e di salvezza, il suo arrivo. Fermava a Orte. E i tanti passeggeri che dovevano scendere in quella stazione lo usavano.
E si sfoltiva di molto la folla in attesa sul nostro binario, rendendo il nostro rientro a casa più umano e tollerabile. Ricordo, come in un sogno, che c’erano delle volte che riuscivo persino a trovare posto a sedere e poter così dedicarmi alla lettura di un buon libro. Tanto tempo fa. Ricordi di un’altra vita.
Poi i viaggiatori ternani si sono lamentati per l’affollamento fino a Orte, e quella fermata al loro regionale è stata risparmiata. Da allora i tantissimi pendolari diretti a Orte in questa fascia oraria, sono costretti a usare il nostro regionale, primo treno utile per il loro rientro.
Come ogni sera da un po’ di anni a questa parte, sul regionale delle cinque e dieci diretto a Terni ,salgono non più di una decina di persone.  Alle cinque e venti il colpo d’occhio del nostro binario è da brividi . Il binario è affollato in tutta la sua lunghezza disponibile. Alle cinque e mezza in punto finalmente arriva il nostro treno per Orvieto. Arriva già pieno da Termini, con tutti i posti occupati e già un po’ di gente in piedi, distribuita lungo i corridoi.
Arresta la sua corsa, un fischio lacerante avverte che le porte si stanno per aprire e la fiumana umana, come disperati che in mare si aggrappano a una scialuppa di salvataggio, invade tutti i suoi spazi.
Io, come mio solito, salgo nella prima vettura davanti, quella “attaccata” alla cabina motrice. Neanche sono salito che mi ritrovo schiacciato in un angolo dalla marea umana, incastrato tra il finestrino laterale e la parete del bagno. Un robusto giovanotto, con una borsa di pelle dura dai bordi appuntiti tra le mani, sembra volermi perforare la milza. Provo a girarmi di fianco per evitare il doloroso contatto . Nello girarmi mi ritrovo faccia a faccia con lo sguardo impaurito di una bambina tenuta a fatica in braccio dalla madre. Avrà due o tre anni. Ha i capelli sul biondo e gli occhi con una spruzzatina di azzurro. Mi viene istintivamente da pensare che sarà una bambina del Nord Europa. Rifletto sul fatto che la madre non crolla a terra, vittima dello sforzo, giusto perché manca lo spazio fisico per poter cadere.
Appoggiato addosso, sul mio lato sinistro, un signore prova a sistemarsi alla meno peggio. Avrà poco più di sessant’anni. Indossa una tuta blu tipica di chi lavora in qualche officina meccanica, tuta coperta da un pesante giaccone di pelle color terra. Ha la barba un po’ incolta, il viso segnato da vistose rughe. Rimango colpito dal suo sguardo rassegnato e un po’ abbassato, di chi nella vita ne ha dovute passare tante. Al petto stringe una specie di marsupio, dal quale si scorge un contenitore in plastica, di colore arancione. Certamente un contenitore per mantenere caldo il cibo. Mi sembra quasi di vederlo mentre si accinge a uscire da casa di buon mattino, quando ancora la notte avvolge la rupe, con la moglie che con cura e amore sistema in quel contenitore il suo pasto quotidiano. Mi piacerebbe poter essere seduto, per alzarmi e cedergli il posto. Vago con lo sguardo nel corridoio e nello spazio che separa la prima vettura da quella seguente. Due signori di mezza età, ben vestiti e dal linguaggio forbito, apostrofano a malo modo i politici locali, che ancora una volta sembrano interessarsi a treni e pendolari solo quando si è in prossimità di tornate elettorali. Una signora dagli occhi vispi, un po’ appesantita nel fisico, impreca con tono alterato contro il mondo intero.
Un gruppo di studenti, beati loro seduti, inveisce contro un non ben definito comitato pendolari che ancora parla di incontri e monitoraggi da fare .
Mi viene da pensare che nessun monitoraggio può dare idea più veritiera della condizione di viaggio dei pendolari orvietani di questo treno. Osservando con più attenzione il senso di stanchezza e rassegnazione della gente che mi circonda, mi ritorna alla mente il quadro studiato al liceo. Nel quadro veniva raffigurato il viso sofferente e lo sguardo disperato di una marea di persone “appiccicate” le une alle altre, che venivano, senza soluzione di continuità e per l’eternità, punte con uno spillo per espiare non ricordo bene quale loro colpa . Noi che siamo costretti a viaggiare in queste condizioni, che di umano hanno poco, espiamo colpe che non abbiamo. Siamo vittime innocenti delle gravi mancanze di chi dovrebbe tutelarci e fa finta che non esistiamo. Un lacerante fischio di porte che si rinchiudono pone fine a queste mie riflessioni, fischio che segnala che il treno, dopo la solita attesa serale per dare la precedenza a tutti i treni dell’ Alta Velocità, è in partenza.
Neanche facciamo in tempo a uscire dalla stazione Tiburtina che si avverte un fastidioso “gracchiare” degli altoparlanti. Quel fastidioso gracchiare, così inviso a noi pendolari che ci perseguita anche durante le ore notturne . Infatti, per completare lo scenario da film horror del nostro viaggio, ecco che si manifesta (per l’ennesima volta) l’incubo ricorrente e più odioso per tutti noi. Incubo che ha la forma del tono gentile della voce di una giovane impiegata di Trenitalia, la quale con dire pacato e misurato annuncia che, causa il sovraffollamento sulla linea direttissima, il treno 4106 sarà istradato (per l’ennesima volta) sulla linea convenzionale (detta anche “linea lenta”), nel tratto Roma Tiburtina/Orte, con maggiore aggravio di percorrenza di circa 40 minuti.
Intorno a me le solite imprecazioni, le solite frasi piene di indignazione e i soliti sguardi di colpo diventati ancora più cupi e rassegnati .
Io me ne continuo a rimanere schiacciato tra finestrino e parete del bagno. La borsa di pelle dura del robusto giovanotto ha cessato, per fortuna, di essere come una dolorosa punta di spada poggiata sul mio fianco. Il signore con la tuta blu ancora di più ha abbassato lo sguardo e ancora più accentuate sembrano le rughe del suo viso. La bambina tra le braccia della madre inizia invece a piangere. Un piangere lamentoso, che sembra voler fare da sottofondo al nostro stato di disperati pendolari abbandonati al nostro infausto destino . Pianto che diviene sempre più acuto, che diventa la colonna sonora di questo viaggio di ritorno a casa dai tratti “non umani”, a bordo di questo treno che ogni sera fino a Orte diventa un vero e proprio “carnaio”.
Il “carnaio” per Orvieto delle cinque e venti che, sbuffando e fischiettando con il suo carico di disperazione e sofferenza umana, anche stasera scompare nella notte che avvolge la campagna della periferia romana.

ENGLISH VERSION

THAT “CHAOS” FOR ORVIETO AT 5:20 P.M.

One of the most frequently used (and loathed) trains by Orvieto commuters for the journey back home is the fast regional train 4106 departing from Rome Termini at 5:20 PM. After a dawn departure for the usual exhausting work shift, many Orvieto commuters conclude their workday by heading towards platform six at Tiburtina station, eagerly awaiting this train for their longed-for journey home.

In the damp and gloomy mid-January evening, I find myself among the crowd. As I approach the station’s forecourt, my gaze mechanically turns to the large rectangular clock welcoming travelers, indicating just a few minutes until five. I let myself be carried by the first and second escalator leading to the upper level. Then, having traversed the usual fifty meters of the shopping floor, I let myself be carried, this time downhill, by the two escalators leading to platforms six and seven. On platform six, trains heading north pass, while on platform seven, those bound for Rome Termini.

Abandoning the escalators, I walk to the end of the platform. For some reason dictated by my subconscious, I always travel in the first carriage, preceding the train’s driving carriage. With a nod of the eyes, I greet some acquaintances also already waiting. I spot several Orvieto residents, more or less the same faces. Forced to swallow, night after night, this bitter cup called fast regional 4106, a compulsory choice to return to our homes. The most stressful and tiring moment to manage is the half-hour before the train arrives. Noting that with each passing minute, the human throng increases along the long platform, a mental note that anticipates what awaits us once on board.

Whether it’s the cold, the fatigue from a heavy day’s work, or the dampness seeping in, every minute feels as long as an hour. At five ten, as every evening, the regional train bound for Terni arrives, departing from Rome Termini at 5:02 PM. Until a few years ago, it was a source of joy and salvation for Orvieto commuters. It made a stop at Orte, and many passengers destined for that station used it. This significantly thinned the crowd waiting on our platform, making our journey home more humane and tolerable. I recall, as in a dream, there were times when I could even find a seat and devote myself to reading a good book. A long time ago. Memories of another life.

Then, Terni commuters complained about crowding up to Orte, and their regional train stopped making that stop. Since then, the many commuters bound for Orte during this time slot are forced to use our regional, the first available train for their return. As every evening for some years now, no more than a dozen people board the 5:10 regional train bound for Terni. At 5:20, the sight of our platform is chilling. The platform is crowded along its entire length. At precisely half-past five, our train to Orvieto finally arrives. It arrives already full from Termini, with all seats occupied and some people standing, distributed along the corridors.

It halts its course, a piercing whistle warns that the doors are about to open, and the human torrent, like desperate souls clinging to a lifeboat, invades all its spaces. As usual, I board the first carriage in front, attached to the driving cabin. Before I can even settle in, I find myself squeezed into a corner by the human tide, wedged between the side window and the bathroom wall. A robust young man, holding a hard leather bag with sharp edges, seems to want to pierce my spleen. I try to turn sideways to avoid painful contact. As I turn, I find myself face to face with the frightened gaze of a child held in the arms of her mother. She’s two or three years old, with blonde hair and eyes sprinkled with a touch of blue. I instinctively think she must be a child from Northern Europe. I reflect on the fact that the mother doesn’t collapse to the ground, a victim of effort, simply because there’s no physical space to fall.

Leaning against my left side, a man tries to find a somewhat comfortable position. He’s a little over sixty, wearing a typical blue jumpsuit of someone working in a mechanical workshop, covered by a heavy, earth-colored leather jacket. His beard is slightly unkempt, and his face is marked by noticeable wrinkles. I’m struck by his resigned and somewhat lowered gaze, someone who has had to endure a lot in life. He clutches a kind of pouch to his chest, revealing a plastic container, orange in color. Surely, a container to keep his food warm. I almost picture him leaving home early in the morning, when the night still envelops the cliff, with his wife carefully and lovingly packing his daily meal into that container. I’d like to be sitting, to stand up and offer him my seat.

I wander with my gaze in the aisle and the space between the first carriage and the next one. Two middle-aged gentlemen, well-dressed and with refined language, berate local politicians who seem to show interest in trains and commuters only when elections are imminent. A lady with lively eyes, slightly heavier in physique, curses with an altered tone against the entire world. A group of students, lucky to be sitting, inveighs against an undefined commuters’ committee still talking about meetings and surveys to be done.

I think that no survey can provide a truer idea of the travel conditions of Orvieto commuters on this train. Observing more carefully the fatigue and resignation of the people around me, the image studied in high school comes back to my mind. The painting depicted the suffering faces and desperate gazes of a multitude of people “stuck” together, continuously and eternally pricked with a pin to atone for a fault I don’t quite remember. We, forced to travel in these inhumane conditions, atone for sins we haven’t committed. We are innocent victims of the serious shortcomings of those who should protect us and pretend we don’t exist. A piercing door closing whistle puts an end to my reflections, signaling that the train, after the usual evening wait to give way to all high-speed trains, is departing.

We barely have time to leave Tiburtina station when an annoying “crackling” of the loudspeakers is heard. That annoying crackling, so hated by us commuters, haunts us even during the night hours. In fact, to complete the horror movie scenario of our journey, the recurring and most odious nightmare for all of us manifests itself (for the umpteenth time). The nightmare takes the form of the gentle tone of a Trenitalia employee’s voice, calmly and measuredly announcing that, due to overcrowding on the direct line, train 4106 will be diverted (once again) onto the conventional line (also known as the “slow line”) in the Rome Tiburtina/Orte section, with an additional travel time of about 40 minutes.

Around me, the usual curses, the usual sentences full of indignation, and the usual glances suddenly become even darker and more resigned. I continue to be squashed between the window and the bathroom




Abitare Orvieto: “I cittadini chiamati i soliti soloni e altre meraviglie della città ideale”

La distanza emotiva che da tempo viene avvertita dagli abitanti di Orvieto è quel disagio provocato dalla distanza tra la vita vissuta come cittadino e il racconto stellare che quotidianamente viene fatto di questa città. Questo è uno dei motivi per cui un gruppo di cittadini, Abitare Orvieto, da alcuni mesi, si sta incontrando e confrontando. Il tema che accomuna questo gruppo è quello dell’abitare, inteso nella sua accezione più ampia e, uno degli obiettivi, è tentare di rimettere al centro della politica locale, il suo abitante, protagonista attivo e non solo destinatario delle decisioni del governo territoriale. Un modo semplice per essere aggiornati di quanto viene discusso e deciso rispetto alla nostra città è quella di collegarsi al sito del Comune e vedere in streaming le sedute del consiglio comunale ed è in seguito a questo che alcuni cittadini hanno segnalato quanto ascoltato durante l’ultimo consiglio comunale dell’anno del 27 dicembre 2023.

Durante questo Consiglio, c’è stato un passaggio breve ma intenso: circa due minuti e mezzo in cui questa distanza di cui sopra ha vibrato più di altre volte. Nella conclusione della lettura della relazione del bilancio di previsione, l’assessore Pizzo afferma: “Orvieto è già una città ideale, dove la sofferenza che ho sentito in questi giorni è solo nella testa dei soliti soloni. È una città che attrae investimenti dall’estero. Certo non abbiamo imprese grandi, non abbiamo Amazon che viene ad investire, ma abbiamo una nutrita comunità di privati stranieri che acquistano ed investono in città quotidianamente“. La lettura della relazione è proseguita dichiarando che l’obiettivo di questa amministrazione è quello di potenziare i trasporti con Roma per facilitare l’accesso alla città. Questo sarebbe il preludio “alla fase due“, quella che “attraverso una azione di promozione porterebbe nuovi residenti in cerca di una qualità di vita eccezionale“. 

Seppur abituati a certi interventi da parte di questa amministrazione che invece di affrontare le questioni poste, risponde piccata ad ogni tentativo di rappresentazione delle problematiche dei residenti, riteniamo necessario ricordare che un rappresentante del popolo dovrebbe rivolgersi alla cittadinanza ponendosi in una modalità di ascolto, di confronto, di apertura. E invece, ancora una volta, le difficoltà, i disagi e le preoccupazioni per le mancate risposte su sanità, trasporti, politiche abitative, viabilità e parcheggi, lavoro, politiche per i giovani e ambiente non esistono perché, appunto, per il nostro assessore al Bilancio, “Orvieto è già una città ideale” e la sofferenza è solo nelle teste di alcuni saputi. Soloni, così l’assessore chiama i cittadini che manifestano il proprio sentire e il proprio vissuto. Sarebbe interessante comprendere cosa significhi investire in città per l’assessore. Se per investimento ci si riferisce all’acquisto di immobili, allora bisognerebbe anche chiedersi perché da diversi anni a questa parte il potere di acquisto degli orvietani è calato di molto con il risultato che solo chi viene da fuori è in grado appunto di investire in un immobile nel centro storico. Sarebbe utile sapere se l’amministrazione comunale sia in possesso di dati e stime su quale sia l’apporto economico reale di tali investimenti sul territorio. Cioè, in parole povere, cosa lasciano e cosa portano ai cittadini orvietani questi investimenti in termini di qualità della vita, servizi, prospettive di lavoro. 

Sorvolando sulla questione dei trasporti ferroviari che è talmente centrale per la vita di questo Comune che necessita di una politica reale e non di facili semplificazioni e richieste spot, secondo quanto viene riferito, in sostanza si tratterebbe di attrarre residenti attraverso coloro che fuggono da Roma per ripopolare Orvieto, che invece perde ogni anno i suoi abitanti più giovani per mancanza di opportunità di lavoro. Certo è che questa prospettiva risponde agli interessi di una parte precisa della città: chi ha immobili di proprietà ed ingenti risparmi, chi ha già un lavoro sicuro, chi non deve spostarsi per andare a lavorare, chi può permettersi cure a pagamento in tempi rapidi, insomma: chi sta bene. Ma anche chi, fortuna sua, “sta bene” come si sente nel vivere in una città che perde, giorno dopo giorno, abitanti, attività commerciali, servizi, socialità? Il volume di presenze legate al turismo certamente ha comportato lo sviluppo di attività quali affittacamere, b&b, il settore della ristorazione e l’accesso ad alcuni monumenti. Ma tutto questo movimento, se non organizzato e governato, porta inevitabilmente a delle storture che stiamo già vivendo. Quotidianamente i giornali locali e i social vengono invasi da notizie ordinarie a cui si da un rilievo fiammante, nel frattempo Orvieto sta diventando una città del fine settimana.

Quanto affermato dall’assessore, è stato confermato dalla Sindaca in una recentissima intervista apparsa su “Il Corriere dell’Umbria” che continua ad ignorare la problematica dell’abitare e tenta di spostare l’argomento sulla “contrapposizione”. Questa è una semplificazione che fa comodo ma che non corrisponde alla complessa realtà. “La città senza chi la vive e la abita è inutile, è vuota di bellezza. Ci vuole il cuore, la mente, l’energia, l’intelligenza delle persone perché tutta questa complessa città respiri” (The Passenger – Venezia). 

Quale è la visione di questa città da parte di chi si candida a governarla? Questo è uno dei quesiti che Abitare Orvieto vorrà porre per comprendere quale è la strada che si vuole percorrere per il futuro di Orvieto. Gli altri quesiti saranno frutto del contributo che arriverà da coloro che hanno manifestato interesse verso questo gruppo e che a breve saranno coinvolti in questa azione. 

Fonte: Abitareorvieto.it




Orvieto e lo sfregio della svastica a Foro Boario

L’ultimo sfregio a Orvieto, quello che mancava e che si temeva è arrivato puntuale. Una svastica in bella vista nei pressi del parcheggio di Campo della Fiera, lo sfregio alla città, alla democrazia, alla libertà. Lo sfregio alla città che ha votato all’unanimità la cittadinanza onoraria a Sami Modiano e Liliana Segre e alla città dei Sette Martiri.

E’ il segnale di un degrado culturale che in Italia, non solo a Orvieto, è galoppante. Manca la memoria storica e la politica ha colpe grandissime. Per creare una memoria storica bisogna innanzitutto fare i conti con la propria storia, con quella scomoda e tragica. Lo ha fatto la Germania con in nazismo, chiudendo le porte a qualsiasi rilettura, qualsiasi fantasiosa ricostruzione e giustificazione. Non basta, ha chiuso per legge le porte a qualsiasi tentativo anche timido anche sotto mentite spoglie di ricostituire un movimento politico d’ispirazione nazista. Niente svastiche, niente camice brune, neanche per carnevale.

In Italia i conti sono ancora aperti eppure la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione recita, “E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In deroga all’articolo 48 sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.”
Basterebbe applicarla e invece c’è chi prova ancora a minimizzare o giustificare.

Lo sfregio arriva, chissà quanto casualmente, nei giorni in cui per ricordare la violenta e tragica morte di tre attivisti del Fronte della Gioventù ad Acca Larentia a Roma, è riapparso il tetro saluto romano!

Una volta per tutte, diciamolo, il fascismo è morto e sepolto e lo dicano senza timore i politici locali. D’altronde anche la Presidente del consiglio, Giorgia Meloni ha già sottolineato che “il frutto fondamentale del 25 Aprile è stato, e rimane senza dubbio, l’affermazione dei valori democratici, che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana”.

Questo triplo salto mortale all’indietro nella storia Orvieto non lo merita per l’attenzione alle libertà e ai diritti che ha sempre contraddistinto la città. Certo non manca qualche nostalgico, una sparuta minoranza però. E allora non ci resta che sperare che quel simbolo sinistro di morte e razzismo venga cancellato al più presto, prima che qualche emulo replichi lo sfregio, magari in altre parti della città perchè, si sa, chi imbratta non ha cultura e soprattutto non ha memoria.

ENGLISH VERSION

ORVIETO AND THE DESECRATION WITH THE SWASTIKA AT FORO BOARIO

The latest act of vandalism in Orvieto, the one that was missing and feared, has arrived right on time. A swastika prominently displayed near the parking lot of Campo della Fiera, a defacement against the city, democracy, and freedom. A defacement against the city that unanimously granted honorary citizenship to Sami Modiano and Liliana Segre and is home to the Seven Martyrs.

It is a sign of a cultural degradation that is rampant not only in Orvieto but throughout Italy. Historical memory is lacking, and politics bears significant responsibility. To establish historical memory, one must first come to terms with one’s own history, especially the uncomfortable and tragic aspects. Germany did this with Nazism, closing the doors to any reinterpretation, imaginative reconstruction, and justification. Not only did they close the doors, but they also enshrined in law a ban on any attempt, even in disguise, to reconstitute a Nazi-inspired political movement. No swastikas, no brown shirts, not even for carnival.

In Italy, the reckoning is still open, although the 12th transitory and final provision of the Constitution states, ‘The reorganization, in any form, of the dissolved fascist party is prohibited. In derogation of Article 48, temporary limitations on the right to vote and eligibility for leaders responsible for the fascist regime are established by law, not exceeding five years from the entry into force of the Constitution.’ It would be enough to apply it, yet there are those who still try to downplay or justify.

The defacement comes, perhaps not by chance, in the days when the fascist salute reappeared to commemorate the violent and tragic deaths of three Youth Front activists at Acca Larentia in Rome.

Once and for all, let’s say it: fascism is dead and buried, and local politicians should say so without fear. After all, even the Prime Minister, Giorgia Meloni, has already emphasized that ‘the fundamental outcome of April 25th was, and undoubtedly remains, the affirmation of democratic values, which fascism had trampled and which we find engraved in the republican Constitution.’

Orvieto does not deserve this backward somersault in history, given its attention to freedoms and rights that have always distinguished the city. Certainly, there are some nostalgic individuals, but they are a tiny minority. So, let’s hope that the sinister symbol of death and racism is erased as soon as possible before some imitator replicates the defacement, perhaps in other parts of the city because, as we know, those who vandalize lack culture and, above all, memory.




L’eco centenario della Cappella di San Brizio

“L’arte è stata sempre legata all’esperienza della bellezza”. Sono queste le parole di Simon Weil che papa Francesco riprende nel suo discorso agli artisti tenuto nella cappella Sistina (2023). Lo sapeva bene Signorelli che dipinse ad Orvieto il ciclo dell’Apocalisse. Le sue immagini fanno sognare lo spettatore, aprendogli davanti uno spazio, in cui entrare, respirare, muoversi.

Ed è allora che il capolavoro della rinascimentale cappella di san Brizio riprende vita, ritorna a parlare a me e adesso, a dire quale tipo di umanità o disumanità stiamo costruendo oggi sulla terra. L’arte mette in gioco in modo magistrale la relazione inscindibile fra corpo e spirito. Signorelli e il Beato Angelico sono come “sentinelle” appostate all’inizio del racconto, praticamente nel punto ideale dell’esistenza che è quello di essere spettatore, senza rischiare di compromettersi.   Gli occhi dell’artista sono simili a quelli di un veggente o di un fanciullo, scriveva nel 1965 Romano Guardini, teologo e scrittore cristiano. Il primo infatti interpella l’osservatore mentre l’altro, sembra “scrutare l’orizzonte per scandagliare la realtà al di là delle apparenze”. Chi entrando nella cappella non viene toccato subito nella sensibilità” dello sguardo e della percezione, fino a sentirsi raggiunto interiormente nei pensieri, nelle paure e nei desideri più profondi, a conferma che “la bellezza seduce la carne per ottenere il permesso di passare fino all’anima”? È la capacità dell’artista di “andare oltre”, in una tensione tra storia e profezia, tra presente e futuro che riesce a dilatare i limiti dell’esperienza umana, facendo passare chi guarda dal simbolo alla realtà.


Particolare della Resurrezione della Carne, Cappella di San Brizio

Questa è l’Apocalisse, questa è la rivelazione di qualcosa che non si era mai visto prima poiché Signorelli seppe “guardare le cose sia in profondità sia in lontananza”. Le sue storie smentiscono “l’idea che l’uomo sia un essere per la morte”. Se catastrofi, maremoti e terremoti si abbattono sul mondo per sancirne la fine, le grandiose scene apocalittiche sono anche un inno alla vita che nascerà proprio dalla Fine. Nella Resurrezione della carne i risorti escono dalla nuda terra per ammirare tutta la bellezza di un mondo che sta nascendo, che “si lascia desiderare e cercare”. Una bellezza così meravigliosa da essere ammirata in eterno, come aveva predetto il libro dell’Apocalisse e ancor prima il profeta Isaia: “Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia: non ve ne accorgete!”(43,19). Ognuno esce a fatica dal suolo non per vivere per se stesso, chiuso nella propria individualità, ma per ritrovarsi insieme agli altri, a costruire, a meditare, a contemplare. Il nuovo genere umano non è la mera somma fisica dei singoli, piuttosto un solo popolo e un solo spirito, che aspira al medesimo destino: la felicità. Non così avverrà per la vita dei dannati che, precipitati nell’Inferno, soffriranno la più completa solitudine mentre ciascuno sarà schiavo del suo stesso demone. Questo mondo così “disumano” non è forse quel luogo di morte e di distruzione costruito dagli uomini sulla terra, ogni volta che non hanno saputo stringere legami d’amicizia e di pace, di concordia e d’amore?


Particolare Inferno, Cappella di San Brizio

I risorti invece sono in attesa di quei “cieli nuovi e terra nuova” che in vita non avevano mai cessato di sognare e anelare. E mentre nei fatti dell’Anticristo tutti sono immersi in un grande caos dove regna disuguaglianza e divisione, la scena della Resurrezione è il sogno realizzato, è la fine di ogni egoismo e conflitto, di ogni differenza sociale e culturale; anzi nel nuovo mondo che sta sorgendo “le diversità si integrano” in un’unità che non è uniformità, ma espressione della bontà del “molteplice”. La molteplicità infatti non può essere confusa con la “globalizzazione omologante” che sottomette il mondo, anche quello contemporaneo, alla tirannia dell’Anticristo.

Al suono delle trombe angeliche “i morti risorgeranno incorruttibili” perché l’energia di Dio, che è la potenza della sua grazia, eleverà tutti gli uomini sopra “le divisioni, le fazioni, i narcisismi” del passato. In questo mondo il più forte aiuterà il più debole per il raggiungimento del bene comune e di una pace universale. È la bellezza della nuova umanità che si traduce nei valori più alti dell’Umanesimo come “la difesa della vita e della dignità umana, la giustizia sociale, gli ultimi, la cura della casa comune, il sentirci tutti fratelli”. È la bellezza dei risorti che dialogano e si abbracciano fra loro, riflesso dell’armonia dell’Universo. Per Signorelli, che accolse senza indugi l’arduo compito di dipingere ad Orvieto la più completa dottrina escatologica cristiana mai realizzata nell’arte, il potere dell’immagine era dunque superiore a ogni forma di sapere perché l’arte non è solo arte, ma conoscenza spirituale, e cioè disvelamento di una verità interiore, di una consapevolezza esistenziale!


Particolare del Paradiso, Cappella di San Brizio

E quei corpi, così spiritualmente animati e nello stesso tempo anatomicamente divini, non rappresentano forse, al contrario dell’Inferno, “l’umanità dell’umanità” con cui rinnovare alla radice questa nostra civiltà chiamata ancora oggi a uscire dalla violenza della barbarie? Per far questo c’è però bisogno che la forza della volontà e della libertà umana attinga a quella stessa potenza che ha creato le stelle e che dà armonia all’orbita dei pianeti, a quella stessa luce visionaria senza precedenti che è, che era e che sarà il Verbo incarnato.
Per questo l’arte della cappella Nova è un messaggio che attraversa le generazioni imprimendovi un segno, è una Storia che si protrae nel tempo e che dura millenni. Di fronte all’insieme delle situazioni esplosive e dei fallimenti planetari in atto come le guerre, la crisi finanziaria ed ecologica, le scene dell’Apocalisse sono l’invito più esplicito a riscoprire la speranza messianica, e cioè a ritrovare il piacere e l’emozione di vivere, contribuendo tutti al risveglio di un mondo che, scrive san Paolo, “ad oggi geme e soffre nelle doglie del parto (Lettera ai Romani 8, 22) e che domani vedrà il suo pieno compimento nel Paradiso.




L’atto di nascita di Umbria Jazz Winter nel 1993 secondo il mio ricordo

Era di sabato quell’undici luglio del 1993 e la sera si sarebbe tenuto il Concerto di Umbria Jazz ad Orvieto con il grande B.B. King accompagnato dalla sua Lucille. La location (ormai si dice così) era stata prevista a Piazza del Popolo, proprio nel cuore della città, anche in ricordo delle esperienze simili degli anni ’70.

Quella mattina avevo un impegno improrogabile: dovevo andare a riprendere mia figlia all’aeroporto di Fiumicino di ritorno da uno stage a Malta, ma per il concerto era stato già tutto programmato e stabilito anche perché il grande TIR che trasportava il palco aveva percorso le stesse vie nella primavera scorsa per allestire nel Palazzo del Popolo la manifestazione enologica “Excellentia” di Eugenio Guarducci. Al ritorno da Roma fu immediata la risalita alla rupe per vedere l’andazzo della situazione; arrivo a piazza Cahen e trovo un trambusto di persone, vigili, tavole, transenne e quant’altro che non mi convince. Scendo al volo, faccio pochi passi, vedo Loriana Stella – allora Assessore – e chiedo “che succede?”. “E’ per stasera, l’autista ha detto che il Tir non passa per andare a Piazza del Popolo”!

Discuti? No! A quel punto rimbocchi le maniche, smonti il puzzle e fai in modo di rimettere in ordine le tessere per quanto possibile ed ovviamente al meglio. Non ero solo; con me c’era Angelo Concarella che mi seguiva come un’ombra: spero che chi l’abbia conosciuto ne ricordi l’intelligenza e la stravaganza, ma Stefano gli aveva raccomandato di stare sempre vicino a Pasquale.

Trascorriamo la giornata senza pensare al pranzo, alla sera accogliamo B.B. King, gli approntiamo una cena frugale nei pressi e lui ci propina una decina di “Lucille” mini e di plastica che sono come uno scalpo per il nostro Angelo. Intanto la piazza continua a riempirsi grazie anche alla nuova funicolare che “vomita”, con un continuato andirivieni, centinaia e migliaia di persone; alla fine verranno valutate fra le 13 e 15 mila presenze.

Finalmente intorno alle nove ha inizio il concerto, i due banchi di paninari hanno venduto anche le molliche, noi ci accampiamo nel beckstage (si diceva già così) e tentiamo di mettere a riposo le gambe: ricordo che vicino a me c’era seduto Carlino (Carlo Pagnotta) e l’immancabile Angelo Concarella; più in là Marco Bencivenga, Enzo Valsecchi (per tutti “Orso”), Sergino Piazzoli ed altri venuti o spediti da Perugia.

Il concerto andava alla grande e non poteva essere diversamente; noi là dietro il palco a cominciare a riprender fiato e fare battute, finchè Pagnotta – sul serio o forse – se ne uscì: “A Orvieto Umbria Jazz d’estate ce sta proprio bene” al che Angelo Concarella – inaspettatamente – ribatte: “e perché d’inverno nooo??” Pagnotta lo sente, lo guarda, lo fissa e, con lo sguardo perduto chissà dove, rimane a lungo silente:

ERA NATO “UMBRIA JAZZ WINTER”!

Dopo metà settembre il sindaco Cimicchi mi anticipa che Pagnotta con “Umbria Jazz” e mezza Perugia, all’indomani, sarebbero venuti a Orvieto per organizzare qualcosa a fine anno. Ricordo di aver accompagnato la “banda” in vari posti fra cui il “San Giovenale” dove, anche lì, accennai il motivo della visita, la presunta data, ecc… Eravamo nella sala superiore dove, dal fornice ogivale, si ammira la sottostante piazza; il proprietario ci ringraziò cortesemente e affermò che per la fine dell’anno il complessino però già l’aveva prenotato. Facemmo per uscire e Pagnotta non c’era più: già arrivato a metà piazza, forse passato da qualche finestra per scappare prima di tutti!




Le notti apparentemente sicure a Orvieto tra la mancanza di agenti, poche telecamere e disagio giovanile

Le sere del week-end iniziano a essere costellate da episodi che nelle grandi città verrebbero classificate di ordinaria amministrazione, ma in una realtà piccola come quella di Orvieto destano un certo allarme sociale.  Nulla di trascendentale ma non per chi subisce.  I giardini della Confaloniera che affacciano sulla valle, la sera sono una piccola terra di nessuno.  Spesso ci sono ragazzi che scherzano innocentemente, che bello, ma in altri casi non sono così tranquilli.  E una scazzottata ogni tanto non guasta, come quella avvenuta alcune sere fa che ha visto protagonisti un gruppetto di ragazzi, la gran parte ancora minorenni, aggredirne un altro e conciarlo per le feste. 

Nella notte tra venerdì 22 e sabato 23 nuovamente un parabrezza sfondato in Piazza Vivaria.  Si spera nelle telecamere, tra quelle del Comune e quelle di qualche privato, per riuscire a beccare i responsabili.  E poi ricordiamo i tanti episodi degli ultimi mesi a partire dal lancio di blocchetti di cemento sulle auto dalla rupe, i danneggiamenti in molte zone del centro storico e i furti.

Le apparenti notti tranquille di Orvieto lo stanno diventando sempre meno e il segnale che l’età media dei protagonisti di atti di teppismo, bullismo e simili, si stia abbassando la dice lunga su una “crisi dell’adolescenza” che si sfoga anche in modo illegale.  A far da corollario la gran quantità di bottiglie e bicchieri lasciati in ogni angolo quasi a voler sottolineare, “qui ci sono passato!”. Le indagini partono con le denunce e le forze dell’ordine lavorano di continuo per cercare di prevenire ma manca il personale e di notte una pattuglia serve l’intero territorio comunale per ogni tipo di richiesta.  Il sistema di sorveglianza video è a macchia di leopardo non prevede un controllo attivo h24, quindi è utilizzabile, laddove presente, esclusivamente come strumento d’indagine una volta compiuto il reato, senza prevenzione.

Le forze disponibili, quindi, non sono tantissime, e il ruolo di famiglia e scuola diventa determinante per cercare di prevenire, discutere, comprendere il disagio prima che abbia reazioni violente e sopra le righe.  Senza la collaborazione di tutti, ognuno nel suo ambito, e senza una collaborazione fra tutti i soggetti coinvolti le notti anche a Orvieto rischiano di diventare meno sicure.

ENGLISH VERSION

SEEMINGLY SAFE NIGHTS IN ORVIETO AMIDST A LACK OF POLICE, FEW CAMERAS AND YOUTH DISCOMFORT

The weekend evenings are starting to be marked by incidents that, in large cities, would be classified as ordinary occurrences but in a small reality like Orvieto, they raise a certain level of social alarm. Nothing transcendental, but definitely impactful for those who experience it. The Confaloniera gardens overlooking the valley in the evening become a small no-man’s land. Often, there are youngsters innocently joking around, which is nice, but in other cases, it’s not as peaceful. An occasional scuffle doesn’t hurt, like the one that took place a few evenings ago, involving a group of youngsters, mostly minors, assaulting another and leaving him injured for the holidays.

During the night between Friday, the 22nd, and Saturday, the 23rd, another windshield was smashed in Piazza Vivaria. Hopes are on the surveillance cameras, both those owned by the Municipality and private ones, to identify the culprits. And then, we remember the many incidents from recent months, starting from throwing cement blocks onto cars from the cliff, damages in many areas of the historic center, and thefts.

Orvieto’s seemingly peaceful nights are becoming less so, and the signal that the average age of those involved in acts of hooliganism, bullying, and the like is decreasing speaks volumes about an “adolescent crisis” finding illegal outlets. As a corollary, the large quantity of bottles and glasses left in every corner seems to emphasize, “I was here!” Investigations begin with complaints, and law enforcement works continuously to try to prevent, but there is a shortage of personnel, and at night, a patrol covers the entire municipal territory for any type of request. The video surveillance system is sporadic and does not involve active 24/7 monitoring, so it can only be used, where present, as an investigative tool once the crime has been committed, without prevention.

The available forces, therefore, are not very numerous, and the role of family and school becomes crucial to try to prevent, discuss, and understand discomfort before it has violent and over-the-top reactions. Without the collaboration of everyone, each in their own sphere, and without collaboration among all involved parties, even in Orvieto, nights risk becoming less safe.




PrometeOrvieto, “benvenuto al dr. Carsili, ma risponda alle nostre domande sulla sanità orvietana”

Come tutti gli orvietani, ci auguriamo che possa risolvere i problemi della Sanità nel nostro territorio. Soltanto una raccomandazione: non ci tratti come bambini. Lasci stare le lettere di encomio, parliamo di investimenti e dell’arrivo del personale sanitario mancante.

PrometeOrvieto non ha mai messo in dubbio la professionalità e la competenza di chi lavora ed opera all’interno delle strutture sanitarie pubbliche. Il problema è che non possiamo non definire fortunato quel paziente che riesce a farsi curare nei giusti tempi che sarebbero previsti.

Noi cerchiamo di stimolare le Istituzioni a garantire servizi sanitari adeguati e quindi auspichiamo la creazione di strutture e condizioni di lavoro migliori per tutti gli operatori, in modo che possano operare con serenità e mettere a disposizione dell’utenza la professionalità che indubbiamente li contraddistingue. Ma chi altro dovrebbe fare quanto appena detto, oltre a realizzare le strutture progettate e promesse, dare la giusta soddisfazione alle persone che ci lavorano in modo che si sentano apprezzate e motivate, se non il manager a capo dell’organizzazione sanitaria?

Ci risponda a queste semplicissime domande:

1) è vero no che più del 60% delle prestazioni diagnostico-strumentali sono pagate per l’intero e direttamente da cittadini? 

2) quali conseguenze provoca ciò sul corretto sviluppo del modello sanitario? 

3) quando l’Ospedale d’Orvieto sarà realmente ed operativamente un D.E.A. (dipartimento emergenza accettazione) di primo livello?

4) quando saranno veramente realizzati Casa di Comunità ed Ospedale di Comunità? 

5) ci sono i soldi per fare queste cose? 

Caro Dott. Carsili, eviti di cavalcare quelle lettere di encomio che si sono guadagnati i singoli operatori con la loro professionalità, tanto non saranno sufficienti a dimostrare efficienze che l’organizzazione non riesce a garantire. Le consigliamo di domandarsi come mai un paziente che viene curato bene fa notizia su tutti i giornali come se fosse una vincita al Superenalotto. Non crede che ci sia qualcosa che non funziona? Se proprio vuole dar conto della soddisfazione dei pazienti per i servizi forniti, incarichi un soggetto indipendente ad effettuare sondaggi sulla qualità delle prestazioni ricevute, scegliendo, questo sì, un modo serio e manageriale di procedere.

Sostanza, non fumo per favore!

Buone feste e, se lo vorrà, ci ritenga a sua disposizione.

Fonte: Prometeo Orvieto