I sindaci del territorio preoccupati per i tagli delle filiali CRO, “è un nuovo colpo al rilancio dei borghi e delle Pmi”

Inizia a muovere i primi passi l’aggiornamento del piano industriale della Banca Popolare di Bari controllata da MCC e, di conseguenza, della controllata CR Orvieto.  Alla presentazione ai dipendenti hanno partecipato l’ad di MCC, Bernardo Mattarella, il presidente della BPB, Gianni De Gennaro e l’ad della stessa, Giampiero Bergami.  Sono cinque le linee strategiche all’interno delle quali si muoverà il gruppo, il riposizionamento strategico, focalizzazione su famiglie e Pmi, il rilancio di CariOrvieto, il ritorno alla redditività e il mantenimento di adeguati livelli di liquidità e di solidità patrimoniale.  E per ottenere questi risultati?  Nella presentazione e nel conseguente comunicato viene sottolineato che le due banche “assumeranno il ruolo di facilitatori e aggregatori di interessi sia nella filiera istituzionale di MCC sia, nei territori di riferimento, per i settori dell’agrifood e del turismo.  Un focus dedicato sarà rivolto al sostegno da fornire alle Pmi del territorio, rispetto alle quali le banche, anche grazie al loro ruolo istituzionale, diventeranno interfacce naturali”.  Un capitolo corposo viene dedicato al taglio dei costi e in tal senso sono da leggere le programmate chiusure delle nove filiali della CariOrvieto, un tributo alto per il territorio di riferimento dove dovrebbero essere 6 quelle da chiudere.  Il tam-tam si è messo subito in moto anche perché l’altro settore che dovrebbe essere sacrificato, ma non vi è alcuna conferma ufficiale, è la direzione commerciale.  Se l’impianto fosse confermato sarebbe un prezzo altissimo perché improvvisamente le imprese si troverebbero ad avere risposte da un centro non solo lontano fisicamente ma soprattutto dal punto di vista della conoscenza approfondita delle esigenze e dei bisogni di operatori economici e famiglie.

I sindaci dell’orvietano hanno avuto un incontro con i vertici della Fondazione che non ha potuto far altro che ricordare come l’Ente non possa interferire sulle decisioni operative e finanziare dell’azienda bancaria.

E’ chiara e percettibile la preoccupazione per i comuni che già soffrono la mancanza di alcuni servizi fondamentali e che con la paventata chiusura di alcune filiali vedrebbero peggiorare ulteriormente il quadro.  Per Damiano Bernardini, sindaco di Baschi, “sicuramente per una comunità come la nostra sarebbe un danno anche perché il piano industriale è esclusivamente incentrato sulla finanza e perde di vista il ruolo anche sociale della banca.  Il Comune si sviluppa su 8 frazioni e più di 70 Km quadrati di territorio, e abbiamo un’area industriale importante e proprio per quelle aziende l’unica filiale presente è un punto di riferimento di grane rilievo”.  Sempre Bernardini sottolinea come si stiano facendo grandi sforzi per aiutare i borghi a sopravvivere “ma senza servizi tutto è reso più difficile se non quasi impossibile”.  Per Federico Gori, sindaco di Montecchio e responsabile piccoli comuni di Anci Umbria, “la vera anomalia è che per discutere della banca ci siamo interfacciati come la Fondazione con cui, nella normalità, si discute di arte, cultura, sociale. La paventata chiusura di filiali nei piccoli comuni va a peggiorare una situazione già critica e poi non ne possiamo veramente più del solito leit motiv della razionalizzazione come giustificazione del depotenziamento di uffici e servizi per i cittadini verso i quali abbiamo responsabilità”.   Gori per evitare la cosiddetta razionalizzazione è disponibile ad ogni tipo di collaborazione “ma si deve ricordare che i cittadini, tutti, hanno di fatto aiutato il sistema bancario e ora quest’ultimo dovrebbe essere di aiuto ai territori e alle comunità più piccole che stanno provando ogni strada per il loro rilancio ma tutto viene reso difficile se si continua con la politica dei tagli dei servizi”.   Sempre secondo indiscrezioni due filiali a rischio sembrano essere quella del centro storico di orvieto e quella di Porano.  In merito Marco Conticelli, sindaco di Porano, ha dichiarato, “abbiamo saputo tutto la scorsa settimana e abbiamo chiesto un incontro con la Fondazione.  Pensavamo che tutto fosse rientrato dopo che dalla banca avevano parlato di rilancio della territorialità di CariOrvieto, invece si è tornati ai tagli.  La banca svolge un servizio soprattutto nei confronti degli anziani e di coloro che non hanno competenze digitali.  Ci saremmo attesi un minimo coinvolgimento in fase decisionale e invece non è stato così”.

Spicca proprio questo malinteso rilancio della territorialità della banca che sicuramente non può passare per la chiusura di filiali nel comprensorio di elezione e nella chiusura della direzione commerciale.  Per Giampiero Bergami, ad di BPBari, “intendiamo diventare il motore economico e sociale per lo sviluppo attivo del territorio, ponendoci come il partner di riferimento di famiglie e imprese, con l’obiettivo di trasformare il territorio in una realtà che valorizzi a pieno le sue risorse e crei valore nel sociale”.  Ecco proprio da qui si potrebbe ripartire, sul valore sociale e sul territorio, per cambiare effettivamente passo e iniziare il rilancio della banca insieme al territorio, comprendendone a pieno il suo valore e le sue criticità, senza invece andare a colpire proprio i piccoli comuni impoverendoli di un servizio necessario soprattutto per chi non ha ancora le competenze digitali necessarie.




Il TAR annulla le autorizzazioni per la geotermia a Castel Giorgio, ora dovrà ricominciare tutto da capo

La sentenza del TAR sull’impianto geotermico di Castel Giorgio era attesa da tempo.  Il 16 febbraio il Tribunale amministrativo ha deciso annullando sia l’autorizzazione concessa dalla presidenza del consiglio dei ministri sia il conseguente atto di autorizzazione alla ricerca sempre nell’area interessata dall’impianto.  In pratica il TAR ha rilevato fondamentalmente due vizi, errori che poi hanno portato al doppio annullamento.  La presidenza del consiglio dei ministri non ha coinvolto la Regione Lazio, mentre per quanto riguarda la Regione Umbria lo ha fatto dopo le dimissioni della presidente Marini, e il facente funzione non poteva deliberare su questioni non di ordinaria amministrazione come nel caso di un impianto geotermico.  Non solo, sempre il TAR ha rilevato che non è stato assicurato il contraddittorio tra gli Enti Locali e la società Itw & Lkw Geotermia Italia s.p.a. proponente il progetto stesso.

Il Tribunale ha quindi annullato le autorizzazioni obbligando Palazzo Chigi a riattivare l’intero iter autorizzativo assicurando il contraddittorio tra le parti e il coinvolgimento completo e corretto delle Regioni Umbria e Lazio.  Da parte sua anche la Itw&Lkw Geotermia Italia può ricorrere al Consiglio di Stato sempre avverso la sentenza del TAR.

Per ora, dunque, è nuovamente rinviata la questione geotermia a Castel Giorgio e servirà un nuovo e complesso iter autorizzativo che andrà a terminare a Palazzo Chigi che, può decidere comunque l’autorizzazione anche in caso di parere contrario degli Enti Locali, ma potrà farlo solo motivando tale decisione.




Il Consiglio di Stato, no alla geotermia a Torre Alfina. Andrea Garbini, “siamo fiduciosi per il ricorso al TAR sull’impianto di Castel Giorgio”

Il Consiglio di Stato ha emesso sentenza di rigetto del ricorso presentato da Itw & Lkw Geotermia Italia s.p.a contro la sentenza del TAR per quanto riguarda l’impianto previsto a Torre Alfina.  Si è dunque ad un passo dalla parola fine per quanto riguarda le geotermia sull’altipiano dell’Alfina.  Leggendo il disposto del Consiglio di Stato, il collegio rileva che, tra l’altro, la tradizionale vocazione agricola (“uno degli ultimi esempi regionali di realtà agricola, in equilibrio con l’ambiente, che si è mantenuta integra”), i cui tratti caratteristici (“l’armonica integrazione fra la natura e le opere realizzate dall’uomo”) sarebbero ancora pienamente percepibili; la valenza archeologica dell’area, “interessata da un’articolata situazione di presenze che si scaglionano cronologicamente, sia pure con modalità di occupazione diverse legate a differenti periodi, in un arco cronologico amplissimo, dalla Preistoria al pieno Medioevo e oltre”.  In questo modo si da ragione a chi ha sostenuto da tempo che l’Alfina è un luogo di particolare pregio.  E ancora, “il fatto che l’impianto (“peraltro di grandi dimensioni: metri 100 x 38 x 10”) ‘provocherebbe un impatto negativo con il patrimonio archeologico e andrebbe a compromettere irrimediabilmente, nella sua qualità di bellezza panoramica, il paesaggio e l’ambiente riconosciuti di notevole interesse pubblico’, sia perché, nonostante gli accorgimenti previsti dalla società, sarebbe ‘visibile, per il particolare andamento del terreno che non consente mitigazioni, dalle strade provinciali, comunali e vicinali che attraversano l’area’, sia perché ‘tutte le soluzioni di tracciato (aereo o interrato) proposte per la realizzazione dell’elettrodotto che dovrebbe collegare l’impianto alla cabina primaria … tagliano zone di elevata sensibilità paesaggistica ed archeologica”.

Andando al punto 8 si legge, “d’altra parte, il PTPR osta alla realizzazione di un impianto quale quello di causa.

8.1. Nella versione vigente ratione temporis, invero, il PTPR stabiliva:

– la non compatibilità con il paesaggio naturale agrario (“costituito dalle porzioni di territorio che conservano i caratteri tradizionali propri del paesaggio agrario, e sono caratterizzati anche dalla presenza di componenti naturali di elevato valore paesistico”) della realizzazione di “impianti per la produzione di energia areali con grande impatto territoriale (centrali idro – termoelettriche, impianti di termovalorizzazione, impianti fotovoltaici)”;

– la compatibilità con tale paesaggio della realizzazione di “impianti di produzione energia rinnovabile di tipo areale o verticale con minimo impatto”, purché “di pertinenza di edifici esistenti se con essi integrati o parzialmente integrati nel rispetto delle tipologie edilizie”.

Per quanto riguarda la valenza archeologica poi, “la nota prot. n. 11681 del 7 novembre 2015, in tesi non elaborata nell’ambito della conferenza di servizi né acquisita ai relativi atti, è stata comunque conosciuta dall’appellata, che ha potuto articolare in proposito le proprie difese nel corso del presente giudizio; a prescindere da tale considerazione, comunque, il parere della Soprintendenza (recepito dal MIBACT e, quindi, dalla conforme deliberazione del Consiglio dei Ministri) mirava a valorizzare non specifiche e puntiformi emergenze, bensì il diffuso e complessivo rilievo storico-archeologico dell’area in questione, che, secondo il motivato avviso dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, il cui merito è sottratto al sindacato giurisdizionale, esprime nel suo insieme un’importante testimonianza del passato remoto della Penisola”.

Le motivazioni si concludono chiaramente con “i ricorsi riuniti vanno accolti: in riforma dell’impugnata sentenza, dunque, il ricorso di primo grado va rigettato”.

Il sindaco di Castel Giorgio, Andrea Garbini, ha commentato, “ho avuto notizia che è stata rigettata dal Consiglio di Stato la sentenza del TAR e quindi l’impianto geotermico di Torre Alfina non si farà più.  Rimaniamo ora in attesa della sentenza del TAR per l’impianto di Castel Giorgio che dovrebbe uscire a breve.  Siamo fiduciosi anche perché la sentenza del Consiglio di Stato crea un precedente giurisprudenziale importante e che collima con tutte le nostre argomentazioni”.