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Bollette monstre per le attività economiche orvietane e poi le materie prime, il personale. Che fare?

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E’ ormai allarme per l’aumento dei costi delle bollette. I prezzi di energia e gas corrono apparentemente senza freni sia per le imprese che per le famiglie. Arera proprio la scorsa settimana ha stabilito un aumento del 59% delle tariffe elettriche per il mercato tutelato e la probabile fatturazione mensile per il gas. Ma per gli operatori non lievitano solo le tariffe, anche dell’acqua, le materie prime iniziano a incidere pesantemente sul costo finale per il cliente.

Il cliente è stretto a sua volta nella morsa degli aumenti tariffari, dei carburanti e dei prezzi senza che contemporaneamente ci sia un adeguamento almeno parziale degli stipendi. Il risultato è la classica tempesta perfetta con un aumento dei prezzi e una diminuzione dei consumi, in una parola “recessione” che significa anche minori posti di lavoro, una prima gelata sul numero degli occupati si è avuta a settembre, e sul numero di aziende attive, perché molte piccole attività stanno o hanno chiuso e qualche grande azienda sta pensando di sospendere fino alla prossima primavere sperando in una generalizzata frenata delle tariffe e dei prezzi delle materie prime. Nel frattempo a Orvieto gli operatori economici soffrono con bollette anche superiori ai 10 mila euro e senza avere grandi margini per provare a risparmiare.

Riccardo Baiocco, Ristorante “Il Malandrino”

Andrea Oreto, “Norcineria Oreto” e Tommaso Parodi di Belsito, “L’Officina del Gelato”




Il latte è introvabile, prezzi in forte aumento e i caseifici sono in sofferenza

Aumentano i prezzi delle materie prime, dell’energia e del gas e le aziende soffrono.  Senza differenze di dimensioni, soffrono le aziende piccole e grandi con conseguenze che troveremo solo nei prossimi mesi.  I piccoli produttori agricoli, le nostre vere eccellenze, da tempo hanno lanciato l’allarme sul caro energia e sulla difficoltà nel reperire materie prime a prezzi adeguati.  Riccardo Marconi, titolare del Caseificio Montecristo di Todi ha spiegato che “la crisi rischia di divenire irreversibile perché i produttori di latte stanno vendendo i capi di bestiame e reperire la materia prima diventa ogni giorni più difficile e costoso”

Entriamo subito nel vivo del problema e parliamo di aumento dei costi per le aziende agricole e zootecniche…

E’ aumentato tutto in maniera generalizzata a partire dall’energia e dal gas per non parlare di sementi, fertilizzanti e mangimi.  Le bollette iniziano a fare paura veramente anche perché queste variabili che difficilmente possono essere limitate non ti permettono di programmare nel medio termine.

Lei ritiene che le sanzioni siano giuste o sono state e continuano a essere un errore?

Intendiamoci, la Russia ha invaso l’Ucraina, ha ucciso e continua a bombardare.  In qualche modo si doveva reagire a un atto così sconsiderato e violento. L’Europa è partita con le sanzioni e in poco più di un mese è arrivata a bloccare ogni scambio.  Mi sembra che l’Europa non abbia saputo prevenire, non è andata alla ricerca di fonti di approvvigionamento alternative che si dovevano trovare prima, visto che i segnali di allarme da Russia e Ucraina arrivavano da tempo.  La crisi energetica sta fiaccando l’intera Europa, forse è il momento di coordinare gli sforzi e le politiche di salvaguardia di famiglie e soprattutto delle imprese, ancor di più delle piccole imprese e di quelle che, per loro natura e per il loro business, sono più colpite dall’aumento dei costi generalizzato e, lasciatemelo dire, spesso non giustificato.

Quindi ritiene che qualcuno sta speculando troppo?

Non posso dirlo con certezza ma le faccio un esempio.  Si sta giustificando il forte aumento del prezzo del latte con la scusa che gran parte del prodotto viene dall’estero.  Non è così, assolutamente!  Sicuramente il prezzo del latte è in crescita per una serie di motivi ma non è l’import la prima e principale causa.

Quali sono i reali motivi?

In realtà il prezzo del latte è in aumento per due cause concomitanti drammatiche.  La siccità ha drasticamente ridotto le scorte di foraggio visto che dai 3 tagli degli scorsi anni siamo passati a un solo taglio.  La seconda è più strettamente legata alla guerra e riguarda i mangimi che hanno subito rialzi incredibili e i distributori oggi pretendono il pagamento con bonifico anticipato e non a 60/90 giorni azzerando ogni possibilità di avere cassa disponibile per gli allevatori. 

E quali sono le conseguenze?

Gli allevatori stanno vendendo i loro capi per i macelli e a ottobre assisteremo alla mancanza di latte ovino e alla scarsità di quello bovino e caprino in misura minore.  Tutto sta passando nel silenzio quasi assoluto ma la crisi che ne può derivare potrebbe essere praticamente irreversibile visto che per una vaccina servono circa tre anni di tempo, e nel frattempo i costi fissi continuano a correre.

Concretamente può farci capire come stanno cambiando i prezzi?

Partiamo dal latte.  L’ultimo acquisto di latte ovino lo abbiamo concluso a 1,90 euro al litro e a marzo 2022 stavamo a 1,15.  UN allevatore mi ha riferito che sotto 1,80, ad ora, non è economico produrre latte.  Per comprendere ancora meglio, per produrre un chilo di formaggio servono circa 5 litri di latte; a questo bisogna aggiungere i costi di produzione e il margine per l’azienda casearia. 

Quindi anche il prezzo dei formaggi rischia di salire vertiginosamente nei prossimi mesi?

Come Caseificio Montecristo abbiamo ritoccato i listini di 2 euro al chilo mentre nei negozi che forniamo abbiamo preferito tagliare o addirittura azzerare i margini per preservare tutto il lavoro svolto fino ad oggi e non perdere il cliente.  Per il futuro speriamo che questa spirale di aumenti rallenti o, meglio, se fermi altrimenti saremmo costretti alla sospensione della produzione almeno di parte dei formaggi anche perché il cliente finale non è disposto a spendere e non può.

Lei ha parlato di sospensione della produzione ma alcuni caseifici stanno pensando addirittura alla chiusura…

Noi non chiuderemo nonostante i grossi sacrifici che già stiamo facendo, augurandoci che questa crisi non duri a lungo.  Ho ben presente la situazione di altri caseifici piccoli, medi e grandi che sono in serissime difficoltà e purtroppo qualcuno sta pensando alla chiusura così come sta avvenendo in molti altri settori.

Ma voi che azioni avete messo in campo per resistere?

A gennaio i costi energetici erano già in forte crescita e i venti di guerra erano chiarissimi e abbiamo proceduto ad acquisti per affrontare meglio la susseguente crisi e potere pagare le bollette. Poi da tempo abbiamo investito sulle energie alternative. Nel 2018 con il PSR il caseificio lo abbiamo trasformato in solare ma senza batterie di accumulo.  Ora abbiamo in cantiere un nuovo progetto di PSR da oltre 270 mila euro con macchinari nuovi, batterie per il fotovoltaico e altri aggiornamenti per cuoi abbiamo tempo fino a inizio del prossimo anno.  Il problema vero è programmare, è quasi impossibile soprattutto per realtà piccole come la nostra.

Vorrei concludere con banche e salario minino.  Il credito oggi è sicuramente necessario più di ieri nonostante i costi siano in aumento e il costo del lavoro è un’altra criticità che pongono oggi gli imprenditori di ogni settore…

Per quanto riguarda il credito noto che le banche si stanno muovendo, ovviamente all’interno dei severi paletti del rating, per finanziare le imprese anche perché le previsioni sono pessime con il 15/20% delle aziende a rischio chiusura e questo sarebbe un ulteriore problema drammatico per il sistema Paese.  Sul reddito minimo a 9 euro, questa è la cifra di cui parlano i politici, potrei essere in pieno accordo ma non è possibile che all’azienda si rovesci un costo di 20 euro circa.  Sì al reddito minimo ma con il contemporaneo taglio del cuneo fiscale altrimenti non si assume più.




Il grande freddo sull’economia, CNA lancia l’allarme sui costi di energia e gas e torna di moda l’austerity

I prezzi di gas e energia volano e iniziano a destare allarme le conseguenze per il commercio, la piccola impresa e più in generale per le cosiddette aziende energivore, fra queste quelle del settore turistico, vitale per l’Umbria. L’ultimo grido d’allarme arriva dal presidente di CNA Umbria, Michele Carloni, “se i costi dell’energia e del gas manterranno i trend di crescita registrati finora e non ci saranno interventi di sostegno immediati, decine di migliaia di imprese in Umbria saranno costrette a fermare le attività riattivando gli ammortizzatori sociali per i loro dipendenti”.

Il termometro dell’economia mondiale volge al brutto con gli Stati Uniti in recessione tecnica, la Germania in profonda crisi e l’ìEuropa che arranca. Carloni parla apertamente di nuova fase recessiva “per cui serve subito un accordo tra i vari schieramenti politici per un intervento di urgenza del governo che possa almeno aiutare a tamponare la situazione”. E la situazione è ormai tragica sul fronte dei costi con bollette alle stelle e costi delle materie prime che inseguono crescite ormai nell’ordine di oltre il 10% annuo. A soffrire in particolare è l’intera filiera del turismo, dagli alberghi ai bar e ristoranti che hanno alti consumi sia di energia che di gas. La stagione, di solito, tende a stabilizzare prezzi e tariffe ma quest’anno molti esercizi si sono visti costretti a ritoccare i loro listini in piena estate mentre altri lo faranno nel mese di settembre. D’altronde, spiega sempre Carloni, “in questi giorni molto imprese stanno ricevendo comunicazioni da parte dei gestori, i quali denunciano il peggioramento drammatico dell’andamento dei prezzi del gas per settembre prevedendo che il Prezzo Unico Nazionale schizzerà a ben 710 euro al MWh cioè il 316% in più sui prezzi di gennaio 2022, quando il costo del gas era già salito moltissimo”.

Molti operatori iniziano preoccupati a chiedersi come affrontare la stagione fredda e tanti paventano la sospensione o la chiusura dell’attività. Il prezzo medio del caffè al banco, intanto, in molte città è già di 1,20 euro e probabilmente anche in Umbria si arriverà a cifre simili. Intanto si pensa già a riduzioni di orario lavorativo per tagliare i consumi con lo spettro dell’austerità stile ’73. Allora per affrontare l’improvviso aumento dei costi del petrolio il governo impose scelte impopolari ma necessarie come le domeniche a piedi, la chiusura dei cinema con lo spettacolo delle 20 e l’anticipo di quelli teatrali, le targhe alterne sempre per limitare gli spostamenti in auto. Anche la televisione interrompeva le trasmissioni alle 23 per tagliare i consumi sia delle emittenti che dei privati.

Allo studio alcuni provvedimenti taglia-costi da parte del governo come la limitazione dell’illuminazione notturna sia pubblica che dei negozi, la settimana corta nelle scuole, l’abbassamento a 18 gradi dei riscaldamenti nei luoghi pubblici e l’accorciamento del calendario di accensione e spegnimento degli impianti centralizzati di una settimana. Tutto questo basterà? Servirà a far risparmiare i cittadini e le imprese? E’ una manovra emergenziale che tamponerà i picchi di consumo ma non lascerà ricchezza da spendere perché manca una gamba e cioè il recupero dell’inflazione nelle buste paga dei dipendenti e il taglio del costo del lavoro per le imprese.




Il presidente della Camera di Commercio Mencaroni, “l’economia umbra è in fase di ristagno”

Il presidente della Camera di Commercio dell’Umbria, Giorgio Mencaroni in un intervento televisivo ha spiegato che “l’economia umbra è in fase di ristagno. L’industria accusa duri colpi, i servizi invece crescono ma in modo ondivago. Le questioni personale e ripresa della restituzione dei prestiti bancari”.

“L’economia dell’Umbria presenta in questo momento un periodo di ristagno, se non di recessione, rispetto a quelle che erano le previsioni che erano state diffuse per il 2022 per la nostra regione: la crescita infatti era stimata al 4,6%-4,7%, mentre ora si parla di 2,2%-2,4%”. Mencaroni evidenzia che “settori come quello dell’industria presentano un passo indietro per quello che riguarda l’assunzione di personale rispetto alle previsioni che erano state fatte. La produzione industriale tende a calare e con essa l’occupazione, come dimostra l’indagine Excelsior sulle previsioni di assunzione da parte delle imprese della regione”. Il presidente rileva poi, “ci sono altri settori che presentano segnali abbastanza positivi, come quello dei servizi, ma si tratta di andamenti ondivaghi, con momenti di spinta dove c’è grande necessità di personale e altri momenti di stanca”. Mencaroni prosegue affermando che al forte aumento delle materie prime, in primis quelli relativi all’energia, e alla disarticolazione delle filiere determinata dal Covid, si è aggiunto l’ulteriore e gravissimo elemento della guerra in Ucraina, che ha accentuato la pressione sia sui prezzi energetici e più in generale le materie prime, compresi ad esempio il grano e altri prodotti agricoli.

C’è poi il tema delle assunzioni e anche quello delle imprese che lavorano in subfornitura: “si tratta di temi complessi. Ci sono imprese, specialmente quelle del settore industriale, che anche se in difficoltà tendono a fidelizzare sia i propri dipendenti, sia i loro subfornitori, perché vogliono evitare che queste persone e queste imprese, che oggi magari sono nelle condizioni di non poter stare sul mercato, ne escano e quindi non siano più disponibili nella fase di ripresa del mercato stesso. In altre parole, cercano di fidelizzare, aiutandoli in ogni modo possibile perché siano disponibili nella fase di ripresa”. Fenomeni simili sono presenti anche nel settore del turismo, “pensiamo ad esempio a molte aree dell’Umbria caratterizzate dal turismo di tipo stagionale in cui quindi, le imprese sono obbligate ad effettuare assunzioni a tempo determinato o stagionale. Il rischio è che queste persone, che già nel 2020 e 2021 hanno lavorato in maniera balbettante, cambino tipo di occupazione”. Altro tema è quello della restituzione da parte delle imprese dei prestiti bancari, che era stata sospesa durante la pandemia, e che oggi è invece ripresa. “Molte imprese – sottolinea il Presidente della Camera di Commercio dell’Umbria – hanno difficoltà per la restituzione di queste somme. Intanto i tassi si stanno alzando e le banche stanno diventando sempre più caute nell’erogare credito alle aziende. Il rischio è che si crei una situazione che blocchi il volano che deve essere innescato tra il credito, la produzione e la commercializzazione. Un tema molto serio, urgente, che in qualche modo va affrontato e risolto”.




Signore/i consiglieri, ma siamo proprio sicuri che Orvieto riesca a rimanere “città viva” nel prossimo futuro?

Che cosa sta accadendo alla politica orvietana? Sono più o meno dieci giorni che si accapigliano intorno alle dichiarazioni del presidente Garbini sulla distanza tra realtà civile e politica, ora altri giorni sulla questione Sartini, tra l’altro sospesa dal partito e sfiduciata dal sindaco, e la minoranza battaglia con una mozione di sfiducia che, come già successo all’epoca di Gnagnarini a parti invertite, non può essere discussa in consiglio perché non competente in materia, tanto che quella effettiva è già cosa fatta. Però si scrivono post su post sui social, eccoli di nuovo i social, quelli al centro della polemica politica di questi giorni, anzi di queste settimane, diciamolo pure di questa consiliatura e in parte della scorsa.

L’ultimo post in ordine di apparizione riguarda la domanda retorica posta da un consigliere di maggioranza sul reale perché delle strade vuote, imputando la colpa alle politiche di contrasto al covid. E’ l’ultima esternazione di una lunga serie, ma alla domanda come rispondere? Questo dovrebbe essere il ruolo della politica, ma non sembrerebbe così e allora proviamo a darla noi da cittadini: probabilmente perché non ci sono soldi a disposizione, le bollette stanno arrivando e sono cresciute e i prezzi, nonostante i saldi, sono aumentati, un mix terrificante che rischia di far sbattere il Paese tutto in recessione se la bolla, in parte speculativa, dei costi energetici e della spirale dei rialzi generalizzati non verrà nel breve periodo arrestata e almeno parzialmente compensata da un aumento degli stipendi così da riconsegnare una parte di potere d’acquisto perso in questi ultimi tre mesi. L’appello che ci sentiamo di lanciare alla politica tutta, di destra, di centro, di sinistra e civica riguarda la reale situazione di Orvieto che non può essere racchiusa semplicemente nel jingle “città viva, esperienza unica”.

Ma è chiaro che, come ben evidenziato dall’ultimo report di Cittadinanza Territorio e Sviluppo curato da Antonio Rossetti su dati di Medicom043, Bollettino Economico del CSCO e Report sulle prime 20 aziende dell’area interna sempre di CTS, che Orvieto è in pieno declino, che non c’è “voglia di futuro” che s’investe poco ma soprattutto s’innova poco? E’ chiaro che il turismo è un settore importante ma che nelle prime 20 aziende dell’Area Interna sud-ovest, e di quelle dell’orvietano, non vi è alcuna realtà del comparto e che una delle aziende principali presenti nella classifica, Vetrya, appesantiva gli indici nel 2019 e ora è in liquidazione e, comunque vada, con alcune decine di lavoratori che avranno accesso alle tutele di legge ma senza lavoro? E’ chiaro che si moltiplicano le realtà imprenditoriali in crisi che chiudono, come nel caso di Michelangeli, storica bottega orvietana, o vengono messe in liquidazione e che le attività commerciali soffrono grandemente? E’ chiaro che c’è una questione ancora aperta riguardante la banca di territorio e il suo prossimo futuro con un aumento di capitale alle viste e le continue voci su nuovi tagli e soprattutto quelle mai sopite, di una possibile fusione con conseguente scomparsa del marchio e della sede legale? E’ stato compreso che a ogni chiusura, delocalizzazione e fusione corrisponde anche una perdita fiscale per il Comune che non si ritroverà più addizionali Irpef in bilancio? E i campanelli d’allarme non finiscono qui…

La crisi demografica che ci ha fatto scendere sotto i 20 mila è un male comune dell’Umbria ma, tra i centri più grandi, con una percentuale maggiore e rischia di scendere ancora, magari sotto i 18 mila il che significherebbe vedersi cancellare alcuni servizi ora presenti. E poi l’ospedale e la sanità di territorio con la Casa di Comunità prevista accanto al Duomo, scelta almeno discutibile, e non alla Piave, altra questione ancora scoperta, dove la USL ha un immobile di proprietà, pagato con soldi della collettività, e fermo lì a marcire. Si preferisce andare a spendere sicuramente di più, visto il pregio e i vincoli, oltre alle dimensioni e al sistema viario tutto da mettere a sistema e rendere fruibile, al Duomo invece di procedere così come a suo tempo fu definito, in un posto con parcheggi già disponibili, sistema viario già pronto, collegato con il resto della città grazie alla vicinanza della funicolare e nel centro storico…mah!

E ancora la partita dei rifiuti e del sistema viario su ferro e su gomma che ci lascia ancora isolati dal resto della Regione e ci vede testimoni passivi dell’Alta Velocità. Qualcuno ha mai provato a stendere una lista della spesa da chiedere come parziale risarcimento per l’impatto ambientale, per i danni d’immagine e per le difficoltà che ogni giorno i cittadini orvietani devono superare per raggiungere Tribunale, Regione, Provincia, Camera di Commercio, Ospedali, università e altro?

Le stesse domande le poniamo anche ai rappresentanti delle categorie produttive, ai sindacati e a chi più in generale si occupa di impresa. La politica ha un ruolo primario e il consiglio comunale non può scollarsi dalla realtà del quotidiano, intervenendo laddove ha possibilità e capacità concrete e individuando le strade per interloquire e fare pressioni sugli organi competenti quando non si ha capacità di incidere direttamente. Il teatro della politica è parte integrante del sistema ma non può essere il protagonista assoluto per gran parte del tempo, salvo alcune eccezioni. Orvieto vuole essere viva ma per farlo ha necessità di avere gli strumenti adatti e politica, impresa e sindacato, insieme possono tentare questa battaglia, anche nelle differenze, ma con l’obiettivo comune del benessere dei cittadini tutti.




Antonio Rossetti, CTS, “tanto risparmio ma pochi investimenti così le imprese orvietane soffrono, quali soluzioni?”

In un Rapporto appena uscito l’impresa sociale Cittadinanza Territorio Sviluppo prende in esame l’economia del territorio orvietano attraverso l’analisi congiunta di più studi. In particolare si fa riferimento, nel documento appena pubblicato, al Bollettino socio-economico 2019 del CSCO, all’Analisi dei depositi bancari dell’Umbria a cura di Mediacom043 e al recente Osservatorio permanente delle prime 20 imprese di capitali dell’Area interna Sud-ovest Orvietano proprio a cura di Cittadinanza Territorio e Sviluppo. I dati analizzati restituiscono un’ipertrofia dei depositi bancari tipica dell’orvietano e un livello del credito bancario alle imprese molto più basso ad Orvieto rispetto al dato umbro. Nel nostro territorio per ogni euro di deposito bancario solo 0,75 centesimi si trasformano in prestiti contro 0,95 della media umbra.

Un dato preoccupante che rappresenta un’ulteriore spia di allarme rispetto all’andamento economico stagnante del nostro territorio. 

Abbiamo così voluto rivolgere qualche domanda in più al curatore del rapporto, Antonio Rossetti, presidente del Comitato Scientifico di Cittadinanza Territorio Sviluppo.

Presidente Rossetti in soldoni cosa sta accadendo alle imprese del nostro territorio?

I dati ci restituiscono una situazione di stasi dei prestiti bancari consolidata da diversi anni. Tutto ciò in particolare nell’orvietano. Nonostante la mole dei depositi bancari ad Orvieto sia importante, il livello dei finanziamenti effettivamente erogati è molto inferiore al credito potenzialmente erogabile. In un sistema bancocentrico, ovvero dove le banche costituiscono con gli affidamenti il principale canale di finanziamento degli investimenti delle imprese, questa stasi del credito è uno dei fattori che inducono un peggioramento della redditività delle aziende orvietane.

Quindi mi sta dicendo che l’alta propensione al risparmio degli orvietani sta minando la salute del nostro sistema imprenditoriale?

Il risparmio delle famiglie finito nei depositi ha determinato nel tessuto produttivo minori flussi di cassa gestionali, così le imprese per finanziare i loro piani di sviluppo avrebbero avuto necessità di un maggiore  ricorso ai fidi bancari. Nel medio periodo, visto il basso livello di credito bancario del territorio, le nostre imprese hanno di fatto dovuto ridurre i loro piani di espansione. In generale quando il risparmio acquista depositi e non vi sia un parallelo incremento dei prestiti, vi è un ridimensionamento dei piani industriali, con meno investimenti fissi e più rimanenze di magazzino indotte dalle minori vendite. E’ quello che sta accadendo ad Orvieto, un eccesso di risparmio.

Eccesso di risparmio significa così crollo degli investimenti produttivi?

Proprio così. Aggiungerei che se non si vuole che anche l’aggiornamento del capitale produttivo già impiantato declini, bisogna necessariamente fare in modo che all’aumento dei depositi corrisponda un aumento degli impieghi bancari verso le imprese del territorio.

Quali sono le cause di tutto ciò?

Mi permetta un’espressione poco tecnica ma che rende bene l’idea, c’è uno “sciupio” di risparmio. Ovviamente, come sempre in economia, vi è pluralità di fattori. In primo luogo, la stasi demografica e la distribuzione del reddito concentrata sulle fasce più alte sono entrambi elementi importanti che certamente determinano questa situazione. In secondo luogo, non va trascurata però la contenuta dimensione delle imprese e anche la natura “familiare” di molte aziende del territorio, fattori che incidono sensibilmente sulla redditività e la crescita delle imprese orvietane.

Le imprese dell’orvietano sono molto più a rischio di altre?

Dall’ultimo Osservatorio permanente sulle prime 20 imprese di capitali elaborato dal CTS, anche escludendo il caso Vetrya, emerge che nel 2019 il MOL (margine operativo lordo) rapportato al fatturato è stato, per le imprese di Orvieto, poco al di sopra del 5% e il MOL per addetto si è attestato attorno ai 20mila euro. Le imprese fuori dal comune di Orvieto si sono attestate rispettivamente all’8,6% e attorno ai 56 mila euro per addetto. In conclusione, vi sono molte cause che determinano una contenuta redditività delle imprese, ma molte di esse sono evidentemente correlate al deficit d’investimento.

Perchè secondo lei vi è nel nostro territorio questa mancata crescita del credito alle imprese da parte delle banche?

Il fatto che il credito effettivo rimanga molto al di sotto rispetto a quello potenziale, garantito dall’alto livello dei depositi, può dipendere sia dalla domanda che dall’offerta di affidamenti. Probabilmente la spiegazione sta in un mix tra domanda e offerta, per cui la contenuta redditività aziendale corrente induce, se proiettata nel futuro, aspettative non ottimistiche aumentando così il rischio d’insolvenza percepito dalle banche. Allo stesso modo gli imprenditori possono sviluppare una visione pessimistica sull’andamento del futuro e procrastinare così i loro piani di sviluppo.

Quali le soluzioni perseguibili e in che tempi?

Le linee d’intervento, sono riassumibili secondo tre approcci: in primo luogo, il miglioramento tecnologico, in secondo luogo un cambiamento organizzativo, in terzo luogo una rivisitazione del ruolo funzionale dell’imprese dell’orvietano all’interno della «catena del valore», con la finalità di svolgere, in luogo delle attuali, quelle fasi del ciclo di produzione a più alto valore aggiunto. Da ultimo, un cambiamento nelle relazioni tra imprese (integrazione, deverticalizzazione, partnership, accordi di rete) e nei mercati del lavoro (un nuovo “modo di produzione” maggiormente volto al digitale e sfruttando anche le nuove possibilità dello smart working). Occorre innovazione! Il che richiede tempo, pianificazione e investimenti. Per questi ultimi vi sarebbe già lo stock di risparmio accumulato, investito in depositi e pertanto trasformabile in impieghi, in cerca di idee innovative.

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