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Gli appelli alla guerra santa di Hamas

“Israele esiste e continuerà ad esistere finché l’Islam non lo distruggerà” questo è l’articolo 1 della carta fondativa di Hamas che ebbe una leggera revisione nel 2017 nella forma ma non di certo nella sostanza, che nell’articolo 7 prosegue “Il giorno del giudizio non arriverà finché ì musulmani combatteranno ed uccideranno gli ebrei” e con loro gli “infedeli” ovunque essi si trovino.
È questo il vero tema in discussione in questi giorni drammatici, la sopravvivenza dell’unica democrazia esistente in una ampia porzione di mondo che parte dall’Africa e si spinge fino all’Asia profonda, ai confini della Russia europea.
Chi, in queste ore, sta manifestando per la “causa palestinese” deve essere consapevole che Hamas è una organizzazione terroristica che governa nel terrore il proprio popolo, usato come scudo umano e carne da macello.
Hamas non ha alcun interesse perché si realizzi l’aspirazione del popolo palestinese a creare un proprio stato indipendente e libero, ma quello che cerca e persegue, con odio profondo e disprezzo per ogni codice etico e morale, è la morte degli infedeli, la creazione di un califfato come quella voluta da Isis ed Al Qaeda e con lo scopo di far saltare quello che sarebbe stato l’accordo di pace più importante, quello tra Israele ed Arabia Saudita, tra gli Accordi di Abramo.
Dialogo sabotato dai burattinai infidi di questa situazione esplosiva per il mondo, libero, Iran, Russia, Qatar e Cina, nazioni governate da tiranni dispotici, sistemi teocratici e fanatici che vogliono realizzare un nuovo ordine mondiale, contrario ai valori etici, culturali e morali dell’Occidente.
In tutto questo le prese di posizione nelle università sono forse l’aspetto più preoccupante ed il fenomeno difficilmente spiegabile con razionalità. Negli atenei italiani giovani ventenni organizzano cortei e manifestazioni dove si inneggia “all’intifada” e alla “liberazione della Palestina”, non capendo che non è assolutamente questo lo scopo della guerra di Hamas.
Ad essere tagliata fuori è proprio quella Autorità Nazionale Palestinese, che seppur corrotta e guidata da un leader anziano e debole politicamente come Abu Mazen, laureatosi in Giordania dopo aver studiato a Mosca con una tesi negazionista della Shoah, rappresenterebbe ancora, se ne avesse la forza, quella “Palestina libera” alla quale aspirano i manifestanti. Ma anche lui, Abu Mazen, per propri errori marchiani di valutazione è sotto scacco di una organizzazione terroristica, la Jhiad islamica che ha fatto di Jenin, nei territori amministrati dalla Autorità, una piccola Gaza integralista islamista.
Ed il quadro del terrore si chiude con le milizie di Hezbollah, l’organizzazione in assoluto di emanazione più diretta filoiraniana e teologicamente più vicina agli ayatollah di Tehran, posizionati a nord di Israele con le proprie enclavi in Libano e forse ancora più temibile di Hamas in questo network del terrore.
Grande ingenuità dei nostri giovani universitari, della nostra futura classe dirigente nello schierarsi con Hamas ed ancora di più quella degli atenei americani come Berkley o Harvard, l’università con un record di premi Nobel e presidenti USA, ben otto sfornati nella sua lunga e prestigiosa storia e che ha visto trenta associazioni studentesche firmare un documento farneticante di legittimazione del terrorismo di Hamas, senza spendere una parola per i bambini israeliani sgozzati, per le donne stuprate e rapite, per gli anziani e per le famiglie uccise a bruciapelo nell’attacco di sabato scorso.
Giovani che non provano nessuna forma di empatia, pietà e sconforto per i ragazzi e le ragazze del Rave del Nova Music Festival sterminati nel deserto, loro coetanei con la loro stessa voglia di ballare assieme e godersi momenti di vita e che scelgono di sposare invece la causa di una banda di fanatici assassini, integralisti lucidi nella loro follia nichilista.
E’ una miopia preoccupante, ed ancora più grave che arrivi da atenei cosi prestigiosi e dai quali proverranno i prossimi presidenti, senatori, congressisti degli Stati Uniti.
Facendo proprie le parole delle grande Golda Meir ”Preferiamo il vostro biasimo alle vostre condoglianze” questa sarà, purtroppo, la motivazione per la lotta della propria esistenza che spingerà Israele a difendersi con tutti i mezzi possibili e affinché quella porzione di terra che ora si chiama Gaza non diventi “Hamastan” come vorrebbero le forze dell’odio. Una lotta legittima alla quale non potrà sottrarsi per non soccombere e non vedere realizzato il sogno hitleriano di un mondo senza ebrei, come quello al quale aspira Hamas, emulo dell’esercito nazista.
Nubi nere all’orizzonte per l’intero Occidente e per il mondo libero.

ENGLISH VERSION

The calls for a holy war by Hamas

“Israel exists and will continue to exist until Islam destroys it.” This is Article 1 of Hamas’s founding charter, which underwent a minor revision in 2017 in form but not in substance. In Article 7, it goes on to state, “The Day of Judgment will not come until the Muslims fight the Jews and kill them,” along with the “infidels” wherever they may be.

This is the real issue under discussion during these dramatic days: the survival of the only democracy in a vast region extending from Africa to deep Asia, all the way to the borders of European Russia.

Those who are currently demonstrating for the “Palestinian cause” must be aware that Hamas is a terrorist organization that governs its people through terror, using them as human shields and cannon fodder. Hamas has no interest in fulfilling the Palestinian people’s aspiration for an independent and free state. Instead, it pursues, with deep hatred and disregard for any ethical and moral code, the death of infidels and the creation of a caliphate, much like the goals of ISIS and Al-Qaeda, with the aim of undermining one of the most significant peace agreements – the one between Israel and Saudi Arabia, part of the Abraham Accords.

The dialogue is sabotaged by the sinister puppeteers of this explosive global situation, including Iran, Russia, Qatar, and China, nations governed by despotic tyrants, theocratic systems, and fanatics who seek to create a new world order that contradicts the ethical, cultural, and moral values of the West.

In all of this, the positions taken by universities are perhaps the most concerning aspect, and this phenomenon is difficult to explain rationally. In Italian universities, young people in their twenties organize marches and rallies in which they hail the “intifada” and the “liberation of Palestine,” without realizing that this is by no means the purpose of Hamas’s war.

The National Palestinian Authority is the one being isolated, despite its corruption and the political weakness of its leader, Abu Mazen. If he had the strength, he would still represent the “free Palestine” that the protesters aspire to. However, even he, Abu Mazen, due to his serious misjudgments, is under the influence of a terrorist organization, the Islamic Jihad, which has turned Jenin, an area under the authority, into a small Islamic extremist stronghold.

The circle of terror is completed by Hezbollah militias, the organization that is most directly tied to Iran and ideologically closest to the ayatollahs of Tehran, positioned to the north of Israel with its enclaves in Lebanon and perhaps even more formidable than Hamas in this network of terror.

There is great naivety among our young university students, our future leaders, who side with Hamas. Even more concerning are the positions taken by American universities like Berkeley or Harvard, the latter known for its record of Nobel laureates and U.S. presidents, and where thirty student associations signed a document legitimizing Hamas terrorism without a word for the Israeli children who were slaughtered, the women raped and kidnapped, the elderly, and the families killed in the Saturday attack.

These young people show no empathy, pity, or distress for the boys and girls of the Nova Music Festival who were exterminated in the desert – their contemporaries, with the same desire to dance and enjoy moments of life. Instead, they choose to support a group of fanatical murderers, lucid extremists in their nihilistic madness.

It’s a worrisome shortsightedness, made even graver by its origin in such prestigious universities, from which the future U.S. presidents, senators, and congress members will emerge.

Adopting the words of the great Golda Meir, “We prefer your condemnation to your condolences.” This will unfortunately be the motivation for Israel’s fight for its existence, to defend itself with all possible means, so that the portion of land now called Gaza does not become “Hamastan” as the forces of hatred would desire. It is a legitimate struggle from which Israel cannot escape to avoid succumbing and seeing Hitler’s dream of a world without Jews, a dream shared by Hamas, come to fruition. Dark clouds are on the horizon for the entire Western world and the free world.




I bambini di Kfar Haza

In queste ore drammatiche di guerra tra Israele ed Hamas di scene brutali ne abbiamo viste in quantità e sono state tutte un pugno allo stomaco, uno shock per chi ama e rispetta la vita. Abbiamo visto la ragazza picchiata e strattonata, caricata su una jeep, con il pantalone intriso di sangue all’altezza dei glutei per la violenza sessuale subita. Abbiamo visto il bambino israeliano accerchiato ed insultato da altri bambini come lui, palestinesi, che lo definivano “sporco ebreo” mentre un aguzzino di Hamas infieriva con un frustino sul suo corpo e sul suo viso. Abbiamo visto l’anziana donna in carrozzina dileggiata dai terroristi e deportata a Gaza.
Abbiamo visto Noa, la ragazza portata via in moto dai miliziani e le sue urla disperate che hanno straziato i nostri cuori e le nostre menti. Abbiamo visto tanto ma non avevamo visto tutto. La scoperta di ieri (10 ottobre ndr) dei 40 bambini sgozzati e decapitati dagli assassini inumani di Hamas, quei poveri corpicini dilaniati nel kibbutz di Kfar Haza, assieme al ritrovamento di altri 200 corpi degli adulti arsi, mutilati, uccisi a sangue freddo nello stesso centro agricolo sono lo spartiacque definitivo per le nostre coscienze.
In queste ore improvvidi pseudo storici rilasciano dichiarazioni e scrivono tesi bizzarre su come Israele “se la sia cercata”. Negli stessi frangenti ci sono giornalisti che improvvisano analisi sociologiche spiegando che Gaza è una “prigione a cielo aperto”, il che è vero solamente se si completa la frase scrivendo ”dove i carcerieri ed aguzzini sono i membri di Hamas” organizzazione che tiene ostaggio la propria gente in maniera brutale e la utilizza come carne da macello e scudo umano.
Ed intanto qualche scellerato, ignavo e stolto, volutamente stolto, pedissequamente in malafede organizza manifestazioni, dibattiti, assemblee di sostegno alla ”causa palestinese” e lo fa in maniera assurda ed intempestiva. Lo fa non capendo, o non volendo capire, che in questi frangenti drammatici non si sta combattendo un conflitto tra israeliani e palestinesi ma si sta compiendo uno scontro di civiltà, etico e morale tra uno stato democratico, Israele, con il suo esercito in prima linea per difendere la propria gente, ed a distanza tutti noi, tutto il mondo libero, ed un organizzazione di belve disumane che rispondono al nome di Hamas, Hezbollah e Jihad islamica e sono il braccio tremendamente armato dello stato canaglia degli ayatollah, l’Iran.
Il massacro di Kfar Haza rappresenta l’ennesima conferma che non è in gioco la legittima aspirazione del popolo palestinese ad avere un proprio Stato ma che quanto sta accadendo è il tentativo di una pletora di assassini di sterminare il popolo ebraico, infedele rispetto ai dettami dell’Islam fondamentalista. È il tentativo di compiere un genocidio di stampo nazista e chi ora si mobilita per la “causa palestinese” dovrebbe farlo consapevole che il primo nemico di questa causa è Hamas, seguita dalle altre organizzazioni consorelle. Quel “Palestina libera” che vediamo scandito da gruppetti di giovani nelle università italiane in queste ore è condivisibile ma parziale. La frase completa dovrebbe essere “Palestina libera da Hamas”. Allora si che potremmo essere tutti assieme a manifestare con loro. Ma se quel “Palestina libera” è rivolto a spazzare via Israele no cari studenti, allora non ci siamo, state facendo il gioco dei terroristi e siete fiancheggiatori morali di assassini senza scrupoli, di bestie assetate di sangue che non esitano a decapitare, torturare ed uccidere bambini. A tutti quei nostalgici degli anni della “politica” quando si pensava che essere dalle parte palestinese fosse un dovere morale perché significava essere dalla parte degli oppressi, a loro il sangue e le teste mozzate dei bambini di Kfar Haza si rivolgono e gridano loro di aprire gli occhi e capire esattamente cosa sta accadendo. Israele questa guerra la sta facendo e la farà con ancora più forza e determinazione per proteggere il proprio popolo e la propria gente, ma anche per liberare i palestinesi dal giogo criminale di Hamas.
Se non si è capito tutto questo non si è capito cosa è veramente in gioco in queste ore drammatiche ed i 40 bambini di Kfar Haza saranno assassinati una seconda volta.




Zelensky, una visita significativa

Con un volo di Stato approntato dal governo italiano e scortato da due Euro Fighters della Aeronautica Militare italiana è arrivato sabato a Roma il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
In una capitale blindata e con misure di sicurezza estremamente elevate il leader ucraino ha avuto modo di incontrare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Presidente  del Consiglio Giorgia Meloni ed il Papa. Da parte delle massime istituzioni italiane e vaticane Zelensky ha ricevuto pieno e totale appoggio alla causa Ucraina ed il sostegno incondizionato, soprattutto dello Stato Italiano e del suo governo, mentre a Bergoglio ha potuto rinnovare l’invito a recarsi a Kyiv nel prossimo futuro.
Uno dei passaggi più significativi a livello mediatico è stato soprattutto l’incontro organizzato con i direttori delle principali testate italiane da parte di Bruno Vespa accompagnato dai giornalisti più importanti del panorama nazionale, per una intervista collegiale nel corso della quale Zelensky ha raccontato quanto accaduto prima dello scoppio del conflitto e dell’invasione russa del suo Paese, gli avvenimenti successivi e l’attuale situazione sul campo.
Sicuramente vi è la necessità di un piano di pace che preveda la cessazione immediata delle ostilità ed il ritiro russo in zone dell’Ucraina occupate indebitamente con l’invasione, mentre su altre, come la Crimea, il leader ucraino si è detto favorevole ad un referendum popolare, basato sul rispetto delle regole della democrazia e della libertà del voto e non di certo su elezioni farsa come quelle del Donbass, organizzate dai russi nel 2022, che hanno portato ad annessioni unilaterali di porzioni territorio di ucraino non riconosciute legittime da Unione Europea, Usa e da un numero cospicuo di paesi in sede Onu.
Su quanto accadrà nel futuro prossimo la partita è aperta ma quello che è certo è che questa guerra così inspiegabile e così insulsa, scatenata da Vladimir Putin, un conflitto che sta portando morte e distruzione, renderà molto difficile la ricostruzione di un paese completamente devastato come è l’attuale Ucraina. Uno dei nodi più delicati e che creano uno stato d’animo di imbarazzo e dolore in ciascun cittadino che crede nei valori della libertà e della democrazia nonché del rispetto della vita umana sono quei 20.000 bambini rapiti dai russi in territorio ucraino per essere portati nei territori della Federazione ed essere educati e cresciuti alla maniera russa, facendoli divenire di fatto russi. Questo è forse l’aspetto più odioso del conflitto e rivela il piano putiniano non solo di occupare l’Ucraina ma di far sparire anche l’identità del paese nelle sue fondamenta, russificando i cittadini del futuro. È una guerra all’identità ucraina, spacciata da Putin per una guerra fantomatica al nazismo, che non ha grande senso, soprattutto se si pensa che spinte nazionaliste e neo naziste esistono tanto tra le file russe quanto tra le file ucraine. Basti pensare ai due battaglioni che si fronteggiano, da una parte i mercenari della Wagner, “l’esercito” fondato dall’oligarca Eugeny Prigozhin al soldo del leader moscovita e di regimi autoritari in Africa e dall’altra la Brigata Azov che si distingue nei simboli, nei motti e negli ideali propugnati per essere vicina al nazismo hitleriano.
Se nella Azov, ormai decimata, vi sono questi elementi aberranti e condannabili, sicuramente da reprimere, questo non può e non deve giustificare una aggressione come quella di Putin, che sta durando ormai da troppo tempo e che è accompagnata nel suo paese dall’assenza totale dei principi elementari della democrazia, del mancato rispetto per la libertà di opinione e di stampa e dalla dura repressione del dissenso.
Il futuro della pace in Europa si gioca in Ucraina e la sfida è di vitale importanza.
Quando Zelensky afferma che proprio lì, difendendo l’Ucraina si difende l’intero continente non può essere considerato solo uno spot della sua propaganda ma è molto vicino alla realtà.
Sono ben note le mire russe sui paesi circostanti e questo fa comprendere perfettamente che Kyiv rappresenta una ultima diga ad un espansionismo dalle imprevedibili conseguenze per tutti noi.




Mandato di arresto per Putin

Il mandato di cattura internazionale firmato la scorsa settimana dalla corte penale dell’Aia nei confronti del presidente Vladimir Putin, ufficialmente ricercato con l’accusa di crimini di guerra per aver deportato bambini e adolescenti ucraini in Russia, segna sicuramente un punto di svolta in quella che è la storia del conflitto tra Russia e Ucraina ormai in atto da oltre un anno. Stesso provvedimento nei confronti di Maria Lvova-Belovs, la commissaria di Mosca per i diritti dei bambini che ha curato personalmente all’inizio dell’invasione russa  i trasferimenti e l’organizzazione degli orfanotrofi dei minori nelle nuove famiglie e negli orfanotrofi  di bambini ucraini.

Sono almeno 6000 le deportazioni documentate dai  rapporti internazionali e si tratta di bambini ed adolescenti strappati  alle famiglie ma anche di orfani che sono stati chiusi nelle strutture russe per essere “russificati” e sottratti  all’influenza della patria natia.È di queste ore anche la notizia della scomparsa di un bimbo di 6 anni italiano, figlio di un veronese e di una ucraina filorussa e portato via dal Donbass dove lo aveva condotto la mamma poco dopo la nascita.
Assieme alle immagini dei bombardamenti e di morte e distruzione causati dall’invasione russa in Ucraina è forse questo l’elemento più atroce e sconvolgente di una guerra della quale si faticano a capire motivazioni ed obiettivi. Sapere di bambini utilizzati come bottino di guerra o merce di scambio, strappati alle proprie famiglie e rieducati facendo perdere loro le origini e gli affetti, è qualcosa che fa tornare  alla mente in maniera raccapricciante i periodi più brutti dello scorso secolo, quelli legati alla seconda guerra mondiale, alle deportazioni ed alle persecuzioni naziste.
È questo il primo passo perché si arrivi all’incriminazione per genocidio del  nuovo zar di Russia, che pone Putin sullo stesso piano di dittatori e criminali di guerra come il serbo Milosevic, il presidente del Sudan Bashir oppure il leader libico Muammar Ghedaffi.
Un colpo mortale all’immagine del presidente russo che lo rende un paria nei 123 stati che aderiscono al Trattato di Roma del 1998 dove si istituì il Tribunale Internazionale per crimini di guerra.
Il rischio di ritorsioni russe nei confronti dei paesi europei è altissimo ed allo stesso tempo e’ questo l’ennesimo capitolo di un conflitto, quello tra Putin con la sua nomenclatura ed i paesi  occidentali, per il quale sta diventando sempre più difficile trovare una soluzione negoziale e il ricatto dell’uso dell’arma atomica da parte del leader di Mosca un pericolo sempre più incombente.
Anche se gli effetti pratici di questa sentenza saranno nulli e’comunque un capitolo che può cambiare le sorti della storia in maniera sostanziale e dare una svolta al conflitto.




La rete Città Slow pronta a inviare aiuti concreti alle città “gemelle” polacche che ospitano i rifugiati ucraini in fuga dalla guerra

Citta Slow con la sua rete si è mobilitata per sostenere i profughi ucraini che si trovano in Polonia. “Cittaslow Mayor – to – Mayor”, tradotto da sindaco a sindaco a indicare l’estrema concretezza del progetto. Per tutte le questioni logistiche e operative si è innescata una seconda catena di solidarietà tra varie associazioni locali, enti e la Funzione Associata di Protezione Civile dell’Orvietano che poi partirà materialmente alla volta di Górowo Iławeckie e Olsztyn nella regione polacca della Warmia Mazuria.

La Polonia, che è il secondo Paese per dimensioni della rete Citta Slow dopo l’Italia, si è mobilitata immediatamente per ospitare i profughi, coloro che fuggivano e ancora fuggono da una guerra voluta da Putin La città di Górowo Iławeckie proprio al confine settentrionale, sta dando ospitalità, case e assistenza a migliaia di cittadini ucraini. Proprio Jacek Kostka, vicepresidente di Cittaslow International nonché Coordinatore della Rete Polacca e sindaco della Cittaslow di Górowo Ilawecie, in collegamento ha spiegato che “la città è fortemente sotto pressione ma nessuno si tira indietro, tutti aiutano e mia profondamente colpito che a ospitare i profughi siano stati semplici cittadini nelle loro case. Ora dobbiamo rendere tutto più organizzato e rendere stabile nel medio periodo le abitazioni per il popolo ucraino fuggito dalla guerra. Per questo abbiamo chiesto beni concreti di utilizzo quotidiano e ringraziamo la rete italiana di Citta Slow per la grande solidarietà dimostrata”.

Già nelle scorse settimane, due TIR con beni di prima necessità sono partiti dalle Cittaslow di Asolo, Follina e Farra di Soligo in Veneto e diretti alla Cittaslow di Lidzbark, in Polonia. Ora, grazie all’azione congiunta e alla campagna di fundraising per la raccolta fondi realizzata da Cittaslow e Protezione Civile dell’Orvietanomercoledì 11 maggio partirà per la Polonia l’ulteriore importante missione CITTASLOW MAYOR-TO-MAYOR / DA SINDACO A SINDACO. La colonna composta da un TIR di 13 metri e altri 3 automezzi organizzato dalla Rete Cittaslow, sarà accolto la sera del 12 maggio a Olsztyn – Socio Sostenitore di Cittaslow International – nella Regione Warmia Mazuria. Quello in partenza è il terzo carico di aiuti raccolti dai Comuni della Funzione Associata di Protezione Civile dell’area interna “Sud-Ovest Orvietano”. Il primo era stato inviato a cura della Regione dell’Umbria tramite il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile; il secondo diretto alla Città di Prudnik (sede di Cittaslow) era arrivato a destinazione attraverso la Croce Bianca di Umbertide.  Del carico fanno parte generi di prima necessità, farmaci generici e per ospedali ma, a conferma dell’estrema concretezza, anche 10 lavatrici, 100 power bank, 40 letti a castello. Poi ci sono 4 bancali di farmaci, mille tute per saitai e altrettante coperte termiche. 4 bancali di generi alimentari, materiale per l’igiene, pannolini per bambini e attreazature di primo soccorso. A guidare la carovana di aiuti saranno Gian Paolo Pollini e Giuliano Santelli della Funzione Associata di Protezione Civile dell’Orvietano.

L’iniziativa è stata possibile grazie all’organizzazione di molti. Il Comune di Tirano si p occupato dell’acquisto di generi alimentari, la Prociv di Orvieto dei medicinali e ha orgnaizzato il trasporto con i costi sostenuti dalla Fondazione CariOrvieto. L’associazione Piccolomini Febei ha garantito il supporto amministrativo con oltre 13.990 euro incassati e poi erogati e altri 1.990 euro di versamenti dei cittadini.  “Fare rete e collaborare tra soggetti diversi – ha spiegato il segretario generale di Cittaslow, Pier Giorgio Oliveti – è l’unico modo di rendere efficace e concreta la nostra solidarietà ad un popolo che da due mesi è finito nell’orrore della guerra. La peculiarità del progetto Cittaslow è quella di rispondere a bisogni reali e specifici, segnalatici dalle nostre Cittaslow polacche, in particolare quelle più prossime all’Ucraina. Gli aiuti sono mirati, e l’acquisto dei beni è fatto in funzione delle esigenze localiJacek Kostka, sindaco della Cittaslow di Górowo Ilawecie, accoglierà la colonna di aiuti della Protezione Civile di Orvieto e li distribuirà”.
Franco Spada, sindaco valtellinese di Tirano, Comune tra i maggiori conferitori di aiuti ai profughi ucraini in Polonia, ha evidenziato che “la bellezza di dare continuità a questa operazione è che non è un episodio isolato. Come Cittaslow abbiamo sentito il dovere di attivarci sin da subito, tanto che il 25 febbraio ho convocato i residenti e proprio da loro sono giunte le disponibilità a dare accoglienza. Siamo un Comune di confine, quindi non potevamo che farci parte attiva in questa tragedia. In Consiglio Comunale di recente abbiamo discusso di questa emergenza sottolineando che l’unica arma che abbiamo siamo noi stessi e la nostra capacità di accogliere, come anche la storia della Seconda Guerra Mondiale ci dimostra, con il passaggio degli ebrei accolti nei nostri territori”.

“La nostra è una realtà molto solidale e la Città di Orvieto è stata tra le prime comunità a farsi carico dell’accoglienza, avendo da lungo tempo una nutrita comunità ucraina residente – ha affermato il Sindaco, Roberta Tardani – abbiamo una rete di Protezione Civile efficiente chiamata spesso a gestire le emergenze e ci siamo fatti carico di dare supporto a queste popolazioni prima ancora che fossero definiti i protocolli di intervento. La solidarietà e la sussidiarietà rientra nelle prerogative delle Cittaslow. È qualcosa di impegnativo ma anche necessario. I complimenti per Cittaslow sono di routine, ma in questo momento in particolare c’è stata un’ottima prova dell’importanza di fare rete per aiutare chi sta peggio di noi con un sostegno alle popolazioni fatto con mezzi e capacità di gestire e di organizzare”.

“E’ estremamente importante che la rete dimostri di essere vicino all’Ucraina – ha affermato il Sindaco di Ficulle, Gian Luigi Maravalle – un grande riconoscimento va dato alla Protezione Civile che ha una struttura qualificata e ben organizzata e a Cittaslow. Non possiamo non essere vicini ad un popolo che rischia di essere la pedina di un più grande scacchiere geopolitico. Per il forte legame risalente ai tempi dell’incidente nucleare di Cernobyl quando alcuni bambini vennero accolti nella nostra comunità dove poi sono tornati da adulti, oggi il Comune di Ficulle ha rinnovato quel rapporto e si è prontamente attivato accogliendo bambini alcune famiglie di rifugiati ucraini in abitazioni private e i bambini che sono ben inseriti e integrati nelle strutture scolastiche. Ma ci stiamo impegnando per fare molto di più”.

“La Funzione Associata di Protezione Civile dell’Orvietano – ha concluso il coordinatore, Gianpaolo Pollini – ha partecipato con entusiasmo all’iniziativa di Cittaslow che ha giocato il ruolo maggiore dal punto di vista della raccolta fondi per l’acquisto di materiali urgenti espressamente richiesti dalla rete Cittaslow della Polonia”.




Welcare, con il supporto della Protezione Civile, dona 25 mila euro di suoi prodotti sanitari all’Ucraina

Welcare Industries, specializzata nella produzione di dispositivi medici per la cura e il benessere della pelle, si è mobilitata a favore della popolazione ucraina donando prodotti per l’igiene personale e la medicazione di ferite. L’azienda di Orvieto ha deciso di dare il proprio contributo, fornendo beni essenziali per le persone che si trovano a fronteggiare l’emergenza nei territori interessati dal conflitto.

In particolare, sono stati donati prodotti per garantire l’igiene di adulti e bambini, oltre a dispositivi per il trattamento di lesioni di varia natura, per un valore complessivo di circa 25mila euro.

“Ci è sembrato doveroso – sottolinea Fulvia Lazzarotto, CEO di Welcare Industries –dare il nostro aiuto a coloro che stanno soffrendo a causa della guerra. La nostra azienda è da sempre attenta alle esigenze delle persone: siamo in prima linea negli ospedali e i dispositivi medici che sviluppiamo e produciamo sono destinati alla cura della pelle, di adulti e bambini, oltre che al trattamento di ferite. Ci sentiamo quindi particolarmente vicini ai cittadini ucraini, specialmente ai più vulnerabili come anziani e neonati, che in questo momento hanno bisogno di materiali di prima necessità e per il primo soccorso”.

L’iniziativa è stata realizzata con il supporto della Protezione civile di Orvieto, con cui l’azienda ha già collaborato in passato e alla quale, nelle scorse settimane, sono stati consegnati i prodotti destinati all’Ucraina. “Nei contesti di guerra, dove bisogna fronteggiare anche il problema legato alla scarsità dell’acqua – conclude Fulvia Lazzarotto – avere dispositivi per la detersione e per la medicazione delle ferite è molto importante. Ecco perché abbiamo sentito la necessità di fare immediatamente e concretamente la nostra parte”. 




Il 25 marzo ISAO presenta, “le affinità tra Italia e Slovacchia”, all’Auditorium della Fondazione CRO

Venerdì 25 marzo 2022, alla Sala Auditorium di Palazzo Coelli, sede della Fondazione CRO, Lamberto Ferranti, studioso di storia e letteratura ceco-slovacca, terrà una conferenza dal titolo: L’Umbria come culla della Repubblica Ceca e della Repubblica Slovacca. La Legione ceco-slovacca del 1918.

Alla base di questo interessantissimo episodio della Prima Guerra Mondiale c’è l’evidenza di quanta affinità legasse l’Italia alla Boemia – Moravia e alla Slovacchia: se non altro, entrambe le popolazioni si sentivano oppresse dal comune “padrone” asburgico. E infatti Lamberto Ferranti metterà in evidenza come l’Italia, nella Prima Guerra Mondiale, riuscì a costituire con i prigionieri cechi e slovacchi una Legione (nel Bollettino della Vittoria è citata come Divisione), che ricevette la sua bandiera nel maggio del 1918, quindi sei mesi prima che il nuovo Stato cecoslovacco vedesse ufficialmente la luce! L’Umbria, e specialmente la città di Foligno dove furono addestrate quelle forze armate, ebbe una notevole parte in questa rinascita nazionale. Infatti l’azione degli esponenti politici sia italiani, sia cechi e slovacchi, verso la fine della Prima Guerra Mondiale si stava facendo sempre più pressante per l’impiego di quanti, nei campi di prigionia, erano pronti ad impegnarsi, combattendo per il riscatto e la liberazione della loro patria. Nell’aprile del 1918, finalmente, il governo italiano fece affluire migliaia di prigionieri nell’Umbria, dove venne costituita una divisione, spesso definita anche legione. Che era forte di circa 10.000 uomini, con parte dei quadri e degli specialisti italiani, e composta da due brigate. A Roma il 24 maggio 1918, sul Campidoglio, furono consegnate le prime bandiere ai legionari, tutti in divisa da alpino ma con mostrine bianco-rosse e, sul cappello, il falco al posto dell’aquila. A metà giugno, sul Piave, un primo battaglione schierato sulla linea del fronte superava brillantemente la prova del fuoco nella battaglia di Fossalta di Piave, nonostante la forca o il plotone di esecuzione che attendevano i legionari caduti prigionieri: e se ne verificarono non pochi casi, simmetrici a quelli degli italiani Cesare Battisti e Fabio Filzi. La Legione fu poi anche impiegata sul fronte trentino, nella zona del monte Baldo, nella battaglia di Dosso Alto sulle pendici del Monte Altissimo di Nago, e nelle Battaglie dei Tre Monti, sull’altopiano di Asiago. Un importantissimo riconoscimento all’importanza dell’iniziativa è stato il conferimento del Patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica Slovacca in Italia e dell’Istituto Slovacco a Roma.

Lamberto Ferranti farà dono agli intervenuti alla conferenza di un suo bel libro sull’argomento: L’onore di un uomo è la sua libertà. La Legione ceco-slovacca dall’Umbria a Praga e Bratislava, Perugia, Morlacchi, 2019. Ringraziamo di cuore il Presidente della  Commissione Amministratrice della Fondazione per il Museo Claudio Faina, Daniele Di Loreto, della preziosa segnalazione della possibilità di organizzare questa conferenza.  

Per motivi di contenimento della corrente epidemia, nella Sala Auditorium della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto non saranno ammesse più di 60 persone (si raccomanda pertanto la puntualità!), munite di Green Pass rafforzato e di mascherina FFP2.




Le imprese orvietane di Confindustria Umbria hanno raccolto farmaci da inviare in Ucraina

Gli imprenditori di Orvieto di Confindustria Umbria si sono mobilitati a favore della popolazione ucraina contribuendo alla raccolta di farmaci promossa dalla Protezione Civile.

“Le aziende – ha raccontato Patrizia Ceprini, Presidente della Sezione di Orvieto di Confindustria Umbria – hanno risposto in maniera esemplare a questa iniziativa nonostante il momento difficilissimo che si sta attraversando. Ma di fronte al dramma umanitario che sta colpendo la popolazione ucraina non si poteva rimanere indifferenti ed è stato naturale attivarsi con un gesto di concreta e immediata solidarietà. Sapevamo che la Protezione Civile – Area Sud Ovest Orvietano – aveva messo in campo questo progetto di raccolta farmaci a cui già avevamo aderito come cittadini. Quindi, con alcuni colleghi, abbiamo valutato la possibilità di realizzare una iniziativa comune che ci consentisse di acquistare farmaci essenziali, non solo quelli da banco. Ci siamo rapidamente coordinati con la Protezione Civile e in una settimana abbiamo raccolto i fondi, sono stati acquistati i medicinali e si è provveduto immediatamente alla loro spedizione per la destinazione finale”.

“All’iniziativa – ha aggiunto Ceprini – hanno aderito tredici aziende del territorio alle quali va il mio ringraziamento”. Si tratta di Basalto La SpiccaCeprini CostruzioniCiseCorneliFamiglia CotarellaGruppo BiagioliGuazzarotto CostruzioniHotel Orvieto-QuattroluglioItaly Lodge Altarocca Wine ResortLa Romana FarineMira OrvietoOpificio Della Seta e Termopetroli.

“Sono molto orgogliosa – ha concluso la Presidente Ceprini – della generosità che le nostre aziende hanno dimostrato, nonostante gli scenari che abbiamo di fronte siano molto preoccupanti. Anche Confindustria Umbria sta progettando azioni concrete di supporto alla popolazione ucraina arrivata in Italia coinvolgendo tutta la base associativa regionale, in considerazione del fatto che l’emergenza non sembra, purtroppo, destinata a finire presto”.  




Alla Parrocchia di Orvieto Scalo i bambini di catechismo e oratorio diventano “piccoli costruttori di pace”

Alla parrocchia di Orvieto Scalo è stata una domenica speciale per i bambini.  Al momento dell’offertorio durante la Santa Messa, i bambini hanno consegnato, tra i doni, una raffigurazione simbolica con tema la guerra russo-ucraina.  Un messaggio semplice e forte per lanciare all’intera comunità un pensiero di solidarietà.  I piccoli gesti sono importanti come i grandi perché ognuno può costruire la pace mattone dopo mattone

Durante le attività settimanali del catechismo e dell’oratorio, i bambini hanno preparato un cartellone che raffigura semplicemente dei ragazzi che si abbracciano in un mondo sorretto da tante mani.  Il tutto è rappresentato in mezzo ai colori delle bandiere di Russia e Ucraina.  A corollario una frase della Prima Lettera ai Corinzi: “La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità.  Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”. Successivamente, i ragazzi hanno voluto recitare una piccola preghiera per bambini, donne e uomini, che purtroppo sono costretti a scappare dalle loro case, anziché vivere, con serenità, la propria vita nelle loro città. Infine come segno di solidarietà, si sono volute aggiungere anche le sagome di alcune mani dei bambini, ragazzi e animatori, con i propri nomi su ognuna di esse, proprio per dimostrare che ciò che sta accadendo è una situazione inaccettabile che unisce nel pensiero piccoli e grandi.

È bello pensare che l’invocazione della pace parta dai bambini con la loro naturalezza e spontaneità e che possa giungere là dove gli adulti hanno la responsabilità di una decisione risolutiva.




Albano Morelli, presidente Ance Umbria, “la Regione deve adeguare i prezzi di riferimento. Il rincaro delle materie prime sta mettendo in crisi il settore”

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L’aumento dei prezzi conseguente la guerra in Ucraina è divenuto insostenibile per molti settori produttivi. In particolare la tensione è forte nell’edilizia con aumenti che, per alcuni materiali sfiora il 200%. La guerra ha accelerato un trend di rincari già piuttosto forte e secondo Albano Morelli, presidente di Ance Umbria, c’è il rischio che inizino a mancare alcune materie prime, come i bitumi, e che alcuni cantieri vengano fermati se non s’interviene rapidamente.

Con Morelli in questa intervista abbiamo affrontato anche i problemi relativi al 110% e all’ingresso di troppe imprese che spesso non rispettano le normative di sicurezza facendo concorrenza a quelle serie che sono la stragrande maggioranza.