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Messa crismale, l’esortazione di Mons. Sigismondi: “Diffondere il ‘profumo di Cristo’, che impregna gli oli santi”

Nella solenne Messa crismale, presieduta dal Vescovo mercoledì 27 marzo alle ore 18.00 nella Cattedrale di Orvieto, circondato dal Presbiterio diocesano e dai Vescovi Mons. Mario Ceccobelli e Mons.Domenico Cancian, e alla presenza di numerosi fedeli laici e religiosi, sono risuonate fortemente, nella profonda e vibrante omelia, due parole: pianto e incanto, “la sistole e la diastole di ‘un cuore che vede’, come quello di Gesù”. Il Vescovo, al termine della Celebrazione ha ringraziato i Presbiteri, i Diaconi e i Religiosi per il loro impegno, chiedendo al “Signore, che conosce lo sguardo del vostro cuore, di moltiplicare in benedizione per ciascuno di voi e per le comunità che vi sono affidate”. Ha poi rivolto un grande grazie ai fedeli per la preghiera da loro innalzata al Padre ed ancora il sentito “grazie a quanti hanno lavorato perché questa celebrazione manifestasse tutto il suo splendore di bellezza, dalla sacrestia alla corale”.

Il testo integrale dell’omelia.

“Lo Spirito del Signore è sopra di me” (Is 61,1; Lc 4,18): proclamando questo passo del profeta Isaia, Gesù inaugura la sua missione nella sinagoga di Nazaret. Consegnato il rotolo all’inserviente, “gli occhi di tutti si fissano su di Lui” (4,20), ma il loro sguardo, annebbiato dalla curiosità, non traduce la meraviglia in stupore ma la riduce a sdegno. Ad essi si addice quanto il Signore confida a Israele per mezzo del profeta Osea: “Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo” (Os 11,7).

Gli occhi sono lo “specchio dell’anima”: se “curati con il collirio della fede”, cioè illuminati dalla parola di Dio, “fanno gioire il cuore” (cf. Sal 19,9). Secondo Romano Guardini le radici degli occhi affondano nel cuore: “solo l’amore è capace di vedere”. L’abbraccio dello sguardo avvicina al cuore, ne sente il battito; occhi e cuore si muovono insieme: “il cuore segue gli occhi” (cf. Gb 31,7) ed essi fanno ardere il cuore. Secondo Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry, “l’essenziale è invisibile agli occhi”, e tuttavia essi, nei riflessi delle loro infinite espressioni, vedono l’indicibile, a condizione che non siano “stanchi di guardare in alto” (cf. Is 38,14), appesantiti dalle cataratte dell’alterigia, resi strabici o fatti miopi dalla superbia del cuore (cf. Sal 101,5).

Fratelli e sorelle carissimi, “alziamo gli occhi al Signore, nostro Dio, finché abbia pietà di noi” (cf. Sal 123,1-2). Consapevoli di essere “rivestiti di debolezza” (cf. Eb 5,2), noi pastori non osiamo abbassare lo sguardo sulle inadempienze della nostra durezza di cuore. È opportuno rileggere, in proposito, una pagina di don Primo Mazzolari, tratta dall’opuscolo Il mio parroco, preparato nell’estate del 1932 e offerto, come “biglietto di congedo”, ai parrocchiani di Cicognara e, come “biglietto da visita”, a quelli di Bozzolo, due borgate della Bassa padana che egli ha curato pastoralmente nella lunga e operosa vigilia della stagione conciliare.

Nel sottolineare la differenza incolmabile tra l’immagine ideale e la persona reale del prete, don Primo ritiene impossibile il tentativo “di colmare la differenza fra l’ideale e la realtà” e sacrilega l’impresa di “abbassare l’idea”. Egli considera dannosa la stessa “mistica del sacerdote”, in quanto accresce la delusione e l’irritazione dei fedeli i quali, però, non possono avvertire il “dramma intimo” di un prete, “lo strazio di dovere quasi sempre predicare delle parole che sono più in alto, se non proprio in aperto contrasto, con la sua vita”. Così scrive Mazzolari: “Sforzarsi di colmare la differenza fra l’ideale e la realtà. Ma c’è un abisso di mezzo, che i santi stessi non riescono a colmare (…). Abbassare l’idea. Ma non è fortunatamente in nostro potere: l’ideale è nella vocazione e la vocazione è del Signore (…). Abbassare le cime: scorciare gli ideali. Che strana e sacrilega maniera per guarire le differenze! Ognuno si tenga quello che ha: voi la vostra delusione, noi il nostro tormento d’infedeltà: ma le vette stiano immacolate e pure per la vostra gioia, per il nostro anelito”.

Pianto e incanto sono la sistole e la diastole di “un cuore che vede”, come quello di Gesù. Il suo è uno sguardo che scruta i discepoli del Battista e li interroga: “Che cosa cercate?” (Gv 1,38). È uno sguardo contemplativo che raggiunge Natanaele: “Io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi” (Gv 1,47-48). È uno sguardo misericordioso che risana il cuore di Matteo, staccandolo dal banco delle imposte (cf. Mt 9,9). È uno sguardo penetrante che, alla vista della folla, “sente compassione per loro” (cf. Mt 14,14). È uno sguardo affettivamente intenso che fissa “un uomo ricco” (cf. Mc 10,21), “un giovane” (cf. Mt 19,20.22), invitato a dare ai poveri le proprie ricchezze, senza condizionarne la risposta. È uno sguardo benedicente che incrocia gli occhi di Zaccheo il quale, su un sicomoro, “cerca di vedere” Gesù (cf. Lc 19,3.5). È uno sguardo gonfio di lacrime su Gerusalemme, che non sa riconoscere “quello che porta alla pace” (cf. Lc 19,41-42). È uno sguardo allenato a fare la spola tra cielo e terra (cf. Gv 17,1) per implorare che “tutti siano una sola cosa” (Gv 17,21).

Sentire su di noi e accogliere dentro di noi lo sguardo “sereno e benigno” del Signore, imparando da Lui a tenere aperti gli occhi sulle necessità e le sofferenze dei fratelli: questa è la condizione per diffondere il “profumo di Cristo” (cf. 2Cor 2,14-16), che impregna gli oli santi. Essi sono segni misteriosi di grazia di cui ha bisogno anche l’occhio, “lampada del corpo” (cf. Mt 6,22): dell’olio degli infermi, per scorgere “all’ombra della croce” la luce della speranza; dell’olio dei catecumeni, “per vincere le torbide suggestioni del male”; dell’olio di esultanza del crisma, per gustare e vedere “tutto il bene spirituale della Chiesa”.

Occhi limpidi, luminosi, aperti alle esigenze del Vangelo oltre che alle urgenze pastorali: ecco le credenziali che noi pastori siamo tenuti a presentare, sia svegliando l’aurora al chiarore della lampada del Tabernacolo, sia vivendo più uniti tra di noi e più immersi nel popolo di Dio. Il “peso di grazia” ricevuto con l’imposizione delle mani ci colloca all’incrocio tra lo sguardo di Dio e gli occhi dei fedeli e ci qualifica come “servi inutili” (cf. Lc 17,10). “Il diaconato – avverte Papa Francesco – non svanisce con il presbiterato; al contrario, è la base su cui si fonda”.

“Tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (Eb 12,2), supplichiamolo di “purificare gli occhi del nostro spirito”, perché non si appesantiscano, non perdano di vista la bellezza intramontabile del servizio sacerdotale. La coscienza della nostra fragilità non affievolisca la “luce gentile” della fedeltà, alimentata dall’olio di letizia dell’amore. La fedeltà senza amore si spegne, la sequela senza amore stanca, lo zelo senza amore rende freddi, privi di ardore, di fervore, di entusiasmo sincero.

Fratelli e sorelle carissimi, “in alto i cuori”: noi, ministri ordinati, siamo più esposti di voi, fedeli laici, al giudizio che Paolo rivolge ai Galati, che hanno distolto lo sguardo dall’essenziale: “Siete decaduti dalla grazia” (Gal 5,4). “Guarda, rispondimi, Signore, mio Dio, conserva la luce ai miei occhi” (Sal 13,4); questa supplica salga dalla tribuna del nostro Duomo e si accordi con quella delle navate: “Gli occhi di tutti a te, Signore, sono rivolti in attesa” (Sal 145,15).

+ Gualtiero Sigismondi




Giornata Diocesana delle Caritas Parrocchiali: un incontro all’insegna della comunione e fraternità

Si è svolta domenica 10 marzo, la Giornata Diocesana delle Caritas Parrocchiali e dei volontari Caritas presso la sede della Caritas Diocesana di Orvieto-Todi, in località Ponte del Sole di Orvieto. Oltre cinquanta i volontari che da diverse parti della Diocesi si sono ritrovati nella loro “casa”, per vivere una giornata di comunione e fraternità. La mattinata, aperta dalla preghiera dell’Ora Terza, è stata il tempo dell’ascolto: tutte le Caritas parrocchiali e interparrocchiali presenti hanno raccontato “la Caritas che vivono” con i loro punti di forza e di debolezza e “la Caritas che sognano”. Nonostante le realtà diverse in cui si è chiamati a operare nella carità, tutti i volontari hanno espresso il desiderio di camminare insieme, facendo sempre più “squadra”, e di vivere momenti di condivisione. È questo l’impegno che la Caritas Diocesana di Orvieto-Todi vuole fare suo: divenire lo strumento di armonizzazione delle diverse Caritas parrocchiali e interparrocchiali per intonare tutti, come Chiesa Diocesana, la stessa lode a Dio nel servizio ai poveri.

I punti di forza e di debolezza emersi dalla mattinata di oggi sono il punto di partenza da cui muovere i passi del nostro cammino nelle opere buone che – ci ricorda oggi San Paolo nella Lettera agli Efesini – sono “opera di Dio” (cfr. Ef 2,10). La giornata è poi continuata con il pranzo, vissuto anch’esso in spirito di fraternità: è stato anche questo un tempo in cui riscoprirsi figli dello stesso Padre e fratelli nell’essere strumenti simili nell’orchestra delle opere di carità. Il pomeriggio è stato aperto da una testimonianza di giovani volontari che si impegnano nella Caritas Diocesana con il Servizio Civile: un anno, quello dedicato al servizio civile, che i giovani hanno raccontato essere stato un tempo donato e di cui hanno beneficiato a livello umano e professionale, tanto che alcuni di loro hanno deciso di rimanere in Caritas come volontari. In questo tempo, alcuni di loro, soprattutto coloro che prestano servizio presso la sede di Orvieto, hanno avuto la possibilità di conoscere anche la realtà carceraria, in cui la nostra Caritas Diocesana opera da ormai oltre venti anni. Il direttore della Caritas Diocesana, don Marco Gasparri, insieme alla vicedirettrice, Irene Grigioni e all’amministratore, il diacono Paolo Persiani, hanno poi raccontato quale è il cammino che, come Caritas, anche a livello nazionale – secondo le indicazioni del direttore don Marco Pagniello – siamo chiamati a percorrere in questa epoca inedita. È il cammino che “chiama ad uscire”, “chiama ad essere Chiesa in cammino” e “chiama noi stessi ad essere segno per animare le comunità”. Ed è proprio l’invito a muovere i nostri passi nel cammino delle opere buone, compiute da Dio, quello che ci ha rivolto oggi il nostro Vescovo Gualtiero durante la celebrazione della S. Messa in Cattedrale.

La giornata si è conclusa con un vivo rendimento di grazie a Dio per essere, come più volte ha sottolineato il Vescovo, opere sue, “creati in Cristo per le opere buone” (Ef. 2,10) ed è per queste opere che come cristiani e come volontari Caritas vogliamo donare la vita.




Tutti gli appuntamenti del cammino della Quaresima e per San Giuseppe a Orvieto

A Orvieto. mercoledì 14 febbraio ha inizio il cammino della Quaresima con la Celebrazione in Duomo presieduta da Mons. Gualtiero Sigismondi, in cui avrà luogo la la benedizione e l’imposizione delle Ceneri.

Gli appuntamenti in programma sono numerosi. Da lunedì 19, per tre settimane, le chiese di San Domenico (19-22 febbraio), San Giovenale (26-29 febbraio) e Sant’Andrea (4-7 marzo) ospiteranno l’Adorazione Eucaristica dal lunedì al giovedì dalle 10.00 alle 12.00, con la celebrazione della Santa Messa alle 18.00 dal lunedì al mercoledì, mentre alle 18.00 del giovedì ci sarà la Stazione quaresimale con la Concelebrazione del Presbiterio cittadino presieduta dal Vescovo. In questo periodo, nelle chiese in cui si terranno le Stazioni quaresimali, ci sarà la possibilità di ricevere il Sacramento della Riconciliazione dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 17.30 alle 18.30.

Dall’11 al 18 marzo l’Adorazione Eucaristica si svolgerà nella Cripta della Cattedrale negli stessi orari, con la Celebrazione delle 18.00 presieduta da uno dei parroci dell’Unità Pastorale San Giuseppe.

Appuntamento centrale del cammino sarà il 19 marzo, Solennità di San Giuseppe, Patrono della città di Orvieto e della Chiesa universale: le Celebrazioni in Duomo si svolgeranno alle 9.00 e alle 11.30, mentre alle 18.00 Mons. Sigismondi presiederà la solenne Concelebrazione Eucaristica, a cui farà seguito la Processione in piazza con l’immagine del Santo.

Il 29 marzo, Venerdì Santo, alle 21.00, si terrà la Via Crucis per le vie della città, dalla chiesa di San Domenico alla chiesa di San Giovenale.

Mons. Gualtiero presiederà le Celebrazioni del pomeriggio in Duomo ogni domenica di Quaresima, alle 17.00 nel mese di febbraio e alle 18.00 nel mese di marzo.

(la locandina con tutti gli appuntamenti)




Festa di San Francesco di Sales, l’incontro sul tema della Giornata mondiale delle comunicazioni

“Intelligenza artificiale e sapienza del cuore: per una comunicazione veramente umana”. Questo è il tema che Papa Francesco ha scelto per la 58a Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali del prossimo 12 maggio e che l’Ufficio Comunicazioni sociali della diocesi di Orvieto-Todi ha proposto in occasione della ricorrenza della festa di san Francesco di Sales.
Sabato 27 gennaio, infatti, nella Sala Urbani dell’Opera del Duomo di Orvieto, operatori dei mezzi di comunicazione e collaboratori dell’Ufficio hanno condiviso idee, considerazioni e testimonianze. Ad aprire l’incontro è stato Mons.Gualtiero Sigismondi, vescovo di Orvieto-Todi, con una riflessione sulla comunicazione.
Tra le altre cose, il Vescovo ha sottolineato come la notizia, la parola, debba corrispondere a verità, ma deve essere ben ponderata, pensata, elaborata. L’intelligenza artificiale dovrebbe, quindi, essere un supporto, un valido aiuto, per chi mette nero su bianco le notizie. Mons. Sigismondi ha poi posto l’accento su un verbo, “captare”, che implica una percezione profonda e interessata nelle attività della vita quotidiana, in particolare nel giornalismo.

Proprio al mondo del giornalismo appartiene Andrea Rossi, giornalista pubblicista proveniente dalla parrocchia di Avigliano Umbro, da poco laureatosi in Scienze della comunicazione, collaboratore de La Voce e anche addetto stampa del Sacro Convento di San Francesco in Assisi.  Ancora una volta la parola è stata protagonista: la testimonianza di Andrea ha permesso ai presenti di conoscere il suo approccio al mondo della carta stampata, un percorso iniziato con i primi articoli per il giornale della parrocchia e arrivato in uno dei luoghi più significativi per la cristianità. Un giovane volenteroso e con spirito d’iniziativa, dunque, proprio come i collaboratori che supportano quotidianamente l’ufficio Comunicazioni sociali.
Come ha spiegato la responsabile, Michela Massaro, uno degli obiettivi dell’Ufficio è proprio il coinvolgimento di ragazzi e ragazze precisi, puntuali e competenti, che possano contribuire al miglioramento delle attività con proposte e progetti. In conclusione mons. Sigismondi ha posto l’accento su una parola chiave determinante: libertà.   La libertà di informazione e di comunicazione, certo, ma anche la libertà su cui Dio alza le mani, inchiodate alla croce del Figlio.
È osservando la croce, quindi, che dovremmo riflettere per comprendere il vero significato di libertà, dono prezioso ed irrinunciabile.

A cura di: Noemi Grilli




Promulgato dal Dicastero delle cause dei Santi il decreto sulle virtù eroiche del Servo di Dio Gianfranco Maria Chiti

La Diocesi di Orvieto-Todi accoglie con gioia la notizia riguardante l’iter della causa di beatificazione e canonizzazione di Padre Gianfranco Maria Chiti. Mercoledì 24 gennaio, infatti, Papa Francesco ha ricevuto in udienza il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi e ha autorizzato lo stesso Dicastero a promulgare il decreto riguardante le virtù eroiche del Servo di Dio, sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini.

Fra’ Gianfranco Maria Chiti nacque a Gignese il 6 maggio 1921. Generale di brigata dei Granatieri di Sardegna, all’età di 57 anni, anziché “fare zaino a terra”, come la legge gli imponeva con il congedo, preferisce “arruolarsi volontario” nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Sacerdote professo in tale Ordine, indossando il saio di San Francesco sopra la mimetica, svolge un intenso apostolato soprattutto ad Orvieto, dove era stato inviato come custode del Convento di San Crispino. Qui rimane fino al 2004, anno in cui, a Roma, nell’Ospedale Militare del Celio, muore, il 20 novembre, in concetto di santità.

Il suo ricordo rimarrà indelebile per aver salvato, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, più di 200 partigiani da sicura fucilazione, creando un fittizio “corso di arruolamento” nei Granatieri, e permettendo loro, poi, di far ritorno nelle proprie famiglie. Il suo nome, inoltre, è annoverato nel Libro dei Giusti della Sinagoga di Torino per aver posto in salvo alcune famiglie di ebrei. Il 13 aprile 2015 monsignor Benedetto Tuzia emette l’editto che ne promuove la causa di beatificazione e di canonizzazione.

L’8 maggio, in Duomo, lo stesso vescovo, nel corso di una solenne celebrazione, dà ufficialmente inizio all’inchiesta diocesana, dando lettura del “libello” e nominando gli officiali incaricati di curare la procedura canonica: giudice delegato monsignor Carlo Franzoni, promotore di giustizia don Stefano Puri, notai Rossella Borgia e Paolo Bambini, postulatore e vice postulatore della causa, rispettivamente, i padri cappuccini Carlo Calloni e Flavio Ubodi. Il 30 marzo 2019, nella Basilica Cattedrale di Orvieto, ha luogo la sessione di chiusura della fase diocesana della causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio.

Fonte: Diocesi Orvieto-Todi




Caritas, “a Santo Stefano pranzo insieme, una festa per vivere in fratellanza il Natale del Signore”

Il 26 dicembre, festa di Santo Stefano, nella Diocesi di Orvieto-Todi si è vissuta una giornata di preghiera e condivisione, con l’intento di rafforzare i legami comunitari nell’accogliere Gesù che viene. Dedicata, anzitutto, a quanti sono costretti a vivere nella solitudine e nella tristezza le feste natalizie che, più di ogni altro evento dell’anno, sembrano saper rimarcare con forza, e senza sconti, le disuguaglianze sociali, la giornata si è svolta presso la nuova sede della Caritas diocesana, ad Orvieto, in località Ponte del Sole e ha avuto inizio con la Santa Messa presieduta dal Vescovo Gualtiero Sigismondi; presenti i diaconi della stessa Diocesi, che, nella festa di Santo Stefano, diacono e primo martire, rendono grazie per la chiamata ricevuta a servizio di Dio e della Chiesa.

Mons. Sigismondi ha sottolineato come la Liturgia delle Ore di questo giorno ci offra, con le parole di San Fulgenzio di Ruspe, l’invito ad amare nella carità come Stefano che, nella sua vita, seguendo l’esempio di Cristo, sa consumarsi fino al dono di sé. “La carità, dunque – scrive san Fulgenzio -, che fece scendere Cristo dal cielo sulla terra, innalzò Stefano dalla terra al cielo. La stessa carità santa e instancabile desiderava di conquistare con la preghiera coloro che non poté convertire con le parole”: questa stessa sia la carità che, come cristiani, sappiamo vivere e testimoniare. Dopo la benedizione della mensa, impartita dal Vescovo, con l’invito ad una carità che sappia curare anche il dettaglio, come segno di amore, è seguito il pranzo insieme e un momento di fraternità.

Così, riunita nella sede della Caritas diocesana, alla presenza del suo Pastore, la Chiesa diocesana, senza distinzioni di culture né di status, ha voluto condividere un momento di festa, nella sobrietà e nell’autenticità, con tutti quei fratelli e sorelle che sono testimoni viventi di Cristo e a cui siamo chiamati ad avvicinarci con rispetto e stima, per onorare la dignità di ciascuno. Da più parti del territorio di Orvieto-Todi sono giunte ad Orvieto oltre un centinaio di persone e hanno seduto intorno allo stesso tavolo, come in una famiglia. Tanti i volontari che, con spirito di servizio e amore, hanno curato ogni dettaglio: dall’allestimento della tavola, alla cucina e al servizio ai tavoli, fino alla preparazione della tombola. Tra di essi, c’erano anche alcuni membri del gruppo Scout di Orvieto, con cui, dall’inaugurazione della nuova sede, è iniziata una collaborazione della vita in Caritas, di uno studente dell’IPSIA, con la sua fidanzata, coinvolto grazie agli incontri di sensibilizzazione che la stessa Caritas sta facendo nelle classi quinte dell’Istituto, e di un’intera famiglia che ha voluto condividere una giornata di festa con chi è solo.

Una Chiesa madre di tutti non poteva dimenticare di far sentire a casa e in famiglia chi, soprattutto in questo periodo dell’anno, sente il peso sfiancante della solitudine: ha accolto e custodito ogni figlio solo, per renderlo tessera unica dell’unico mosaico che è la Chiesa.

Una giornata semplice, ma allo stesso tempo ricca di affetto, sincerità, comunione, frutto dell’amore di chi per noi si è fatto bambino e ci ha donato la sua vita: Gesù Salvatore.

Fonte: Diocesi di Orvieto-Todi




L’omelia del vescovo Sigismondi, “il respiro del profondo silenzio non ha l’alito cattivo dei silenzi pavidi e cortigiani

“Grandi sono le opere del Signore” (cf. Sal 111,2). Questa professione di fede, pronunciata dal Salmista, è particolarmente adatta a esprimere la meraviglia della Chiesa dinanzi al mistero dell’Immacolata, “mistica aurora della redenzione”. Il Signore ha voluto aver bisogno della libertà di Maria, silente e ignara di sé, per dare inizio al suo disegno universale di salvezza; ha voluto aver bisogno del suo Cuore immacolato, in cui la pienezza della grazia risplende, come in una vetrata istoriata, nella limpidezza dello sguardo. È il pudore a renderlo luminoso: esso è per il corpo di Maria quello che, a giudizio di San Bernardo, “l’umiltà è per la sua mente”.

Il pudore scorta ogni passo compiuto dalla Vergine Maria dal Fiat dell’Annunciazione all’Amen della sua Assunzione al cielo. A Nazaret il pudore del suo turbamento sembra schivare lo sguardo di Dio, come si evince, entrando in Porziuncola, dalla pala d’altare di Prete Ilario da Viterbo (1393). Il giorno della Visitazione, al saluto di Elisabetta, il pudore viene interpretato dal Magnificat, che attribuisce all’Onnipotente le “grandi cose” (cf. Lc 1,49) operate in Lei. A Betlemme il pudore è avvolto nelle fasce dello stupore con cui Maria custodisce e medita quello che i pastori dicono del Figlio suo (cf. Lc 2,18-19). A Cana il pudore si spinge fino alla soglia dell’intercessione: “Non hanno vino” (Gv 2,3). Quando la Madre di Gesù e i suoi fratelli si recano a fargli visita, il pudore è espresso dalla discrezione con cui viene mandato a chiamare, “stando fuori” dalla casa in cui si trova a predicare (cf. Mc 3,31-35). Ai piedi della croce il suo dolore, velato dal pudore, tocca i fondali della desolazione senza raggiungere gli abissi della disperazione. Il giorno di Pasqua non c’è traccia di Maria: la sua gioia è ammantata di pudore, fino a Pentecoste, quando raggiunge la pienezza.

Volgendo lo sguardo alla “Tota Pulchra”, la cui bellezza verginale è avvolta nella tunica del pudore, dobbiamo confessare apertamente che abbiamo perso il senso del pudore: siamo spudorati! Lo sono i nostri occhi, quando cercano quello che la concupiscenza rivendica e che i nostri abiti ostentano. Lo sono i nostri cuori, quando antepongono gli istinti agli affetti e sottopongono questi ultimi alle passioni dei primi. Lo sono le nostre menti orgogliose e ribelli, quando sono oppresse dalla volontà di possesso e di dominio. Lo sono le nostre mani, quando manipolano il proprio corpo e sono predatrici con quello altrui. Lo sono i nostri piedi, quando voltano le spalle al bene e si inoltrano verso paesi lontani. Lo sono le nostre labbra, quando proferiscono parole prive di verecondia, perché non conoscono la voce del profondo silenzio, osservato da Maria Vergine: quello obbediente del Fiat ed esultante del Magnificat, quello pensante a Betlemme e trepidante al Tempio di Gerusalemme, quello disarmante a Cana di Galilea, sospirante al Golgota e benedicente a Pentecoste.

Il tessuto di “lino puro splendente” della tunica del pudore che avvolge la “Tota Pulchra” è ricamato dal “filo di Scozia” del silenzio. Il linguaggio non verbale è, per così dire, l’alveo delle lacrime di gioia e di dolore, il vivaio dei sospiri dell’attesa, il gemito della pazienza nella sopportazione, il sussurro della carità ardente, il soffio leggero della libertà nell’amore. Il respiro del profondo silenzio non ha l’alito cattivo dei silenzi pavidi e cortigiani, il cui campionario è piuttosto vasto. C’è, anzitutto, il silenzio insopportabile dell’ipocrisia e quello omertoso della complicità nella ricerca di qualche interesse egoistico; c’è pure il silenzio della malizia che, quando viene rotto, partorisce menzogna; c’è anche il silenzio vile della slealtà, cassa di risonanza dell’infedeltà, e quello tossico delle intenzioni cattive; c’è, infine, il silenzio assordante dell’ingratitudine, che non conosce il Cantico di Maria e si configura come una vera e propria frode.

Vergine Immacolata, “Vergine e Sposa”, tu hai lasciato sulla terra la traccia di una purezza intatta; in te la melodia del pudore, che ha alzato il tono al saluto dell’Angelo (cf. Lc 1,29), intreccia l’armonia della docilità: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua Parola” (Lc 1,38). Tu sei Madre, conosci le nostre fatiche e le nostre ferite: “preservaci da quelle cadute di stile che mettono a nudo lo spirito rozzo che ci portiamo dentro”. “Tu nutri sul tuo seno il Dio che ti ha creato”: ottienici dal Figlio tuo un linguaggio mite, “che non conosca i fremiti dell’orgoglio e dell’ira”, occhi limpidi, “che vincano le torbide suggestioni del male”, un cuore puro, “fedele nel servizio, ardente nella lode”. “Regina degli Angeli”: gli otri del pudore, “collirio” dello stupore e “balsamo” della meraviglia, sono vuoti: riempili fino all’orlo!

+ Gualtiero Sigismondi

ENGLISH VERSION

BISHOP SIGISMONDI’S HOMILY, “THE BREATH OF PROFOUND SILENCE, UNTAINTED BY TIMID AND COURTIER SILENCES”

In his profound reflection, the bishop contemplates the beauty and significance of the Immaculate Conception through the lens of purity and the language of silence. The biblical verse “Grandi sono le opere del Signore” (cf. Sal 111,2), meaning “Great are the works of the Lord,” serves as a fitting backdrop for the awe-inspiring mystery of the Immaculate, referred to as the “mystical dawn of redemption.”

The bishop underscores the divine choice to entrust the universal plan of salvation to the freedom of Mary, a woman unaware of her destiny yet pivotal in the unfolding of God’s design. The immaculate heart of Mary, described as a stained-glass window through which the fullness of grace radiates, is equated with the virtue of modesty. The bishop draws parallels between modesty and humility, asserting that just as humility is essential for Mary’s mind, modesty is luminous for her body.

The bishop traces Mary’s journey, highlighting how modesty is interwoven into every aspect of her life, from the Fiat at the Annunciation to the Amen of her Assumption. In various episodes, such as the Visitation, the Nativity, and the Wedding at Cana, Mary’s modesty is depicted as a profound and discreet force guiding her actions and responses.

The homily emphasizes the loss of the sense of modesty in contemporary society, deploring the shamelessness evident in the gaze, hearts, minds, hands, feet, and words of individuals. The bishop mourns the lack of modesty, portraying it as a departure from the obedient Fiat to the exultant Magnificat, from thoughtful contemplation in Bethlehem to trepidation in the Temple of Jerusalem, from intercession at Cana to the silent suffering at Golgotha, and finally, to the joyous blessing at Pentecost.

The bishop evokes the image of the “Tota Pulchra,” whose virginal beauty is veiled in the cloak of modesty. He bemoans the contemporary lack of modesty, labeling it as shamelessness, and contrasts it with the non-verbal language of tears, sighs, and the profound silence observed by the Virgin Mary. He critiques various forms of deleterious silences such as hypocrisy, complicit silence for selfish gains, malice, betrayal, toxic intentions, and ingratitude.

The homily concludes with a prayer to the Immaculate Virgin, acknowledging her as the “Virgin and Bride” who left an indelible mark of untainted purity on earth. The bishop implores Mary to intercede for humanity, requesting the grace of modesty, pure hearts, limpid eyes, and language void of pride and anger. He seeks Mary’s guidance to overcome the turbulent temptations of evil, fostering fidelity in service and ardor in praise. The homily closes with a heartfelt plea to the “Queen of Angels” to fill the vessels of modesty, astonishment, and wonder to the brim.

+ Gualtiero Sigismondi




Maurizio Conticelli scrive al Vescovo per il progetto pale eoliche all’Alfina e le scelte dell’Opera del Duomo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera che Maurizio Conticelli ha inviato al Vescovo della Diocesi di Orvieto-Todi, S.E. Gualtiero Sigismondi, sulla questione del progetto Phobos che prevede la messa in opera di 7 pale eoliche sul piano dell’Alfina. Parte di queste pale andranno a ricadere su terreni di proprietà dell’Opera del Duomo.

Eccellenza buongiorno,

la disturbo per il ruolo determinate che Ella svolge nei confronti dell’Opera del Duomo di Orvieto in merito ad un progetto per un impianto eolico con 7 aerogeneratori ciascuno alto 200 metri previsto nei Comuni di Orvieto e Castel Giorgio a confine con il Comune di Bolsena. Il progetto, denominato PHOBOS, suscita in molti angoscia e terrore non solo per il nome, ma per il devastante impatto che potrà determinare sul suggestivo tavolato vulcanico dell’Alfina.

Ci stiamo battendo, come associazioni e comitati, contro tale realizzazione che investe anche terreni di proprietà dell’Opera del Duomo di Orvieto che legge c.c., senza peraltro che quest’ultima abbia sollevato obiezioni e presentato formali osservazioni come risulta dalla documentazione presente nel sito del MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica). Né sembrano avere avuto effetto i pareri contrari dei Comuni di Orvieto e Castel Giorgio, se è vero che il MASE avrebbe dato parere favorevole alla procedimento di VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) e che il parere definitivo sarebbe ora nelle decisioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri per dirimere il contrasto sorto a seguito del parere negativo del Ministero della Cultura (MIC).

Le scrivo per segnalarLe un articolo apparso su Astrolabio, giornale degli Amici della Terra, che riporta una lettera emblematica su questi argomenti a firma dell’Arcivescovo Metropolita di Benevento – Francesco Arrocca – e del Ministro Provinciale dei Frati Minori Cappuccini della Provincia di Sant’Angelo e Padre Pio – Fr. Francesco Dileo – dal titolo La spada e la sentinella della terra di San Pio da Petralcina, auspicando un Suo autorevole interessamento per scongiurare, in extremis, l’approvazione del progetto PHOBOS.
La ringrazio per l’attenzione e per ciò che potrà fare a difesa delle comunità locali, con l’invito per ultimo a consultare la documentazione di cui ai link sotto riportati, rimanendo a disposizione per illustrarLe più compiutamente quanto sopra descritto.

Distintamente 

Maurizio Conticelli, Orvieto 




“La sagrestia di Tonino. L’8 per mille non è solo una firma”, nella Chiesa di Sant’Andrea il 23 giugno alle 18

Giovedì 23 giugno alle 18, nella Chiesa di Sant’Andrea, si terrà un incontro dal titolo “La Sagrestia di Tonino. L’8xMille non è solo una firma”. All’iniziativa, organizzata dal Servizio Diocesano per la Promozione del Sostegno Economico alla Chiesa Cattolica, interverranno monsignor Gualtiero Sigismondi, vescovo della Diocesi di Orvieto-Todi, Massimo Monzio Compagnoni, direttore nazionale dell’Ufficio Sovvenire CEI e don Luca Conticelli, parroco di Sant’Andrea. Coordinerà il giornalista Alessandro Maria Li Donni, direttore di OrvietoLife.it. 




L’omelia del Vescovo Sigismondi, “accogliamo i senza tetto e gli affamati della guerra”

“Concedi la pace ai nostri giorni”: nell’embolismo, la breve orazione che nella liturgia eucaristica segue immediatamente la recita del Padre nostro, la Chiesa chiede a Dio il dono della pace che Cristo suo Figlio, “Principe della pace”, ci ha ottenuto con la sua Pasqua. Questa supplica accompagni il cammino quaresimale che oggi iniziamo con l’austero simbolo delle ceneri, proteso alla gioia del rito di benedizione del fuoco nuovo che apre la Veglia pasquale. La liturgia, con il suo linguaggio paradossale, attraverso l’itinerario penitenziale e battesimale della santa Quaresima ci fa passare dalle ceneri al fuoco e non viceversa: dalle ceneri, ricavate dai rami di ulivo benedetti l’anno precedente, a un fuoco nuovo che divampa e da cui si accende il Cero pasquale.

In quest’ora di tristezza universale si riapre per la Chiesa la strada dell’esodo, che attraversa il deserto quaresimale. Venti di guerra sollevano altra sabbia, altra polvere, altra cenere, quella della morte, ma una preghiera incessante sale al cielo da ogni parte della terra: “Concedi, o Signore, che il corso degli eventi nel mondo si svolga secondo la tua volontà di pace”. Questa supplica è ispirata dalla serena fiducia che le “potenze degli inferi” non sottraggono alle mani di Dio il mondo e la storia, che Egli guida, nel suo fluire incerto e nel suo intreccio di bene e di male, con un preciso disegno, cui le contraddizioni della libertà umana e l’azione di Satana, alla fine, non riescono a resistere. La malvagità del Diavolo e la cattiveria degli uomini possono rallentare ma non deviare il corso dei “progetti di pace” del piano divino di salvezza (cf. Ger 29,11).

Dio, “misericordioso e forte”, apre sempre nuovi spazi al cambiamento di rotta, agendo nell’intimo del cuore umano, dissodandolo da sentimenti, intenzioni e pensieri non buoni. È ipocrita chiunque invochi il dono della pace se il suo cuore non viene bonificato, liberato e sanato dai “fremiti dell’orgoglio e dell’ira”. È il cuore, infatti, la piattaforma di lancio delle parole più dure; è nel cuore che ha sede l’arsenale degli ordigni dell’odio; è il cuore il poligono di tiro delle armi da fuoco più pericolose. “In un mondo lacerato da lotte e discordie”, la ricerca sincera della pace ha inizio solo quando lo Spirito santo, per suo dono, piega la durezza dei cuori, li rende disponibili alla riconciliazione, disarma la vendetta con il perdono.

Vincere l’odio con l’amore non è una mossa tattica della libertà umana ma una azione strategica della divina misericordia, che segna l’inizio di un cammino di vera conversione. Si tratta di un percorso da affrontare con le “armi convenzionali” della penitenza, che Gesù chiede ai suoi discepoli di impugnare senza ostentazione: l’elemosina, la preghiera e il digiuno (cf. Mt 6,1-6.16-18). La preghiera bussa, il digiuno ottiene, l’elemosina distribuisce. “Il digiuno prepara il terreno – osserva Papa Francesco nel suo messaggio per la Quaresima –, la preghiera irriga, la carità feconda”. Il digiuno ara il campo del cuore, la preghiera lo libera dall’aridità, la carità lo rende fertile. “Il digiuno – scrive san Pietro Crisologo – è l’anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia”.

Il Santo Padre ci ha chiesto di vivere, all’inizio della Quaresima, una giornata di preghiera e di digiuno per implorare da Dio la fine del conflitto bellico in Ucraina. Alla nostra supplica, che ci vede coralmente coinvolti perché cessi la “logica diabolica e perversa delle armi”, è necessario associare non solo il digiuno, perché una certa “razza di demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno” (cf. Mt 17,21), ma anche la carità, che consiste “nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto” (Is 58,7). Fratelli e sorelle carissimi, “ecco ora il momento favorevole” (cf. 2Cor 6,2) per dedicarci a questa opera generosa, sostenendo la raccolta fondi, avviata da Caritas Italiana a fianco e a supporto delle Caritas dei Paesi confinanti con l’Ucraina, per far fronte sia alle necessità più urgenti di chi è in fuga dalla guerra, sia all’accoglienza di quanti, piangendo, cercano riparo in “terra straniera”.

“Per il cammino quaresimale di quest’anno – scrive il Santo Padre nel suo messaggio per la Quaresima che suona come un presagio – ci farà bene riflettere sull’esortazione di san Paolo ai Galati: ‘Non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione (kairós), operiamo il bene verso tutti’ (Gal 6,9-10a)”.

+ Gualtiero Sigismondi