Le maggiori associazioni cittadine dicono “no” alla REMS dentro la Piave

L’Azienda USL Umbria Orvieto 2, in linea con la Sanità umbra in generale è purtroppo al collasso con conseguenti impatti sulla maggior parte dei servizi sanitari essenziali per i cittadini che sono costretti a rivolgersi a costose strutture private. Ognuno di noi ha purtroppo constatato l’assenza di soluzioni prioritarie su tali criticità mentre, in modo alquanto inopportuno, sono stati discussi progetti futuri non necessari a soddisfare in alcun modo i bisogni di salute dei cittadini. Un esempio recente è stata l’assemblea pubblica sulla SANITÀ dello scorso 29 novembre presso il Palazzo del Capitano del Popolo a cui hanno partecipato l’assessore alla Sanità Luca Coletto e la presidente della Regione Donatella Tesei il cui focus dei loro interventi, invece che essere finalizzato a proposte di soluzioni e tempistiche sostenibili in merito ai gravosi problemi di sanità pubblica tra cui quelli sopracitati, si è utopicamente limitato a elementi marginali – quali le pensiline ecologiche fotovoltaiche – decisamente poco attinenti alle problematiche che la cittadinanza vede come prioritarie in termini di sociosanitari. In tale occasione, è arrivato invece un inatteso e alquanto indigesto “regalo di Natale”: la prospettata possibilità di aprire una REMS nella ex mensa della caserma Piave di proprietà della Regione Umbria. Mai usata, seppure esistente un progetto di spostamento della sede di via Postierla, e dunque diventata un problema della Corte dei Conti che è arrivata a battere cassa per i notevoli debiti accumulati dalla Usl Umbria 2.

Premesso che: il bisogno di cura di qualsiasi malato è un sacrosanto diritto costituzionalmente garantito per tutti; la struttura in questione ospiterà, come da normativa prevista, persone con disturbi psichiatrici che si sono resi responsabili di efferati delitti (dal serial killer al pedofilo) dichiarati infermi mentali cronici, altamente pericolosi per sé e gli altri; va ricordato che la loro permanenza nella Rems è stabilita a fine vita; fermo restando che la tutela del residente Rems debba essere dignitosa e sicura, va evidenziato che questo riguarda oltre sia gli operatori che ci lavoreranno sia i cittadini che vivono nella zona dove essa viene ubicata.

Ma cos’è una R.E.M.S.? Una struttura in grado di ospitare persone con patologie psichiatriche che hanno commesso reati e sono state dichiarate incapaci d’intendere e di volere. In sintesi, una volta era chiamato in modo chiaro e diretto: manicomio criminale. E chi non ricorda il famoso film Hannibal the Cannibal, avete idea della tipologia e della varietà di persone che possono “abitare” tra quale mura? Questi i passaggi in breve fino ad ora: L’istituzione di una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza in Umbria è stata ufficialmente richiesta alla Regione la scorsa estate dal presidente dell’Assemblea Legislativa, Marco Squarta; La questione è arrivata sul tavolo dell’assessore alla Sanità, Luca Coletto, con l’intenzione di proseguire questa strada e rendere l’Umbria una regione autonoma sotto questo punto di vista; il primo e precedente tentativo è naufragato a Gualdo Tadino per una massiccia e pacifica protesta cittadina; Orvieto è stato individuato come potenziale ospitante della Rems umbra presso la sala mensa della ex caserma Piave. Tale struttura è totalmente inadeguata e per diversi motivi, ma soprattutto in quanto sita in pieno centro storico e in una zona soggetta ad alta frequentazione di persone come giardini pubblici, fermate con sosta di bus di linea e turistici, strutture educative statali (liceo artistico) e comunali (scuola di musica) oltre che uffici pubblici.

In aggiunta a questo è di un’inaudita gravità: gravissimo non sentire il parere della cittadinanza in modo unanime è contraria a tale iniziativa; impossibile implementare qualsiasi altra iniziativa o progetto futuro nella struttura adiacente (che rappresenta il 70% dell’intera area); svalutare qualsiasi tipo di immobile nel centro storico; tagliare le gambe alla maggior parte delle attività commerciali ed economiche ubicate nella città e nell’intero comprensorio del territorio orvietano. Appare, pertanto, evidente quanto malsano che la presenza di un carcere psichiatrico in cosiffatta condizione sia quasi un abominio anche a fronte di una non condivisione su una decisione presa in totale assenza di consenso tramite una pacifica e aperta discussione tra i cittadini orvietani e i propri rappresentanti istituzionali.

Appare pleonastico, ma forse c’è bisogno di ribadirlo che i primi a dover essere informati, soprattutto per scelte così rilevanti, debbano essere i cittadini per partecipare democraticamente a decisioni che incidono pesantemente sul futuro della città e della loro quotidianità.

Tutto questo non vi sembra un buon motivo per andarsene da una Orvieto, che si prospetta senza alcun futuro per i nostri figli? Ciò non toglie che siamo pronti e disponibili a un sereno e fattivo confronto pubblico con le istituzioni, in modo da permettere a tutti gli orvietani di essere partecipi e di portare avanti le loro necessità e istanze.

Comitato Cittadino “AMICI DI ORVIETO”

Associazione “PROMETEORVIETO”

Associazione civica “ITALIA NOSTRA”

Associazione civica “ORVIETO CITTÀ APERTA”




Orvieto sede ideale per il MOST, il museo dei musei, scuole e altro alla Piave. La proposta-sfida di Franco Raimondo Barbabella da non perdere

La domanda delle domande a Orvieto è, cosa fare alla ex-caserma Piave?  I destini di un pezzo fondamentale della città sono strettamente legati alle fortune o sfortune politiche degli amministratori.  Ne sono passati di sindaci e quel complesso è sempre lì, con sempre più vetri rotti, inagibile nella gran parete, utilizzato come scuola nella parte più “nobile”, quella della Palazzina Comando, poi con gli uffici comunali e ora, ultima sortita, nel suo pezzettino di caserma la Usl vorrebbe impiantarci una REMS, di cui tanto si è parlato in queste ultime settimane, a partire dal 29 novembre.  L’ultima proposta in ordine di tempo, e probabilmente la più affascinante arriva dal consigliere Franco Raimondo Barbabella che ha presentato una mozione con un acronimo sicuramente più beneaugurante di quello della Usl: MOST.  Ma di cosa si tratta?  In soldoni e per brevità si tratterebbe di andare a raccogliere le opere attualmente nei magazzini dei principali musei italiani per esporli a Orvieto. Nella mozione presentata per la discussione in consiglio Franco Raimondo Barbabella spiega che “c’è un immenso patrimonio artistico conservato nei depositi di musei, enti e fondazioni, che non è reso fruibile. Un immenso patrimonio, un tesoro tenuto ‘in riserva’, come si dice oggi, non accessibile al pubblico in quanto ritenuto di minor interesse (spesso per ragioni che non c’entrano con il valore artistico e storico, ad esempio per mancanza di spazi adeguati) rispetto alle opere che vengono rese fruibili nelle sale adibite alle esposizioni”.

 Tra l’altro, come ricorda proprio Barbabella, “ci si sta avvicinando ad un appuntamento molto significativo che cadrà nel 2023: i 500 anni dalla morte di Luca Signorelli e di Pietro Vannucci. Poter fare di questo appuntamento, nel quadro di celebrazioni che si annunciano fin da ora come molto importanti, l’occasione di lancio di un progetto operativo con cui si va alla realizzazione di una iniziativa come quella che qui si prospetta, sarebbe la dimostrazione che anche le celebrazioni non si fermano all’immediatezza e entrano nella logica che Fernand Braudel avrebbe chiamato della lunga durata e che per le grandi operazioni culturali è certamente la logica giusta”.

Esporre i propri “tesori” è sempre più necessario da una parte per ampliare l’offerta e dall’altra per venire incontro alle esigenze di un pubblico sempre più attento e sensibile.  Il punto debole, è di solito, è quello delle risorse economiche queste sempre meno disponibili.  Per ovviare Barbabella ipotizza, “una vera e propria impresa culturale del tutto nuova, della quale la parte espositiva, che è mobile e ciclica (nel senso che proviene e ritorna ai musei, a meno che essi non decidano altrimenti), è l’occasione intorno alla quale ruota poi tutta un’altra serie di attività. Un’impresa dunque, un’organizzazione e una conduzione aziendale, una logica produttiva”.  In termini moderni quest’impresa culturale potrebbe andare anche ad aprire nuovi sbocchi professionali e soprattutto essere occasione di “promozione della conoscenza del patrimonio artistico e culturale diretto ad alunni e studenti, corsi di formazione delle guide turistiche e degli operatori impegnati nella gestione dei musei; stages in collaborazione con le università; – spiega sempre Barbabella – riscoperta del complesso delle attività artigianali connesse con il restauro delle opere d’arte e con l’allestimento di mostre e di esposizioni permanenti; studio e addestramento all’uso del digitale in funzione della fruizione e della conservazione del patrimonio; attivazione di un ITS finalizzato alla formazione di personale specializzato nel settore delle arti. Sono solo alcuni titoli appena abbozzati”.

E’ chiaro che anche solo per iniziare a progettare serve una forte spinta in tal senso da parte del governo e su questa strada sembra andare il neo-ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano che recentemente ha lanciato l’idea di aprire gli “Uffizi 2” proprio per recuperare alla fruizione le tante opere ancora nascoste e per creare una vera e propria rete culturale e di collaborazione tra vari Enti, Regioni e Comuni.

Un’altra domanda potrebbe essere, perché a Orvieto?  Anche in questo caso lo spiega in maniera esauriente Barbabella, “Orvieto appare come la città naturalmente vocata ad ospitare un progetto con queste caratteristiche e capace di svolgere le funzioni indicate.

Anzitutto per storia e caratteri distintivi della città. Qui c’è un condensato della storia dell’Occidente europeo dal Villanoviano al Novecento. Orvieto è di per sé città d’arte. C’è un unicum di natura e cultura che potremmo addirittura definire esemplare per la capacità umana di adattarsi all’ambiente che la natura ha preparato trasformando i problemi da superare in elemento di forza fino al risanamento e alla valorizzazione partita negli anni ottanta del secolo scorso”.  Non solo, c’è anche la grande occasione di restituire alla vita attiva della città un pezzo importante del centro storico, la Caserma da troppo tempo desolatamente definita “ex”.  Scrive il consigliere Barbabella nella sua mozione, “c’è anzitutto, come sede ideale, la ex Caserma Piave, un complesso di notevoli proporzioni, che sorge su un’area di 42.200 m2 all’ingresso sud-est della città, con 5 edifici di complessivi 41.000 m2 di superficie coperta. Una costruzione degli anni trenta del Novecento e dismessa fin dagli anni novanta, molto più flessibile di quanto non si creda e su cui esiste già un progetto di massima per la sua valorizzazione che si tratta di riscoprire e vedere in che modo possa essere reso utile. Ci sono poi, per un ideale sistema integrato, edifici dislocati nei diversi quartieri della città, dalla zona Duomo a San Giovenale e a San Giovanni, da San Francesco a San Paolo, che nel loro insieme prefigurano un sistema sia direttamente connesso alla funzione museale sia indirettamente utilizzabile per le funzioni di supporto o collaterali. In realtà è la città intera che si presta ad ospitare un progetto così ambizioso e così significativo”.

Insomma è una nuova grande sfida per la città che deve assolutamente porsi come vera “Porta dell’Umbria” e portare a proprio vantaggio la presenza di quelle infrastrutture che ad oggi sono una ferita per il territorio ma con potenziali di sviluppo incredibili e cioè l’autostrada e la linea direttissima.  Troppo presto, o meglio fin da subito, Orvieto è uscita dai radar della grande partita delle fermate dei Frecciarossa nelle stazioni intermedie al servizio di territori più vasti.  La Regione ha pensato a Perugia, giustamente, mentre per il resto ha in mete il finanziamento di strutture fuori dalla Regione, a Orte o in Toscana.  Orvieto? Neanche a parlarne.  C’è poi la grande partita del PNRR, un’occasione che a Orvieto è stata sfruttata, ad oggi, in modo discutibile e poco.  La Piave è un’altra ferita aperta che potrebbe trasformarsi in un gioiello, in un esempio di resilienza per l’intero Paese.  Ma ne saremo capaci?  Questa è la reale sfida che lancia il consigliere Franco Raimondo Barbabella.  Il rischio, ora, è di “colorare” la proposta politicamente, di etichettarla, e quindi bocciarla solo perché proveniente dalla parte sbagliata. 

Orvieto così rischia di perdere un’altra occasione, l’ennesima, e i treni, è bene sempre ricordarlo, non sempre passano e se si perdono poi è inutile piangere sul latte versato incolpando Perugia o Roma.  Prima bisogna provarci in maniera unitaria e seria e poi, nel caso in cui si dovesse perdere, allora ci si può lamentare e presentare le proprie rimostranze anche in maniera piuttosto accesa a chi di dovere.




Rems, la replica del sindaco Tardani, “non diciamo no a prescindere, prima i progetti e poi giudichiamo”

In merito all’ipotesi di realizzare una Rems (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) ad Orvieto, il sindaco, Roberta Tardani replica: “non c’è nessun atto o documento ufficiale già stabilito o definito che individua l’ex mensa della caserma Piave, di proprietà della Usl Umbria 2, quale sede di una Rems. Si tratta di una ipotesi di riutilizzo di quella struttura formulata dall’Assessorato regionale alla Sanità e comunque condizionata a uno studio di fattibilità che deve essere realizzato.

Non siamo abituati a dire ‘no’ a prescindere e, se e quando ci verrà presentato ufficialmente e formalmente qualcosa, valuteremo con serietà e trasparenza le proposte che saranno avanzate come abbiamo sempre fatto in questi anni alla guida della città. Nessun vuole nascondere niente tanto che di questa ipotesi se ne è parlato in un incontro pubblico.

Ciò che rammarica è il tono e le modalità che ha preso la discussione, nata – ripeto – da una semplice ipotesi, che sta degenerando sui social network, si sta amplificando con i velenosi passaparola e viene come al solito cavalcata politicamente. Malgrado ogni tipo di considerazione stiamo pur sempre parlando di servizi sanitari e di persone con problemi e termini e modi con cui viene dipinta questa semplice ipotesi hanno il solo obiettivo di incutere timore nella comunità e scatenare odio. Basta leggere i commenti che ne sono derivati. Francamente mi piacerebbe confrontarmi su questioni concrete e vedere nascere comitati civici a favore di qualcosa o per costruire qualcosa con la stessa foga e velocità con cui invece nascono invece per andare contro qualcuno.

Non è solo legittimo ma assolutamente auspicabile che la Usl Umbria 2 e la Regione valutino finalmente la rifunzionalizzazione di una struttura di loro proprietà, l’ex mensa della caserma Piave, il cui acquisto sappiamo benissimo a cosa servì all’amministrazione comunale di allora. Non certo a realizzare la Casa della salute visto che per anni né l’Asl né la Regione avevano fatto nulla per realizzare quel progetto.

Allora sì che si prendevano e si accettavano silenziosamente imposizioni dall’alto, dal governo regionale ‘amico’, non certo ora che questa Amministrazione Comunale ha invece orientato le scelte della Regione su questo territorio e continuerà a farlo nell’interesse della comunità che rappresenta. Per questo torniamo a rivendicare con forza l’aver portato Usl e Regione a rifunzionalizzare l’ex ospedale di piazza Duomo destinandolo a ‘Casa e ospedale di comunità’, finanziandolo con fondi certi provenienti da Pnrr e dal bilancio regionale. Strutture che, per come si è evoluta la normativa, non avrebbero potuto trovare spazio all’ex mensa della Piave. Mentre c’è chi ancora aspetta la manna dal cielo noi lavoriamo e continueremo a lavorare per trovare soluzioni concrete e così sarà restituito alla città un importante contenitore, quale è l’ex ospedale, che sarà in grado di migliorare e potenziare i servizi sanitari e riportare economia quotidiana nel centro storico”.




Pd e Siamo Orvieto, “sindaco, no alla Rems in centro, sì alla Casa di Comunità e all’edilizia agevolata alla Piave”

Durante il Consiglio Comunale dello scorso 30 novembre, in risposta all’interrogazione in merito al futuro della palazzina ex mensa all’interno della ex Caserma Piave, il vicesindaco ha affermato che “ogni Ente tende ad utilizzare, per non avere problemi con la Corte dei Conti, gli immobili di sua proprietà e, visto che la ex mensa è stata acquistata dalla ASL, quest’ultima sta progettando su un immobile di sua proprietà una REMS cioè una struttura sanitaria destinata ad attività gestite dalla ASL stessa”.  In altre parole, per evitare indagini della Corte della Conti e per dare seguito all’acquisto della palazzina ex mensa, la Regione e la ASL stanno valutando di destinare l’immobile a Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS).  E poco importa alla Regione, pur di evitare beghe giudiziarie, se un’area così strategica per Orvieto come la ex Piave venga definitivamente compromessa dalla presenza di una struttura di accoglienza di autori di gravi reati affetti da disturbi mentali, socialmente pericolosi.

Ed infatti, l’Umbria come la Valle d’Aosta e il Molise è sprovvista di Rems e, stando all’istruttoria disposta dalla Corte Costituzionale del 24 giugno 2021, sarebbero tra 670 e 750 le persone attualmente in lista d’attesa per potervi accedere, con un tempo medio di dieci mesi d’attesa: con una tale struttura, insomma, l’Umbria contribuirebbe a dare risposta a questa emergenza nazionale e poco importa, appunto, se la scelta della location alla ex Piave dovesse compromettere per sempre le possibilità di investimento e quindi di sviluppo dell’area, tanto si tratta di Orvieto mica di Perugia!

La risposta dell’amministrazione, letta in uno con l’intera vicenda legata all’immobile della ex mensa, lungi dall’essere esaustiva e convincente, lascia aperti molti dubbi ed impone necessariamente alcune domande: perché ostinatamente insistere nel voler realizzare la casa di comunità all’ex Ospedale in Piazza Duomo, con le numerose criticità legate alle infrastrutture e alle difficoltà di parcheggio, quando l’ex mensa era stata acquistata dalla Regione appositamente per quello scopo? Perché aver rinunciato ai 6 milioni di euro proposti dalla Regione per realizzare un progetto di edilizia agevolata che avrebbe consentito il ritorno di giovani nel centro storico? Perchè non individuare sia pure nel territorio dell’orvietano, un’area verde più appropriata per realizzare la REMS, magari partecipando l’idea ed il progetto con i cittadini e gli operatori del settore, ascoltando le esigenze del territorio?

A ben vedere queste domande potrebbero trovare una razionale risposta di fronte ad una “soluzione” che, stando così le cose, appare fin troppo a portata di mano: utilizzare i 6 milioni proposti dalla Regione per attivare un progetto di edilizia agevolata per giovani coppie, o ceti deboli presso il palazzo di Via Postierla di proprietà della ASL (e quello di Via delle Pertiche di proprietà della Provincia?); trasferire le attività sanitarie attualmente esistenti in Via Postierla presso l’immobile della ex mensa a cui andrebbe riservata la sua originaria destinazione di casa di comunità o della salute che dir si voglia; individuare sempre nel Comune di Orvieto (perché no?) un’area decentrata con spazi verdi dove progettare la residenza per l’esecuzione di misure di sicurezza.

Ci sembrerebbe una soluzione molto più razionale ed auspichiamo che la nostra sindaca, che fino ad ora sembra subire passivamente le scelte della Regione noncurante degli interessi dei cittadini orvietani, possa destarsi e dare un segnale in questa direzione.

Cristina Croce

Federico Giovannini

Giuseppe Germani

Martina Mescolini




Il Pnrr investe 8 milioni sulla sanità ma rimangono tanti, troppi nervi scoperti a Orvieto

A Ciconia si è tenuto un importante incontro organizzato dai sindacati sulla sanità nell’orvietano proprio dopo la presentazione del nuovo Piano Sanitario Regionale da parte della presidente Tesei alle parti sociali.  L’incontro è stato definito “troppo veloce, senza confronto.  Ci hanno spiegato velocemente cosa prevede il PSR.  In altre realtà regionali questo stesso confronto è stato molto approfondito”.  Per Orvieto è prevista la creazione della Casa di Comunità e dell’Ospedale di Comunità in piazza del Duomo oltre a una serie di investimenti nella struttura dell’ospedale a Ciconia.  Interessante il contributo portato da Mauro Petrangeli, per lungo tempo dipendente USL con incarichi organizzativi, che ha spiegato come il PSR “è di difficile lettura e questo non è una buona premessa visto che la sanità e il suo funzionamento deve essere di facile comprensione per i cittadini, i veri protagonisti.  La sanità è per i cittadini e non per altri.  Un buon piano sanitario, ha concluso Petrangeli, deve mettere al centro il paziente e dare la massima priorità alla sanità pubblica.  I numeri sono importanti ma i risparmi non devono essere il primo punto bensì devono coniugarsi con il miglioramento dei servizi erogati”.  Era molto atteso l’intervento del sindaco di Orvieto che ha preso le difese della Regione perché dopo dieci anni ha ripreso in mano il dossier sanità anche grazie al PNRR “è un’occasione da non perdere per ridisegnare il sistema sanitario anche e soprattutto a Orvieto”.

Sicuramente è un momento cruciale con il famoso treno che passa e non si può perdere ma sempre ragionando e cercando di capire quale sia la scelta migliore.  Il primo cittadino ha voluto sottolineare che il nuovo piano sanitario è sicuramente da migliorare ma “questo è il momento dell’unità e non dei capipopolo o dei proclami sui giornali.  Ci sono le sedi istituzionali per discutere come l’assemblea dei sindaci e lì ci si deve confrontare”.  La Regione ha messo sul piatto per Orvieto 8 milioni di euro sui 106 destinati dal PNRR alla sanità umbra.  “E’ prevista all’interno dell’ex ospedale di piazza Duomo la realizzazione della Casa di comunità Hub e dell’Ospedale di Comunità per un investimento totale di oltre 8 milioni di euro.  Nella Casa di Comunità Hub si progettano e si erogano servizi sanitari e di integrazione sociale, i servizi standard presenti saranno ambulatori di medici di medicina generale e aggregazioni di medici, infermiere di famiglia e di comunità, continuità assistenziale, ambulatorio infermieristico anche con punto prelievo, ambulatorio specialistico anche con servizi diagnostici, assistenza domiciliare, Cup e Cot (Centrale operativa territoriale). La presenza medica è garantita h24 7 giorni su 7, quella infermieristica h12 7 giorni su 7. L’investimento previsto con fondi Pnrr è di 3 milioni 275mila euro. L’Ospedale di Comunità avrà invece 20 posti letto di nuova istituzione. L’investimento previsto con fondi Pnrr è di 3 milioni 343mila euro ai quali si aggiungono 1,1 milione di euro di fondi aziendali”. 

A proposito di partecipazione la sindaco ha annunciato che la parte frontale del palazzo sarà nelle disponibilità del Comune per attività istituzionali non legate alla sanità.

Tutto bene?  Per quanto riguarda gli investimenti sicuramente è una boccata d’ossigeno per la sanità orvietana e forse una delle ultime possibilità per tornare a essere attrattiva.  Rimane la forte perplessità sulla scelta e sul perché Piazza Duomo.  Come se ci si vergognasse un po’ sulla piazza non ci sarà nulla di sanitario, meglio, per la viabilità si sta studiando un sistema che non impatti sulla stessa piazza e poi la palazzina della Piave è stata liquidata come “scelta solo sulla carta”.  Quella “carta” ha avuto un costo per la Usl e la titolarità rimarrà alla stessa azienda e quella scelta non avrebbe obbligato a studiare e lavorare per un sistema viario adeguato e un parcheggio di fianco al Duomo.  Non solo ma quella palazzina che si avvia a essere un triste rudere nella desolazione della ex-Piave, rimarrà in carico della Usl che dovrà curarne la manutenzione con dei costi che non proverranno dal PNRR, ma dall’azienda.  Poniamo noi due semplici domande. Chi controlla i conti ne sarà contento? Si è mai pensato seriamente a questa soluzione?

I sindacati hanno sottolineato che il PNRR finanzia le strutture che prevedono tanti servizi, ottimi, ma non il personale e su questo punto rischia di naufragare tutto o meglio di trasformarsi da sogno in incubo con un contenitore semi-vuoto.  Anche su Panorama recentemente è uscito un articolo che paventava “il flop delle Case di Comunità” e indicava proprio nel personale il vero punto debole del sistema.  I medici di famiglia, in particolare non vogliono saperne di essere trasformati in dipendenti USL per lavorare in queste strutture complesse che dovrebbero essere l’anello di congiunzione tra sanità di territorio e ospedali.  Se poi la Regione non prevede concorsi allora il timore si trasforma in certezza.

Dulcis in fundo ci sono le critiche ai capipopolo e alle esternazioni sulla stampa.  Insomma, ancora una volta i giornalisti si caricano il fardello dell’essere cattivi, un po’ populisti e maestri di disinformazione.  In realtà in tutti questi mesi il vero deficit informativo è stato istituzionale.  Non una parola all’esterno e invece tanti annunci spot.  Il lavoro dei giornalisti è stato reso particolarmente difficile proprio dai silenzi squarciati da improvvisi raggi di luce proiettati dal regista interessato.  E’ chiaro che chi opera nell’informazione e non vuole essere capopopolo, va alla ricerca di notizie più certe e si rivolge a chi ha un ruolo amministrativo, in primis, o di rappresentanza sindacale o dirigenziale nelle aziende sanitarie. 

Non s’inventa ma si ragiona, si cerca di capire anche dando più ampio respiro al dibattito.  Come non ricordare, allora, le tante richieste per il “territorio”.  Come non ricordare che più volte ci è stato spiegato che dal punto di vista economico l’orvietano non è un territorio perché manca di servizi fondamentali come, guarda caso, un albergo a 5 stelle con tutti gli annessi di livello, un servizio ferroviario veloce con Roma e l’aeroporto di riferimento, innovazione e investimenti, che languono nell’orvietano. La vera riflessione non è, “abbiamo salvato dallo speculatore l’ex-ospedale”, ma come mai a prezzi di saldo, come più volte è stato sottolineato da molti esponenti politici e no, proprio quel palazzo con vista sul Duomo, di pregio, non ha attirato appetiti corretti di un privato o più privati.  D’altra parte, si comprende l’esigenza di un sindaco che è quella di offrire soluzioni per i propri cittadini dopo una fase lunga di non-decisione di una classe politica che ha prima accettato supinamente e disciplinatamente lo svuotamento della città e del suo centro storico e poi non l’ha ripensata.  L’ultimo tentativo è stato quello della ex-caserma con RPO e il suo presidente Franco Raimondo Barbabella, poi messo alla porta senza una spiegazione e attaccato da ogni parte.

Sul futuro di Orvieto si addensano le nubi del tramonto demografico, come evidenziato dal report di Cittadinanza Territorio Sviluppo, la mancanza di innovazione, la scarsità di investimenti, i troppi contenitori ancora vuoti, il turismo che è rimasto a una permanenza media sotto i 2 giorni, una banca di territorio in sofferenza, una Fondazione bancaria che dovrà decidere le sorti della sua partecipazione nella SpA entro il 2022, un ospedale senza alcun appeal per i professionisti medici e con prestazioni non da emergenza-urgenza, un commercio in forte crisi, aree industriali con scarse industrie, con la spada di Damocle della discarica e eventuali ampliamenti.  Certo la pandemia ha bloccato alcuni processi altri li ha inevitabilmente ritardati e, nonostante ciò, il Comune ha rinnovato e messo in sicurezza molte strade, i giochi e le aree verdi, ha mantenuto il Teatro aperto, seppure con delle limitazioni dovute al coronavirus, ha favorito iniziative culturali e di spettacolo ma ancora non ha toccato la carne viva dei tanti problemi strutturali della città e il tempo, ricordiamolo, è tiranno.




La “Casa di Comunità” in Piazza Duomo, chi dice sì e chi no, ma la fretta non consiglia mai il meglio

La “Casa di Comunità”, erede della “Casa della Salute” ha riacceso il dibattito in città.  Il problema vero riguarda l’ubicazione scelta e la presenza di un secondo edificio, sempre di proprietà di USL, che rischia di divenire un secondo scheletro.

Costruire una Casa di Comunità nella piazza che ospita una delle Chiese più belle al mondo, monumento alla bellezza, simbolo unico per la cristianità, non può essere normale, non può essere una vittoria.  Non calzano, poi gli esempi di altri palazzi ripristinati a uffici e ambulatori in altri centri storici, lì non c’è il Duomo di Orvieto.   Insomma, non si può definire Orvieto unica solo a corrente alternata; o lo è sempre o non lo è.  Si sta progettando, poi, una piazza senza auto, finalmente, e speriamo senza eccezioni, e nel frattempo si vuole aprire un maxi-cantiere della durata almeno di 24 mesi, a essere ottimisti, aprirci una serie di servizi e uffici che prevedono il transito continuo di auto, tramite viabilità alternativa, per carità, ma che alla fine tocca anche la piazza.  Poi ci sono i costi di ristrutturazione, funzionalizzazione e di personale che saranno sicuramente molto alti, ma magari viene in soccorso il Pnrr, visti i vincoli architettonici e paesaggistici presenti.  Alla ex-Piave, intanto, la USL acquisì nel 2007 per 2,4 milioni di euro la palazzina mensa proprio per costruirvi la Casa della Salute.  All’epoca il sindaco era Stefano Mocio e con quell’operazione si riuscì anche a stabilizzare il bilancio dell’Ente.  Non solo, si riusciva a “legare” la USL a impegnarsi in un investimento importante per la città e il territorio.  Quindi, quanto costerà questa Casa della Salute?  Per ora 2,4 milioni di euro senza colpo ferire e senza miglioramenti nei servizi erogati da 15 anni.  A questi si devono sommare i soldi previsti dalla vendita all’asta dell’ex-ospedale e poi quelli che verranno impiegati per la sua ristrutturazione, per l’arredo, per l’acquisizione di attrezzature mediche, per le bollette elettriche negli anni e per il nuovo personale da assumere.   E’ chiaro che le spese di ristrutturazione, arredo, acquisto attrezzature, bollette, personale, vanno calcolate in ambedue i casi, ma sicuramente con costi ben differenti.  E il conto lo pagheremo tutti noi.  All’ex-ospedale c’è anche da inventarsi la viabilità alternativa per non intasare il Duomo, progettarla, metterla in opera…Alla Piave si deve ristrutturare ma non un palazzo storico nella piazza più importante della città con vincoli molto stringenti.  C’è da arredare, riempire di attrezzature e soprattutto metterci il personale necessario.  Ma le dimensioni sono diverse, prima di tutto; tutto il sistema viario e dei parcheggi è praticamente pronto, basterebbero poche e semplici migliorie dai costi piuttosto contenuti per il Comune di Orvieto. E per chi deve controllare va tutto bene?

Ora c’è anche la questione “Case di Comunità” e “Case della Salute” sollevata dal settimanale “Panorama” con i medici che non ne vogliono proprio sapere di diventare dipendenti delle Usl lasciando la convenzione in libera professione come medici di famiglia.  Non solo i medici ritengono che si rischi di gettare soldi nell’ennesimo buco nero senza vantaggi per gli ammalati, soprattutto cronici.  Insomma, già prima di nascere si rischia l’ennesimo flop in salsa italiana e non solo a Orvieto.

Sono tanti i contenitori, brutta parola ma così vengono definitivi dalla politica, nel centro storico ancora vuoti e ognuno è un’occasione persa, un fallimento, un pugno in un occhio ma è altrettanto un errore, un’occasione persa, un fallimento, un pugno in un occhio occupare per forza e senza un progetto di medio-lungo termine omogeneo che migliori la vita dei cittadini e dei suoi ospiti. Qualche piccola considerazione che poniamo sommessamente e speriamo che con la pandemia in ritirata si riesca a aprire un dibattito serio sul futuro della città e sulla destinazione dell’ex-ospedale soprattutto per cancellare “ex”.   

La Piave è baricentrica rispetto al territorio di riferimento, comoda da raggiungere sia in auto che con i mezzi pubblici, anche da altri comuni.  Per rivitalizzare il centro storico serve assolutamente la Casa di Comunità al Duomo?  Non scherziamo, nel frattempo si portano allo Scalo alcuni uffici comunali e gli abitanti calano.  Non solo, chi utilizza ambulatori, uffici e arriva in auto fino al Duomo, sicuramente con parcheggio orario o a pagamento per evitare i soliti furbetti, ripartirà appena terminata la commissione.  E poi si occupa uno dei palazzi più belli della città con ambulatori e uffici sanitari?  Ora con il Pnrr, vari finanziamenti europei, possibile che non si riesca a immaginare una destinazione più “consona” e al servizio della città nello stesso momento? Ma soprattutto è possibile che i privati non riescano a cogliere occasioni di tale portata?  Nel passato gli orvietani hanno dato dimostrazione di guardare avanti, di pensare alla città, alla loro città.  Perché non provarci di nuovo, insieme al Comune e alla USL, perché no?