Giorno della Memoria, “non smettere mai di ricordare le atrocità della guerra”

“Non smettere mai di ricordare le atrocità della guerra per tornare a gran voce a chiedere la pace”. Lo ha detto il sindaco di Orvieto, Roberta Tardani, partecipando questa mattina all’iniziativa sulla Giornata della Memoria “La voce di Elie Wisiel – Dal campo di sterminio al premio Nobel per la pace”, organizzata dall’Istituto di istruzione superiore Artistica Classica e Professionale di Orvieto con la collaborazione della Scuola comunale di musica “Adriano Casasole” e il patrocinio del Comune di Orvieto.

Alla Sala del Carmine gli studenti della classe III A dell’indirizzo Audiovisivo e Multimediale del Liceo Artistico, accompagnati al pianoforte dal maestro Riccardo Cambri, hanno letto gli scritti del filosofo, scrittore, giornalista e diplomatico, premio Nobel per la Pace nel 1986, deportato a soli 15 anni nei campi di sterminio di Auschwitz e successivamente di Buchenwald.

Un momento toccante – ha detto il sindaco – una scelta profondamente significativa e quanto mai attuale. Wiesel aspettò anni prima di parlare e scrivere di quello che aveva vissuto. A volte, nella retorica che spesso accompagna queste giornate, diamo per scontate tante cose, anche le parole di chi ha toccato con mano le atrocità della guerra. Diamo per scontata la pace ma poi, osservando tristemente quello che avviene in Ucraina, vediamo come la drammatica lezione della storia non abbia ancora insegnato niente sul rispetto della vita e dei diritti umani. Per questo le parole di Wiesel, così cariche di angoscia e dolore ma poi diventate di speranza e di stimolo per diffondere un messaggio di pace, devono risuonare oggi ancora più forti e trovare eco tra le giovani generazioni”

In occasione della ricorrenza della Giornata della Memoria, istituita per onorare le vittime della Shoah e delle persecuzioni razziali, sulla facciata del Palazzo Comunale le bandiere sono state esposte a mezz’asta.   




27 gennaio, “Giorno della Memoria” e il vergognoso parallelo della manifestazione no-vax

Ci siamo. E il 27 gennaio, “Giorno della Memoria”. Si ricorda una tragedia, una pulizia etnica, un massacro perpetrato in nome di un capo e del primato della razza ariana sulle altre. Il capro espiatorio fu, come troppo spesso nella storia, il popolo ebraico. La loro “colpa” è quasi atavica e poi avere un colpevole di ogni male a portata di mano è sicuramente comodo.

Il terzo reich ha “elevato” a sistema, a una drammatica catena di montaggio lo sterminio. C’erano coloro che reperivano, coloro che “suggerivano”, i delatori, coloro che trasportavano, coloro che sceglievano e coloro che eseguivano le condanne a morte. Anche per la morte fu trovato un sistema industriale: le camere a gas. veloci e infallibili, o quasi. Certo servivano operai e la manodopera non scarseggiava nei campi di sterminio. L’antisemitismo speravamo fosse un ricordo, speravamo soprattutto che non si avanzassero più paralleli allucinanti, al solo pensiero. Invece siamo ancora a raccontare fatti di cronaca raggelanti, come quelli del bambino umiliato per il solo fatto di essere ebreo. Ma ancora con le razze? Basta! Ma davvero, non solo il 27 gennaio e qualche giorno prima e dopo. Paragonare gli obblighi derivanti dalla pandemia agli orrori hitleriani…una vergogna, non giustificabile. Non lo è la ex-assessore Sartini e non lo sono i no-vax con le discriminazioni e le leggi razziali paragonate alle norme per combattere la covid.

Non si può continuare a essere maggioranza silenziosa perché si rischia, come ci insegna il passato, di divenire altrettanto silenziosi complici. No, non è assolutamente accettabile. Bene, quindi hanno fatto i rappresentanti delle istituzioni a stigmatizzare duramente le manifestazioni tenutesi in una giornata particolare come quella del 27 gennaio. Il solo pensare di accostare il rogo dei libri, la cacciata dei bambini dalle scuole d’Italia, la stella di David gialla in bella vista, l’esclusione dalla vita pubblica, dalle istituzioni, dal lavoro alle attuali norme, a termine, è assurdo, pericoloso. Significa ignorare la storia, calpestare il ricordo e la Memoria dei deportati nei campi di concentramento, dei milioni di morti, i segni indelebili dei numeri tatuati dei sopravvissuti, gli incubi che ancora oggi hanno coloro che hanno visto l’orrore. La discriminazione in base alla razza, al credo religioso, ai gusti sessuali e poi la pianificazione dello sterminio di massa, non possono essere accostati ai divieti che valgono nel caso in cui l’individuo sceglie di non vaccinarsi e ottemperare a una legge dello stato a tutela della salute pubblica.

Giusto, quindi che s’indigni la presidente della Regione Donatella Tesei, che lo faccia il senatore Luca Briziarelli e anche il deputato Walter Verini. Tutti in maniera trasversale, senza infingimenti, per ricordare e fare Memoria delle vittime dell’olocausto e per invitare tutti a non banalizzare ciò che non può esserlo, mai!




Franco Raimondo Barbabella, “Una riflessione nel Giorno della Memoria”

Senza memoria la vita diventa un banale passaggio senza senso. Peggio, ognuno può sentirsi autorizzato a pensare che la storia inizia e finisce con lui/lei, per cui senza ritegno la storia si può anche negare o inventare come ci pare. La storia, ma anche la scienza, la verità documentata, insomma la realtà.

Lo sappiamo, lo tocchiamo, si sta perdendo il senso, lo spessore, il ruolo della memoria. Cresce l’indifferenza e con essa l’ignoranza, e con l’ignoranza la protervia degli ignoranti. Non ci sono solo i terrapiattisti, i no-vax, i negazionisti di tutto e di più purché sia negazione di qualcosa frutto di studio e di documentata consistenza, negazione della stessa evidenza storica, come i campi di concentramento nazisti e l’Olocausto. No, c’è l’ignoranza diffusa, nei gangli vitali dello stato, nella politica e nelle istituzioni. E c’è l’indifferenza diffusa che con l’ignoranza fa il paio.

Tutto questo va tenuto ben presente in questa giornata, il 27 gennaio, Giorno della Memoria, la giornata dedicata al ricordo di ciò che avvenne 76 anni fa, quando le truppe dell’Armata Rossa abbatterono i cancelli di Auschwitz e il mondo ebbe la certezza di ciò che già si sospettava, la realtà dell’orrore del genocidio, lucidamente, programmaticamente, tecnicamente, organizzato. Il senso del Giorno della Memoria è perciò tutto racchiuso nelle parole di Anna Frank: “Quel che è accaduto non può essere cancellato, ma si può impedire che accada di nuovo”.

Si sa che la memoria degli uomini/delle donne è labile. La cura non è l’ossessione, ma la rielaborazione, la conoscenza come fondamento della capacità di domandarsi ad ogni passaggio della storia come agire perché il male vissuto non si affacci di nuovo e non abbia a ingannare ancora, magari sotto altre forme le coscienze.

Siamo ora in uno di quei momenti della storia. Dobbiamo chiedere a coloro che in questo momento sono investiti da responsabilità per decisioni che riguardano la vita di tutti noi e delle generazioni che verranno di essere all’altezza delle domande della storia. Essi hanno, come tutti noi ma ancor più di noi, il dovere di non dimenticare e di adoperarsi perché usciamo dal tunnel in cui ci siamo cacciati. Se non ci sarà uno scatto i pericoli che incombono, che non sono solo economici ma sociali, politici e ideali, rischiano di materializzarsi.

Dobbiamo invocare dunque oggi, proprio oggi, nel bel mezzo di una crisi che rischia di risolversi in crisi di sistema, non un governo purchessia, poggiato su una maggioranza raccogliticcia e senz’anima, interpretata alla stracca da gente inadeguata attaccata ad un ruolo sovradimensionato, ma un governo che per qualità delle persone, per obiettivi programmatici determinati e per validità dei metodi, si ponga come garanzia solida per l’intero Paese della speranza di farcela nei tempi giusti e con il futuro da costruire.

Questo, io penso, è oggi per noi la celebrazione del Giorno della Memoria, fuori da ogni retorica. La storia non va dimenticata, ma nel senso che va continuamente riconosciuta e reinterpretata con competenza e lungimiranza.




Michelangelo Onigi, 100 anni di vita, da Buchenwald alla Polizia, premiato dal questore Massucci

Michelangelo Onigi ha raggiunto il ragguardevole traguardo dei 100 anni.  Un secolo di vita complesso per il poliziotto e l’uomo Michelangelo. Il questore di Terni, Roberto Massucci, ha voluto essere presente e consegnare un attestato al poliziotto orvietano d’adozione.  Massucci ha sottolineato, “è un immenso privilegio consegnare questo riconoscimento ad una persona straordinaria, un collega, un membro dell’unica famiglia, che abbraccia diverse generazioni, che è la grande famiglia della Polizia di Stato”.

E’ nato il 16 gennaio del 1921 e a soli 19 anni è partito per il fronte greco come fante semplice.  Onigi è stato fatto prigioniero e poi deportato in Germania nei campi di lavoro e poi ha vissuto la tragica esperienza del campo di concentramento di Buchenwald.  Finisce la guerra e l’uomo, il cittadino italiano Onigi torna in Italia e si arruola nel corpo delle guardie di pubblica sicurezza.  Il suo primo incarico è al confine con l’Austria.  Poi come succede a chi sceglie la carriera nella Polizia ha girato per l’Italia fino ad arrivare ad Orvieto dove è rimasto fino al 1979, quando è andato in pensione.  Michelangelo non si è più mosso da Orvieto.  Tutti i colleghi che hanno presto servizio con lui sono purtroppo scomparsi. Nel 2014, per la festa della Repubblica del 2 giugno, alla Prefettura di Terni Michelangelo Onigi ha ricevuto la medaglia d’onore conferita ad alcuni ex-deportati nei campi nazisti.