Paolo Fratini, docente UniPg, “nel report CTS i dati dicono che le aziende orvietane hanno potenzialità ma non decollano”

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Paolo Fratini, docente a contratto all’Università di Perugia, commercialista e revisore legale ha partecipato al Report di Cittadinanza Territorio Sviluppo sull’andamento economico delle prime 20 aziende dell’Area Interna Sud-Ovest Orvietano.

Con OrvietoLife fa il punto sulla situazione economica dell’orvietano, delle aziende che operano sul territorio. Il quadro che delinea Fratini è in chiaroscuro, con tante potenzialità che rimangono troppo spesso inespresse complici le infrastrutture ancora non in linea con la media e la questione demografica che inizia ad essere un punto cogente nelle analisi economiche non solo umbre. L’intero report può essere scaricato al seguente link: https://www.osservatoriocts.it/DWL/AreaInternaSudOvestOrvietano2021.pdf




Paolo Fratini, commercialista, “La redditività e la situazione patrimoniale delle aziende orvietane nel 2020 sono peggiorate”

Cittadinanza Territorio Sviluppo ha presentato un interessante report sulla situazione delle imprese dell’orvietano e di Orvieto.  Ne emerge un ritratto a tinte fosche soprattutto alla luce delle crisi che si è andata a innestare sulla precedente dovuta alla pandemia.  Ci ha illustrato la situazione Paolo Fratini, commercialista, docente a contratto presso il dipartimento di economia all’Università di Perugia, membro della commissione “crisi di impresa”, con numeri che non lasciano spazio a interpretazioni.  Sicuramente Orvieto non è l’eccezione negativa in un quadro comunque critico ma la struttura imprenditoriale risulta essere piuttosto fragile e indirizzata verso comparti che sono fortemente esposti alla crisi internazionale avviatasi già prima dello scoppio della guerra in Ucraina e che si è palesata in tutta la sua drammaticità in questi ultimi mesi.

Il 2020 è stato un anno terribile per l’economia italiana e non solo.  Come si è comportato il sistema imprenditoriale orvietano che avete esaminato nel vostro rapporto?

E’ sempre difficile analizzare ed interpretare dati caratterizzati ed influenzati dalla eccezionalità degli eventi che li hanno condizionati, i risultati dell’anno 2020 ove fosse necessario specificarlo hanno determinato nella loro eccezionalità la necessità di molteplici interventi di sostegno, ex post rivelatisi spesso insufficienti, oltre alla “sterilizzazione delle perdite” laddove il legislatore, ha sancito che le società di capitali possono operare con un patrimonio netto negativo proprio a fronte della eccezionalità degli eventi.   Dal punto di vista economico il dato più preoccupante è quello riferito alla redditività: sul campione, comprensivo anche delle aziende a maggiore impatto, il margine operativo lordo (MOL) rapportato al fatturato è praticamente nullo con una flessione di oltre l80%; l’analogo dato riferito alle imprese non orvietane è risulta pari al 7,8%.  Nel dettaglio il dato è in gran parte condizionato dal risultato economico di Vetrya il cui risultato, considerate le dimensioni dell’azienda, ha condizionato il dato negativo non solo dell’orvietano ma dell’intera area, trascinando addirittura in segno negativo il valore assoluto dell’utile netto.

Quindi si può affermare che le aziende orvietane hanno sofferto in maniera più marcata le problematiche legate alla pandemia?

Sicuramente la capacità delle imprese orvietane di creare margini continua a risultate significativamente peggiore di quelle delle aziende non orvietane.  I riflessi si notano anche sulla situazione patrimoniale, infatti dall’analisi svolta sul campione si evidenzia che queste hanno avuto un risultato netto negativo della complessiva gestione pari a 9 milioni a fronte di un risultato positivo del 2019 di oltre 2 milioni dell’anno precedente con una variazione negativa monstre del 438,82%.  Proprio a conferma di questo, l’indicatore di redditività aziendale che mette in rapporto il margine operativo lordo e l’attivo patrimoniale, evidenzia una variazione percentuale negativa pari al 49,50%.

Quindi le aziende, in particolare le Pmi, hanno perso valore?

Analizzando il patrimonio netto altresì definito “capitale proprio” o “mezzi propri” sempre nello stesso arco temporale, si osserva un leggero incremento pari al 4,59% (115 milioni del 2019 contro 120 milioni del 2020), al contrario di quanto accade nelle PMI Italiane che nel corso del 2020 hanno vissuto una contrazione della loro capitalizzazione, che ha riguardato soprattutto il Centro-Italia con una variazione negativa pari a 8,3%. (Cfr. Confindustria-Cerved, “Rapporto Regionale PMI 2021”, pag. 76.). Tale incremento però deve essere lettoalla luce delle rivalutazioni delle immobilizzazioni. Inoltre come evidenziato dal margine di struttura primario e dall’indice di indipendenza finanziaria l’incrementonon permette comunque alle aziende di riuscire a coprire il proprio attivo immobilizzato (-2.45%) e avere un adeguato grado di solidità patrimoniale (-2.44%).

Ma ci sarà qualche dato che permette di guardare al futuro con un po’ di ottimismo?

Un dato positivo potrebbe essere rappresentato dall’incremento dell’attivo circolante, per un valore di 203 milioni contro i 188 dell’anno precedente, ciò nonostante tale aumento non corrisponde ad un proporzionale incremento dei ricavi, il che potrebbe indicare la possibile presenza di anomalie nell’andamento delle scorte oppure nell’incasso dei crediti, o semplicemente la “persistenza” di attivi patrimoniali ante periodo Covid.

E per quanto riguarda l’indebitamento della PMI?

Il grado d’indebitamento delle imprese del panel rimarca un valore minore per il 2020, pari a 0,71 rispetto all’anno precedente, 0,74 delineando aziende maggiormente indebitate.   I debiti consolidati a medio-lungo termine sono aumentati a 54 milioni dai 33 milioni del 2019.  Bisogna infatti sempre considerare la specificità del 2020 quando molte imprese hanno fatto ricorso ai “finanziamenti covid”, cioè quei finanziamenti con garanzia statale erogati per far fronte al periodo di inattività e al calo del fatturato.  Si tratta perciò di finanziamenti ai quali non hanno corrisposto nuovi investimenti, come è nella natura dei finanziamenti a medio-lungo termine nella ordinaria dinamica aziendale. Tuttavia il dato non sembra troppo preoccupante in quanto con poco più di due anni sia è in grado di rimborsare tale debito.  Raffrontando il dato con l’Italia e l’area geografica di competenza si evidenzia come nel 2020 ci sia stato un deciso aumento dell’indebitamento finanziario sul 2019 dell’8,6%, tendenza che continua dal 2015. Nel centro-Italia il dato è ancora più alto con un netto +10,3% mentre nell’orvietano, ricordiamolo è dell’8,90%, praticamente in linea con il dato nazionale.

Indubbiamente il 2020 è stato l’anno più pesante della pandemia e ha indebolito le aziende.  Come hanno cercato di reagire e con quali strumenti?

Effettivamente il 2020 è stato l’anno che ha rivelato la fase più acuta anche nelle conseguenze a danno delle attività economiche.  Le imprese che abbiamo esaminato, oltre alle evidenti difficoltà di redditività hanno dovuto affrontare la pandemia che la ha inesorabilmente indebolite.  Come hanno reagito?  Hanno provato a mitigare gli effetti.  Alcune imprese campione si sono servite della cosiddetta “rivalutazione d’impresa”, ossia la possibilità offerta in via straordinaria dalla norma, di incrementare il valore dei beni iscritti in bilancio. Per questo l’incremento degli investimenti lordi, e del patrimonio netto, è in buona parte solo apparente perché è il risultato di una rivalutazione contabile e non corrisponde a reali nuovi investimenti.

Può fare un esempio concreto per far comprendere meglio ai lettori?

Certamente, la rivalutazione effettuate tra le imprese che hanno sede nel Comune di Orvieto sono state pari a 10,76 milioni di euro; questo ha fatto sì che si verificasse un aumento delle immobilizzazioni senza la presenza di nuovi investimenti e un aumento del patrimonio netto senza un correlato aumento di capitale.  Quindi questo ha fatto sì che si generassero degli indici leggermente favorevoli rispetto alla situazione depurata dalle rivalutazioni che invece risulta più gravosa.  A titolo esemplificativo si può notare come il patrimonio netto cambi da una variazione positiva del 4,59%, dato dalla differenza dei valori degli anni 2019 e 2020, ad una variazione negativa pari al 4.60% dello stesso periodo al netto delle rivalutazioni.

Quali sono le cause della scarsa redditività e degli scarsi investimenti?

Da quanto emerge dall’analisi si può ipotizzare che la politica gestionale maggiormente utilizzata per mantenere quote di mercato, sia quella di preferire la leva del contenimento dei prezzi di vendita rispetto a quella della redditività dei fattori di produzione. Si può ipotizzare quindi una maggiore staticità e una scarsa propensione all’innovazione dei fattori produttivi.  Altro aspetto importante, che solo una analisi più approfondita potrebbe aiutare a definire una concausa oppure un effetto della scarsa redditività, è rappresentato dalla scarsa propensione a nuovi investimenti. Questo può essere come detto una concausa della scarsa redditività, ma potrebbe anche esserne un effetto dal momento che la bassa redditività non supporterebbe adeguatamente nuovi investimenti.




CTS, nell’osservatorio 2020 irrompe il covid e mette allo scoperto le debolezze delle imprese orvietane

E’ stato pubblicato da Cittadinanza Territorio e Sviluppo il secondo Osservatorio Permanente delle prime 20 società di capitale dell’area interna sud-ovest orvietano. L’osservatorio analizza, sia in forma aggregata sia analitica, i dati e le informazioni delle prime 20 imprese classificate per volume di ricavi prodotto nell’esercizio 2020 e che hanno sede operativa in uno dei Comuni dell’Area Interna. Con questi dati e questi criteri applicati all’Osservatorio, emerge un campione sufficiente a definire un quadro attendibile sullo stato di salute e sull’andamento dell’economia del territorio. Anche per questa seconda edizione è stato scelto di analizzare i campioni enucleando le imprese cosiddette “outliners” e cioè Ceprini Costruzioni e Vetrya, la prima per un MOL eccedente la soglia critica sulla media, la seconda per l’esatto opposto. In questa nuova edizione sono uscite dal computo delle prime 20 due aziende Giontella Srl e La Loggia Srl, ambedue con sede a Orvieto, che sono state sostituite da Cantine Cardeto e Gosti, la prima sempre con sede a Orvieto e la seconda operativa nel settore delle costruzioni con sede a Città della Pieve.

Le 20 imprese del campione largo hanno sviluppato nell’esercizio 2020 un volume di ricavi pari a 261 milioni, contro i 307 milioni di euro dell’esercizio precedente (-15%), erogando retribuzioni lorde per complessivi 41 milioni (43 milioni il dato precedente, pari a una flessione di circa il 5%). Riguardo agli addetti complessivamente impiegati alla data del 31 dicembre 2021 risulta un complessivo di 1.192 unità; in media, nel 2021, il numero di addetti è risultato pari a 1191 contro 1105 del 2020 (+8%). L’anno 2020 è una sorta di anno 0 (zero) perché travolto dal covid con tutte le problematiche economiche e sociali conseguenti. Sottolineata questa variabile “impazzita”, il dato sicuramente più preoccupante è quello relativo alla redditività con una flessione del MOL sul fatturato di oltre l’80%. Per quanto riguarda la redditività le imprese orvietane hanno registrato un calo dell’87%, dato fortemente condizionato dal pesantissimo risultato economico di Vetrya. Secondo Matteo Tonelli, curatore dell’Osservatorio “la capacità delle imprese orvietane di creare margini continua a risultare significativamente peggiore di quella delle aziende non orvietane e del resto del Centro Italia”. Per Antonio Rossetti, presidente del comitato scientifico di CTS, “il dato sulla redditività è un vero e proprio campanello d’allarme con implicazioni notevoli sulla capacità di crescita del territorio”.

Per Paolo Fratini, docente alla facoltà di Economia dell’Università di Perugia e consigliere scientifico di CTS, “in questo scenario ancora pandemico e di guerra, si rende indispensabile la prosecuzione e il rafforzamento delle misure di sostegno alla liquidità già adottate nelle precedenti fasi pandemiche, tutto ciò al fine di una ristrutturazione finanziaria e allo scopo di un aumento della patrimonializzazione delle imprese, fattori determinanti per rilanciare gli investimenti e di conseguenza, favorire la crescita e la ripresa”.

scarica tutto il rapporto di Cittadinanza Impresa e Sviluppo “Osservatorio sulle prime 20 imprese dell’Area Interna Sud-Oves orvietano




Annalisa Bacciottini, CTS, “a Orvieto i settori trainanti sono agricoltura e commercio che soffrono la crisi”

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Con Annalisa Bacciottini abbiamo preso spunto dall’ultimo report di Cittadinanza Territorio Sviluppo sulle microimprese curato anche da Matteo Tonelli. Si evince un quadro a tinte più scure per l’intero territorio ma soprattutto per Orvieto con una discesa vertiginosa dei redditi della società di persone e degli occupati. I settori trainanti a Orvieto sono agricoltura e commercio, con particolare riguardo alle attività legate al turismo.

I momenti critici sono molto legati a problematiche esogene e nel territorio il settore manifatturiero non ha una forte incidenza è questo il segnale che l’economia non cresce.




Cittadinanza Territorio Sviluppo, a Orvieto crollano del 25% i redditi delle imprese individuali e di persone

Cittadinanza Territorio Sviluppo presenta un nuovo report economico dell’area Interna Sud-Ovest orvietano dal titolo “Demografia Imprese nel 2021”, incentrato sulla totalità delle imprese di persone e capitali operanti sul territorio che evidenzia forti criticità nei settori considerati a rischio, curato da Matteo Tonelli e da Annalisa Bacciottini. Nello scorporo per territori, Orvieto spicca per la forte contrazione del reddito medio ai fini Irpef per ditte individuali e soci delle società di persone che è letteralmente crollato del 25% nel 2020.

Confindustria e Cerved hanno analizzato, in uno studio del 2021, il grado di rischio delle Pmi in base ai settori di attività e ne emerge che, sull’Area Interna le imprese operanti in tali comparti, rappresentano il 28,3% del totale con il 30,4% degli addetti, mentre scendendo nel dettaglio del solo Comune di Orvieto le percentuali aumentano rispettivamente al 34,6% e al 31,6% degli addetti. Sul prossimo futuro continuerà a pesare l’eredità dell’emergenza covid; basti pensare ai cosiddetti “finanziamenti covid” che non prevedevano il rimborso della quota capitale nei primi due anni ma per i quali dal 2022 inizierà l’onere del rimborso e non solo, più in generale si evidenzia una generale riduzione dei ricavi e dei margini che hanno implicazioni rilevanti sull’evoluzione del rischio prospettivo, tanto maggiore quanto più si riduce la dimensione dell’impresa.

Dallo studio di Tonelli e Bacciottini emerge un quadro poco incoraggiante visto che quasi tutti i parametri utili a misurare lo stato e le prospettive del sistema delle imprese manifestano una sostanziale debolezza e fragilità per molteplici motivi, fra i quali la marcata frammentazione con imprese sempre più piccole; l’assenza di settori trainanti in grado di creare le condizioni per lo sviluppo di filiere; il progressivo indebolimento del settore manifatturiero e il contemporaneo rilevante peso specifico per quei settori di attività più esposti al rischio di eventi esterni non prevedibili.




Antonio Rossetti, CTS, “per lo sviluppo economico e demografico del territorio servono infrastrutture, servizi e reti di imprese”

Il problema demografico legato all’economia è emerso prepotentemente nell’ultimo report di Cittadinanza Territorio e Sviluppo da cui si evince un quadro a tinte piuttosto fosche per l’Area Interna Sud-Ovest Orvietano e per Orvieto in particolare, soprattutto se in assenza di decisioni politiche che tentino di invertire la rotta.  Sicuramente l’età media piuttosto alta degli imprenditori, la conseguente scarsa propensione all’investimento, la mancanza di reti di aziende sono i principali segnali di un territorio sui cui si devono concentrare gli sforzi della politica con un raggio d’azione di medio-lungo termine.  Antonio Rossetti, che insieme a Eleonora D’Urzo ha curato il report, sintetizza con una frase asciutta l’attuale situazione, “splende la luce del crepuscolo”. 

Ma è veramente così grave la situazione nel nostro territorio?

Inizierei con il dire che la demografia ha un suo impatto specifico sull’economia più che viceversa anche se sicuramente le problematiche economiche aggravano il problema demografico.  Insomma, crescita demografica ed economica vanno a braccetto ma vorrei sottolineare un punto chiave e cioè che c’è un legame diretto tra demografia e investimenti economici. 

Cosa intende di preciso con nesso diretto tra demografia e investimenti economici?

Il primo punto che mi viene in mente è che con il calare dell’età media c’è un corrispondente aumento della voglia di intrapresa e un conseguente aumento degli investimenti. Oggi la situazione a Orvieto vede un’età media alta, un male comune al paese ma che si accentua in Umbria e ancora di più nel territorio, e un risparmio medio molto alto, io azzarderei nel definirlo esorbitante e questo perché non cresce la forza-lavoro.  Cero di spiegarmi con un esempio semplice.  Prendiamo una ricetta di un dolce in cui servono 6 uova per un chilo di farina.  Aprendo il frigorifero ci accorgiamo di avere solo tre uova; quindi, dimezziamo la dose di farina e prepariamo il nostro dolce. Ci avanza mezzo chilo di farina che rimane nella dispensa, un po’ come i soldi che vengono accantonati, senza possibilità di utilizzo e  rimangono in banca sui conti correnti, senza che ne benefici in alcun modo l’economia del territorio. In sostanza, se un fattore di produzione, la forza lavoro adeguatamente preparata, non cresce, l’altro fattore, l’investimento, “rimane in frigorifero”, per continuare la metafora, cioè rimane risparmio inoperoso. Una carenza d’offerta di lavoro in età giovanile, preparata alle nuove tecnologie, e un eccesso d’offerta di età avanzata implica che il risparmio non ha buone opzioni per divenire investimento: la regola è implacabile, la crescita economica è sempre limitata dal fattore di produzione che scarseggia.

In pratica con un’età media aumenta la propensione al risparmio e cala quella all’investimento, da quello che sta dicendo. Tutto sembra favorire proprio questo sistema in Italia.  Non è che quando si dice che il nostro non è un Paese per i giovani si dica la verità?

Si dice la verità se l’intera struttura economica del paese non è adatta agli investimenti e, di conseguenza, non sei attrattivo per i giovani.  A Orvieto, poi, come detto, c’è un cronico eccesso di risparmio, soldi fermi, immobilizzati che non vengono immessi nel ciclo economico fatto da micro e piccole imprese, senza gradi realtà industriali, senza un cluster produttivo.  In pratica i giovani non trovano l’humus adatto per crescere e vanno altrove. C’è da dire a queste problematiche, malgrado se ne sia preso consapevolezza, ancora non si è  trovato una possibile soluzione.

Lo smart-working dopo la pandemia lo stanno velocemente archiviando, in particolare nella PA, potrebbe essere, invece, una soluzione sulla quale investire?

Veramente potrebbe essere proprio una delle soluzioni per far tornare attrattivo questo territorio.  Lo smart- working potrebbe intercettare i già residenti obbligati al pendolarismo e che in taluni casi optano, con il tempo, per il trasferimento definitivo in altri comuni.  La creazione di spazi dedicati al lavoro da remoto renderebbe attrattivo il territorio anche per i non residenti.  Con lo smart-working si svincola la demografia dal luogo fisico dove si lavora, cioè tutti possono lavorare senza muoversi ma c’è il rischio del cosiddetto dumping salariale: la concorrenza sul mercato di forza lavoro proveniente da zone a più basso saggio di salario che possono concorrere senza spostarsi dal luogo di origine; si pensi, a livello internazionale, all’informatico indiano che lavora da Nuova Delhi per una azienda statunitense;  tutti problemi che proprio con la pandemia si sono evidenziati nel lavoro agile e che devono essere assolutamente normati.  Sarebbe un errore grandissimotornare al lavoro tradizionale in via esclusiva, dimenticandosi i vantaggi sia per le imprese sia per i lavoratori dello smart-working.

Sicuramente serve anche altro, però, per rendere attrattivo un territorio…

E’ evidente.  Io dividerei tutto in due fasi, una prima riguarda la politica che deve occuparsi di casa, trasporti e reti immateriali a partire dalla fibra, quella vera.  In una seconda fase il ruolo principale è degli imprenditori.  Affrontiamo la prima fase.  Se gli immobili hanno prezzi troppo alti e le tasse locali sono elevate  è chiaro che i territori contigui, che hanno problemi simili, tra l’altro, hanno gioco facile nel fare concorrenza.  Al netto del lavoro agile i collegamenti sono fondamentali se si vuole uno sviluppo del territorio, allora potenziare i collegamenti ferroviari e migliorare quelli stradali sono tappe fondamentali per rendere attrattivo un territorio. In ultimo le reti immateriali che devono essere adeguate eliminare il gap tecnologico, una strozzatura oggi insopportabile per chi fa impresa. 

E gli imprenditori?

Arriviamo alla seconda fase, quella della creazione di una catena di valore delle aziende.  Partiamo dal presente.  Oggi il tessuto imprenditoriale orvietano è fatto di micro e piccolissime imprese, nella maggioranza dei casi.  Manca poi un settore trainante, non c’è una specializzazione; insomma, il settore produttivo orvietano non è quello che si definisce “un distretto”, è solo un arcipelago di microimprese scollegate; in tali circostanze,  si deve connettere tali imprese in una logica che susciti le cosiddette “economie di rete”, per favorire l’innovazione e creare valore.  Di esempi ne abbiamo in Italia, basta girare e studiare per capire come può funzionare questo modello.  Ogni piccola realtà imprenditoriale da sola non può competere sui mercati interni e internazionali, perché c’è chi deve occuparsi del marketing, chi degli acquisti, chi del credito e così via.  Fare tutte queste fasi del ciclo di produzione per una piccola azienda è impossibile oppure  ha un costo troppo alto, ecco che diventa fondamentale, direi vitale, “fare rete” per vivere e per crescere. 

Poi c’è il delicato capitolo dell’accesso al credito con tante imprese che si lamentano per le difficoltà nell’ottenerlo.

Le regole sono piuttosto rigide e il merito creditizio è importante.  Se non cresci e non comprimi le spese, cioè migliori la produttività, difficilmente avrai un merito creditizio soddisfacente e altrettanto difficilmente potrai avere finanziamenti. Insomma, sono tanti cani che si mordono la coda, tutti in fila, ecco perché piccolo non è bello se non si trovano sinergie e accordi tra imprese.

Quindi lei sta praticamente contraddicendo quello che in tanti in questi anni sostengono e cioè che “piccolo è bello”?

No, assolutamente.  Bisogna però intendersi sul piccolo è bello.  Si può essere piccoli, si può vivere, si può essere vincenti ma all’interno di un distretto industriale, cioè di un’economia indirizzata a pochi prodotti, o al limite monoprodotto, in cui alcuni fattori di produzione lavorano in comune per il distretto, elidendo le diseconomie legate alla piccola dimensione.  A Orvieto abbiamo realtà imprenditoriali piccole ma non abbiamo un distretto o una rete; inoltre, quando si produce con tecniche che non sono sulla frontiera dell’efficienza, si rischia l’implosione in quanto l’innovazione rigurda sempre le tecniche a più alto tasso di produttività, non le altre: se si producono macchine con la chiave inglese mentre i paesi più evoluti usano i robot, è evidente che il progresso riguarderà come migliorare l’utilizzo dei robot e quindi sposterà sempre di più al margine che utilizza la chiave inglese. Da ultimo la  politica: sovente non pianifica oltre le prossime elezioni.  Il ruolo della politica nel favorire la nascita di una rete di imprese o di un distretto industriale è fondamentale, ma si deve pensare oltre il limite temporale del singolo mandato altrimenti ci si limita a gestire il quotidiano senza un progetto per il futuro. Ma non addossiamo tutte le colpe alla politica, anche le imprese devono aver chiaro che per essere protagoniste del loro futuro devono essere pronte a cedere un po’ della loro autonomia, senza snaturarsi e senza vendere ma aprendosi al mercato e alla collaborazione con le altre imprese del territorio pensandosi come parte di un sistema complesso e non come protagonisti assoluti.  L’alternativa è il crepuscolo economico, sociale e demografico di una città e di un territorio.




Paolo Li Donni, presidente CTS, “per provare a evitare il tramonto demografico bisogna agire subito”

L’impresa sociale Cittadinanza Territorio Sviluppo ha presentato un nuovo rapporto dedicato alla demografia e ai risvolti per l’economia dell’Area Interna Sud-Ovest orvietano, curato da Eleonora D’Urzo e Antonio Rossetti.  Il risultato è a dir poco dirompente perché mette a nudo una crisi, o meglio un calo demografico che ha inizio nel 2012 e che è strettamente legato all’economia asfittica del territorio ma in particolare del comune capofila e cioè Orvieto.  Non bastano neanche i nuovi residenti stranieri per riuscire a bilanciare questa perdita che rischia di connotare Orvieto come città al tramonto nonostante gli sforzi che vengono profusi per immaginarla come città viva.  I numeri raccontano un’altra storia, quella di una città dove non si fanno figli, con un’età media più alta di quella già importante dell’Italia e ancor più dell’Umbria e con i giovani che lasciano la piccola città di provincia per trovare lavoro fuori.  Con il presidente di Cittadinanza Territorio Sviluppo, Francesco Paolo Li Donni, abbiamo approfondito proprio la demografia e il suo andamento nel territorio e a Orvieto.

Come è l’andamento demografico del territorio e di Orvieto in questi anni.  E’ vero che il calo è ormai strutturale?

Negli ultimi anni in tutto il territorio italiano si è assistito ad un fenomeno di progressiva diminuzione dei residenti: nell’Area Interna questa tendenza decrescente, a partire dal 2012, è significativamente più consistente rispetto alla media umbra. Da sottolineare che Orvieto, il comune capofila, mostra una flessione dei residenti ancora peggiore rispetto alla media dell’area territoriale indagata. Tra il 2020 e il 2021 il solo Comune di Orvieto ha registrato un calo dei residenti dello 0,7% in linea con il resto dell’Area Interna ma lievemente superiore sia alla media umbra che a quella italiana.  I peggiori sul territorio sono Fabro, Castel Viscardo, Allerona, Alviano e Ficulle mentre sono solo Parrano, Porano e Giove hanno evidenziato variazioni positive dei residenti.

Ma gli stranieri hanno contribuito a mitigare questo calo demografico?

La componente straniera della popolazione, al contrario di quanto accadeva negli anni precedenti e in controtendenza rispetto alla situazione regionale e nazionale, aumenta lievemente con un’incidenza maggiore nei comuni più piccoli.  Al contrario si registra un calo del 12% a Castel Viscardo e del 9,6% a Allerona, solo per citare i più significativi.  Orvieto, invece, ha un’incidenza di stranieri del 9,7%, più alta della media dell’Area Interna e dell’Italia, ma inferiore a quella umbra.  Il risultato è che gli stranieri hanno indubbiamente addolcito una curva discendente che avrebbe potuto essere sicuramente più decisa.  

Una domanda da vero profano.  Qual è il rapporto che andrebbe a indicare un’inversione di tendenza?

La risposta è apparentemente semplice, aumentare il tasso di natalità e riportarlo almeno a due figli per coppia.  Qui iniziano i problemi.  Oggi è più difficile che in passato formare una famiglia e fare il primo figlio.  E’ aumentata l’età media delle neo-famiglie e, di conseguenza, del primo parto.

Perché c’è tato questo spostamento più avanti negli anni?

Sicuramente la parità di genere ha contribuito a spostare in avanti l’età in cui si forma una nuova famiglia perché si studia e l’ingresso nel mondo del lavoro avviene più tardi.  Lo stesso discorso vale anche per gli uomini.  Per quanto riguarda i figli una delle cause principali è da ricercare nella scarsità di servizi dedicati alla famiglia.  Secondo i dati ISTAT in Umbria solo il 54,3% dei comuni ha un asilo nido contro il 58% dell’Italia e il nostro paese non brilla in questa classifica in Europa.  A questo dobbiamo aggiungere anche i costi laddove i “nido” esistono.  Sono costi proibitivi e in quelli pubblici le esenzioni previste per fasce di reddito legate all’ISEE sono veramente basse, direi inadeguate allo stile di vita moderno.

Perché uno degli indici che indica maggiore malessere è quello del rapporto tra giovani e anziani?

Maggiore è il peso di chi è fuori del mondo del lavoro e più alta è la spesa legata alla previdenza sociale e alla salute. Il secondo punto riguarda i giovani.  Dove mancano giovani scarseggia anche la capacità di innovazione rendendo meno concorrenziale il sistema produttivo del Paese, o nel nostro caso, del territorio.  C’è poi un discorso squisitamente economico.  Le pensioni sono già “occupate” dalla spesa per l’aiuto dei propri figli o nipoti e non sono così alte da permettere contemporaneamente anche investimenti nel sistema produttivo. 

Ma quali sono le prospettive per il futuro anche a medio-lungo termine?

Il futuro soprattutto a medio-lungo termine non è roseo.  Le fasce d’età più anziane sono destinate a raddoppiare.  E’ vero, è aumentata l’aspettativa di vita ma con maggiori problemi di salute e in particolare per le donne.  Questo si traduce in un forte aumento della spesa previdenziale ma soprattutto della spesa sanitaria con un ricambio generazionale fortemente deficitario.

Quali sono le possibili chiavi di volta per tentare di invertire questa rotta che vede un mix altamente tossico di scarsa natalità, alta emigrazione giovanile e allungamento della vita media?

Rischio di essere ripetitiva ma per favorire nuove nascite sono necessari forti investimenti per la famiglia.  Indicherei come fondamentali orari di lavoro flessibili, sostegno all’occupazione femminile, congedi parentali paritari, sviluppo dello Smart working, costruzioni di poli sportivi, scolastici e artistici, una seria politica della casa, accesso al credito più facile e investimenti nelle infrastrutture di trasporto.  E’ una lunga lista di interventi assolutamente necessari se si vuole evitare il declino.  Rischia di essere tardi visto che è dal 2012 che tutti i report indicano un invecchiamento della popolazione e un contemporaneo calo delle nascite.  In Umbria la tendenza all’invecchiamento è ancora più marcata e a Orvieto ancora di più anche perché l’intera Regione non è molto ben collegata e negli ultimi anni la situazione è, se possibile, peggiorata.  E’ altrettanto chiaro che questi interventi hanno bisogno di tempo per essere attivati e poi per registrare effetti positivi che però, non sono scontati.




Orvieto a rischio tramonto demografico se la politica non riesce a invertire la rotta

Se il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione residente sono i due mali che affliggono pesantemente l’Umbria, per l’Area interna Sud Ovest Orvietano e Orvieto il fenomeno assume una rilevanza allarmante.

Il rapporto (scarica l’intero rapporto) appena pubblicato dall’impresa sociale Cittadinanza Territorio Sviluppo a cura di Eleonora D’Urzo e Antonio Rossetti si ferma a gennaio dello scorso anno e ci fornisce un’analisi storica ricca di dati e correlazioni.  Il declino demografico ha inizio nel 2012 e da allora è inarrestabile. Ogni anno l’Umbria perde circa 5190 abitanti, mentre l’Area Interna si attesta intorno ai 416 e il comune capofila, Orvieto, a circa 140 abitanti. Un’emorragia inarrestabile che in percentuale vede la nostra Regione ottenere una variazione percentuale negativa tra il 2020 e il 2021 pari a -0,6%. La variazione percentuale dell’Area interna e di Orvieto sono ancora peggiori attestandosi a -0,7%. Va evidenziato però che questo dato per Orvieto è ancora peggiore se raffrontato con il +1,5% dell’incremento dei residenti stranieri che è 3 volte quello dell’Area interna (+0,5%) e 5 volte quello regionale (+0,3%).

Insomma, nonostante una poderosa iniezione di nuovi residenti esteri, Orvieto continua a perdere residenti. L’ultima rilevazione Istat a gennaio 2022 infatti porta il nostro comune sotto la soglia dei 20mila abitanti e proiettando il dato del calo demografico medio annuale in 10 anni ci si avvicinerebbe pericolosamente alla soglia dei 16mila abitanti. Anche sul fronte dell’invecchiamento della popolazione residente la musica non cambia: l’Umbria, quinta regione italiana come indice di vecchiaia, si attesta ad un indice pari a 217,7, l’Area Interna 272,8 e Orvieto ad un indice di 264,2. L‘indice nazionale è pari a 184,1. In generale, è difficile attribuire alla demografia una maggiore rilevanza di quella che in realtà presenti nel condizionare l’habitat economico.

I cambiamenti del modo di produzione e il tasso di crescita della produttività tendono a interagire con il tasso di sviluppo della popolazione in un modo complesso, che può variare a seconda della fase del ciclo economico e dell’organizzazione della produzione. La tesi che viene sostenuta nel rapporto è che la stasi demografica, almeno nel recente passato, ha contribuito a generare un eccesso di risparmio, di cui sono presenti le stigmate nel mercato del credito, e di fatto una performance economica inferiore a quanto si sarebbe potuto conseguire con una dinamica demografica migliore.

Peraltro, vi è anche un nesso di casualità dall’economia alla crescita della popolazione: nelle fasi di stagnazione vi saranno maggiori incentivi a migrare piuttosto che immigrare e procrastinare l’età in cui si genera prole.


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Sessione di bilancio in semiclandestinità. Un grave errore di forma che si aggiunge a uno di sostanza

L’altro ieri ho fatto una riflessione sulla situazione generale, che mi appare seria, certificata ieri (il 3 febbraio per chi legge ndr) dal discorso del presidente Mattarella che più chiaro non avrebbe potuto essere. Ora la continuo con riferimento a quella locale, che mi appare ancora più seria. Lo faccio però con lo stesso spirito, non di rinuncia ma al contrario di spinta all’impegno per il cambiamento.

Andiamo alla sessione di bilancio il prossimo lunedi 7 febbraio con una proposta della Giunta sparametrata rispetto alla realtà e in semiclandestinità. Brutto segnale. Se si legge il Rapporto di “Cittadinanza Territorio Sviluppo” seguito dall’intervista rilasciata lo scorso 21 gennaio dal presidente del Comitato Scientifico di quell’impresa sociale Antonio Rossetti ad Alessandro Li Donni e dalle considerazioni dello stesso Li Donni in un intervento del 24 gennaio, e poi si leggono i documenti che compongono il bilancio, si rimane colpiti dalla distanza tra impianto di questo ed esigenze di governo della realtà.

Del modo in cui viene costruito e presentato il bilancio colpiscono infatti più aspetti. Anzitutto nessun rapporto degli investimenti con la situazione di crisi strutturale del territorio: tutto sembra dimensionato sull’ordinario, come se la crisi non mordesse e come se non ci fossero problemi esplosivi da affrontare subito e soprattutto ora per il futuro che già incalza.

Avanzano provvedimenti regionali che emarginano e rischiano addirittura di umiliare il nostro territorio e l’amministrazione si limita a ripetere cantilene di circostanza. Non si capisce che cosa si vuol fare della sanità, dell’ospedale e del distretto con riferimento al Piano Sanitario Regionale. Non si capisce che cosa si vuole fare del sistema dei rifiuti e della discarica in rapporto al documento di programmazione della giunta regionale. Non si capisce se ancora c’è un qualche interesse per un piano di utilizzo produttivo degli immobili del centro storico a partire dall’ex Piave. Non si capisce se e come si vuole giocare la partita del PNRR.

A ciò si aggiungano palesi contraddizioni e carenze proprio nella logica degli equilibri di bilancio, che si presenta ancora come operazione puramente tecnica e di grande successo solo perché non c’è un aumento delle tariffe. Ma via! Poi però si leggono parti descrittive di programmazione altisonanti a cui corrispondono numeri che parlano un linguaggio esattamente contrario. Quando si va a vedere l’impostazione politica si trovano pagine letteralmente fotocopiate dal bilancio del 2020 e del 2021. Manco lo sforzo di una riflessione su ciò che è successo in questi due anni, se c’è qualcosa da cambiare o da aggiungere. Gli stessi revisori dei conti, che pure lo approvano, fanno due osservazioni pesanti e ben 13 inviti di attenzione che non sembrano proprio tranquillizzanti. Ci sarebbe di che discutere, in tutt’altro modo, uscendo dalle finzioni e cercando convergenze costruttive. No, invece la solita sicumèra.

Ma la cosa che colpisce ancora di più, se ce ne fosse stato bisogno, è il fatto che si andrà alla discussione con una seduta online. Una cosa francamente inaccettabile. Si dice per salvaguardare consiglieri e personale. Ma che strano, il Parlamento si riunisce in presenza in seduta congiunta di Camera e Senato con tutti i posti pieni per il giuramento del Presidente della Repubblica; il consiglio regionale funziona regolarmente; le scuole sono aperte; al festival di Sanremo pubblico fitto in tutti gli ordini di posti. Che ci sarà mai da salvaguardare, se si rispettano le regole! Cioè tutto è pieno di pubblico, solo il Consiglio comunale di Orvieto si fa da remoto, praticamente in semiclandestinità. Offensivo del buonsenso.

Ma non viene in mente che per la situazione che abbiamo bisognerebbe farlo in piazza della Repubblica, al Palazzo del popolo, al Teatro Mancinelli? Non si prevede nemmeno la diretta YouTube o Facebook. Ma non è questo il punto. Il punto è perché non si fa in presenza, anzi invitando il pubblico, i cittadini, ad essere presenti. Rappresentazione plastica di una linea politica, quella della chiusura ad ogni confronto e collaborazione. Pessimo modo di affrontare la fase difficile che stiamo vivendo. Da oggi c’è un metro di misura per valutare l’adeguatezza della funzione di governo: gli interessi dei cittadini secondo il modello proposto dal presidente Mattarella.




Signore/i consiglieri, ma siamo proprio sicuri che Orvieto riesca a rimanere “città viva” nel prossimo futuro?

Che cosa sta accadendo alla politica orvietana? Sono più o meno dieci giorni che si accapigliano intorno alle dichiarazioni del presidente Garbini sulla distanza tra realtà civile e politica, ora altri giorni sulla questione Sartini, tra l’altro sospesa dal partito e sfiduciata dal sindaco, e la minoranza battaglia con una mozione di sfiducia che, come già successo all’epoca di Gnagnarini a parti invertite, non può essere discussa in consiglio perché non competente in materia, tanto che quella effettiva è già cosa fatta. Però si scrivono post su post sui social, eccoli di nuovo i social, quelli al centro della polemica politica di questi giorni, anzi di queste settimane, diciamolo pure di questa consiliatura e in parte della scorsa.

L’ultimo post in ordine di apparizione riguarda la domanda retorica posta da un consigliere di maggioranza sul reale perché delle strade vuote, imputando la colpa alle politiche di contrasto al covid. E’ l’ultima esternazione di una lunga serie, ma alla domanda come rispondere? Questo dovrebbe essere il ruolo della politica, ma non sembrerebbe così e allora proviamo a darla noi da cittadini: probabilmente perché non ci sono soldi a disposizione, le bollette stanno arrivando e sono cresciute e i prezzi, nonostante i saldi, sono aumentati, un mix terrificante che rischia di far sbattere il Paese tutto in recessione se la bolla, in parte speculativa, dei costi energetici e della spirale dei rialzi generalizzati non verrà nel breve periodo arrestata e almeno parzialmente compensata da un aumento degli stipendi così da riconsegnare una parte di potere d’acquisto perso in questi ultimi tre mesi. L’appello che ci sentiamo di lanciare alla politica tutta, di destra, di centro, di sinistra e civica riguarda la reale situazione di Orvieto che non può essere racchiusa semplicemente nel jingle “città viva, esperienza unica”.

Ma è chiaro che, come ben evidenziato dall’ultimo report di Cittadinanza Territorio e Sviluppo curato da Antonio Rossetti su dati di Medicom043, Bollettino Economico del CSCO e Report sulle prime 20 aziende dell’area interna sempre di CTS, che Orvieto è in pieno declino, che non c’è “voglia di futuro” che s’investe poco ma soprattutto s’innova poco? E’ chiaro che il turismo è un settore importante ma che nelle prime 20 aziende dell’Area Interna sud-ovest, e di quelle dell’orvietano, non vi è alcuna realtà del comparto e che una delle aziende principali presenti nella classifica, Vetrya, appesantiva gli indici nel 2019 e ora è in liquidazione e, comunque vada, con alcune decine di lavoratori che avranno accesso alle tutele di legge ma senza lavoro? E’ chiaro che si moltiplicano le realtà imprenditoriali in crisi che chiudono, come nel caso di Michelangeli, storica bottega orvietana, o vengono messe in liquidazione e che le attività commerciali soffrono grandemente? E’ chiaro che c’è una questione ancora aperta riguardante la banca di territorio e il suo prossimo futuro con un aumento di capitale alle viste e le continue voci su nuovi tagli e soprattutto quelle mai sopite, di una possibile fusione con conseguente scomparsa del marchio e della sede legale? E’ stato compreso che a ogni chiusura, delocalizzazione e fusione corrisponde anche una perdita fiscale per il Comune che non si ritroverà più addizionali Irpef in bilancio? E i campanelli d’allarme non finiscono qui…

La crisi demografica che ci ha fatto scendere sotto i 20 mila è un male comune dell’Umbria ma, tra i centri più grandi, con una percentuale maggiore e rischia di scendere ancora, magari sotto i 18 mila il che significherebbe vedersi cancellare alcuni servizi ora presenti. E poi l’ospedale e la sanità di territorio con la Casa di Comunità prevista accanto al Duomo, scelta almeno discutibile, e non alla Piave, altra questione ancora scoperta, dove la USL ha un immobile di proprietà, pagato con soldi della collettività, e fermo lì a marcire. Si preferisce andare a spendere sicuramente di più, visto il pregio e i vincoli, oltre alle dimensioni e al sistema viario tutto da mettere a sistema e rendere fruibile, al Duomo invece di procedere così come a suo tempo fu definito, in un posto con parcheggi già disponibili, sistema viario già pronto, collegato con il resto della città grazie alla vicinanza della funicolare e nel centro storico…mah!

E ancora la partita dei rifiuti e del sistema viario su ferro e su gomma che ci lascia ancora isolati dal resto della Regione e ci vede testimoni passivi dell’Alta Velocità. Qualcuno ha mai provato a stendere una lista della spesa da chiedere come parziale risarcimento per l’impatto ambientale, per i danni d’immagine e per le difficoltà che ogni giorno i cittadini orvietani devono superare per raggiungere Tribunale, Regione, Provincia, Camera di Commercio, Ospedali, università e altro?

Le stesse domande le poniamo anche ai rappresentanti delle categorie produttive, ai sindacati e a chi più in generale si occupa di impresa. La politica ha un ruolo primario e il consiglio comunale non può scollarsi dalla realtà del quotidiano, intervenendo laddove ha possibilità e capacità concrete e individuando le strade per interloquire e fare pressioni sugli organi competenti quando non si ha capacità di incidere direttamente. Il teatro della politica è parte integrante del sistema ma non può essere il protagonista assoluto per gran parte del tempo, salvo alcune eccezioni. Orvieto vuole essere viva ma per farlo ha necessità di avere gli strumenti adatti e politica, impresa e sindacato, insieme possono tentare questa battaglia, anche nelle differenze, ma con l’obiettivo comune del benessere dei cittadini tutti.