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Il nuovo Rapporto di Cittadinanza Territorio Sviluppo, in fuga da Orvieto i giovani e le fasce di popolazione produttive. E’ l’autunno demografico

Cittadinanza Territorio Sviluppo srl sociale, presenta il 4° Rapporto del 2022 dedicato all’andamento demografico dell’Area Interna Sud Ovest Orvietano curato da Annalisa Bacciottini e Antonio Rossetti.  Già dal titolo, “Questo non è un Paese per giovani (né per lavoratori)” s’intuisce che i risultati sono piuttosto negativi, o meglio drammatici per l’intero territorio.  Alla fine del 2021 in Umbria risultano residenti quasi 860 mila abitanti con una diminuzione dello 0,68% sull’anno precedente.  E’ la conferma di un trend già nel 2019.  Scendono anche i residenti stranieri e questo conferma che in Umbria sono sempre meno gli abitanti in età produttiva mentre crescono gli over 64 anni.  Nell’intero periodo preso in esame dal report la popolazione totale è calata dell’1,3%. 

Il mero dato demografico conferma il trend nazionale e non è particolarmente drammatico.  Una lettura più approfondita che lega la demografia all’economia fa emergere un quadro ben diverso e drammatico cisto che i residenti fino a 14 anni, cioè la forza lavoro futura, è diminuita in totale del 6%, mentre nella fascia di età produttiva tra i 15 e i 45 la flessione è del 5,3%.  A crescere è la fascia tra 46 e 64 anni, cioè chi si prepara a entrare nella cosiddetta età improduttiva, quella dei pensionati.  Proprio la crescita nelle fasce over 45 rende più dolce la curva comunque discendente dei residenti totali in Umbria. Nell’introduzione al report si legge che “i dati relativi all’Area Interna mostrano una situazione qualitativamente analoga ma quantitativamente peggiore del dato regionale: la popolazione è scesa nell’ultimo anno dello 0,78%, ma il dato relativo all’intero periodo (2018-2021 ndr) mostra un calo assai più sensibile di oltre il 3%; ma soprattutto – continua il report – sono scese nell’ultimo anno tutte le classi di età con esclusione degli over 85…”.  E a Orvieto?  Nel 2021 la popolazione totale è scesa sotto i 20 mila abitanti e sono calate tutte le prime tre fasce di età per un totale del 4%.  Preoccupante è la variazione negativa degli under 14 che ha toccato quasi il 2%.  Nel Rapporto viene spiegato che “non solo si palesa un trend calante – che pare inarrestabile – del dato dei residenti, ma soprattutto ciò avviene a detrimento sia delle classi già occupate sia di quella fino a 14 anni, il giacimento demografico su cui si basa il futuro; a fonte di ciò crescono i residenti della fascia di età più elevata”.  Questo dato in economia si traduce in “flessione del prodotto per via del rarefarsi degli occupati e la relativa difficoltà nel sostenere un numero di inoccupati sempre più incidente; stasi della domanda per i consumi; una cronica eccedenza di risparmio”.  Questa stasi demografica causa, poi flussi di popolazione in uscita negli under 45 e minori nascite creando un pericoloso e difficilmente gestibile effetto a catena, ma soprattutto una carenza d’investimenti che aggrava il fenomeno del “nanismo delle imprese”. 

E’ un “circolo perverso” che più essere risolto solo con interventi sul carico fiscale per le abitazioni date in locazione, con investimenti sulle infrastrutture e sui servizi per attrarre nuove famiglie residenti.

Scarica l’intero rapporto di Cittadinanza Territorio Sviluppo srl Impresa Sociale




Cittadinanza Territorio Sviluppo, a Orvieto crollano del 25% i redditi delle imprese individuali e di persone

Cittadinanza Territorio Sviluppo presenta un nuovo report economico dell’area Interna Sud-Ovest orvietano dal titolo “Demografia Imprese nel 2021”, incentrato sulla totalità delle imprese di persone e capitali operanti sul territorio che evidenzia forti criticità nei settori considerati a rischio, curato da Matteo Tonelli e da Annalisa Bacciottini. Nello scorporo per territori, Orvieto spicca per la forte contrazione del reddito medio ai fini Irpef per ditte individuali e soci delle società di persone che è letteralmente crollato del 25% nel 2020.

Confindustria e Cerved hanno analizzato, in uno studio del 2021, il grado di rischio delle Pmi in base ai settori di attività e ne emerge che, sull’Area Interna le imprese operanti in tali comparti, rappresentano il 28,3% del totale con il 30,4% degli addetti, mentre scendendo nel dettaglio del solo Comune di Orvieto le percentuali aumentano rispettivamente al 34,6% e al 31,6% degli addetti. Sul prossimo futuro continuerà a pesare l’eredità dell’emergenza covid; basti pensare ai cosiddetti “finanziamenti covid” che non prevedevano il rimborso della quota capitale nei primi due anni ma per i quali dal 2022 inizierà l’onere del rimborso e non solo, più in generale si evidenzia una generale riduzione dei ricavi e dei margini che hanno implicazioni rilevanti sull’evoluzione del rischio prospettivo, tanto maggiore quanto più si riduce la dimensione dell’impresa.

Dallo studio di Tonelli e Bacciottini emerge un quadro poco incoraggiante visto che quasi tutti i parametri utili a misurare lo stato e le prospettive del sistema delle imprese manifestano una sostanziale debolezza e fragilità per molteplici motivi, fra i quali la marcata frammentazione con imprese sempre più piccole; l’assenza di settori trainanti in grado di creare le condizioni per lo sviluppo di filiere; il progressivo indebolimento del settore manifatturiero e il contemporaneo rilevante peso specifico per quei settori di attività più esposti al rischio di eventi esterni non prevedibili.




Antonio Rossetti, CTS, “per lo sviluppo economico e demografico del territorio servono infrastrutture, servizi e reti di imprese”

Il problema demografico legato all’economia è emerso prepotentemente nell’ultimo report di Cittadinanza Territorio e Sviluppo da cui si evince un quadro a tinte piuttosto fosche per l’Area Interna Sud-Ovest Orvietano e per Orvieto in particolare, soprattutto se in assenza di decisioni politiche che tentino di invertire la rotta.  Sicuramente l’età media piuttosto alta degli imprenditori, la conseguente scarsa propensione all’investimento, la mancanza di reti di aziende sono i principali segnali di un territorio sui cui si devono concentrare gli sforzi della politica con un raggio d’azione di medio-lungo termine.  Antonio Rossetti, che insieme a Eleonora D’Urzo ha curato il report, sintetizza con una frase asciutta l’attuale situazione, “splende la luce del crepuscolo”. 

Ma è veramente così grave la situazione nel nostro territorio?

Inizierei con il dire che la demografia ha un suo impatto specifico sull’economia più che viceversa anche se sicuramente le problematiche economiche aggravano il problema demografico.  Insomma, crescita demografica ed economica vanno a braccetto ma vorrei sottolineare un punto chiave e cioè che c’è un legame diretto tra demografia e investimenti economici. 

Cosa intende di preciso con nesso diretto tra demografia e investimenti economici?

Il primo punto che mi viene in mente è che con il calare dell’età media c’è un corrispondente aumento della voglia di intrapresa e un conseguente aumento degli investimenti. Oggi la situazione a Orvieto vede un’età media alta, un male comune al paese ma che si accentua in Umbria e ancora di più nel territorio, e un risparmio medio molto alto, io azzarderei nel definirlo esorbitante e questo perché non cresce la forza-lavoro.  Cero di spiegarmi con un esempio semplice.  Prendiamo una ricetta di un dolce in cui servono 6 uova per un chilo di farina.  Aprendo il frigorifero ci accorgiamo di avere solo tre uova; quindi, dimezziamo la dose di farina e prepariamo il nostro dolce. Ci avanza mezzo chilo di farina che rimane nella dispensa, un po’ come i soldi che vengono accantonati, senza possibilità di utilizzo e  rimangono in banca sui conti correnti, senza che ne benefici in alcun modo l’economia del territorio. In sostanza, se un fattore di produzione, la forza lavoro adeguatamente preparata, non cresce, l’altro fattore, l’investimento, “rimane in frigorifero”, per continuare la metafora, cioè rimane risparmio inoperoso. Una carenza d’offerta di lavoro in età giovanile, preparata alle nuove tecnologie, e un eccesso d’offerta di età avanzata implica che il risparmio non ha buone opzioni per divenire investimento: la regola è implacabile, la crescita economica è sempre limitata dal fattore di produzione che scarseggia.

In pratica con un’età media aumenta la propensione al risparmio e cala quella all’investimento, da quello che sta dicendo. Tutto sembra favorire proprio questo sistema in Italia.  Non è che quando si dice che il nostro non è un Paese per i giovani si dica la verità?

Si dice la verità se l’intera struttura economica del paese non è adatta agli investimenti e, di conseguenza, non sei attrattivo per i giovani.  A Orvieto, poi, come detto, c’è un cronico eccesso di risparmio, soldi fermi, immobilizzati che non vengono immessi nel ciclo economico fatto da micro e piccole imprese, senza gradi realtà industriali, senza un cluster produttivo.  In pratica i giovani non trovano l’humus adatto per crescere e vanno altrove. C’è da dire a queste problematiche, malgrado se ne sia preso consapevolezza, ancora non si è  trovato una possibile soluzione.

Lo smart-working dopo la pandemia lo stanno velocemente archiviando, in particolare nella PA, potrebbe essere, invece, una soluzione sulla quale investire?

Veramente potrebbe essere proprio una delle soluzioni per far tornare attrattivo questo territorio.  Lo smart- working potrebbe intercettare i già residenti obbligati al pendolarismo e che in taluni casi optano, con il tempo, per il trasferimento definitivo in altri comuni.  La creazione di spazi dedicati al lavoro da remoto renderebbe attrattivo il territorio anche per i non residenti.  Con lo smart-working si svincola la demografia dal luogo fisico dove si lavora, cioè tutti possono lavorare senza muoversi ma c’è il rischio del cosiddetto dumping salariale: la concorrenza sul mercato di forza lavoro proveniente da zone a più basso saggio di salario che possono concorrere senza spostarsi dal luogo di origine; si pensi, a livello internazionale, all’informatico indiano che lavora da Nuova Delhi per una azienda statunitense;  tutti problemi che proprio con la pandemia si sono evidenziati nel lavoro agile e che devono essere assolutamente normati.  Sarebbe un errore grandissimotornare al lavoro tradizionale in via esclusiva, dimenticandosi i vantaggi sia per le imprese sia per i lavoratori dello smart-working.

Sicuramente serve anche altro, però, per rendere attrattivo un territorio…

E’ evidente.  Io dividerei tutto in due fasi, una prima riguarda la politica che deve occuparsi di casa, trasporti e reti immateriali a partire dalla fibra, quella vera.  In una seconda fase il ruolo principale è degli imprenditori.  Affrontiamo la prima fase.  Se gli immobili hanno prezzi troppo alti e le tasse locali sono elevate  è chiaro che i territori contigui, che hanno problemi simili, tra l’altro, hanno gioco facile nel fare concorrenza.  Al netto del lavoro agile i collegamenti sono fondamentali se si vuole uno sviluppo del territorio, allora potenziare i collegamenti ferroviari e migliorare quelli stradali sono tappe fondamentali per rendere attrattivo un territorio. In ultimo le reti immateriali che devono essere adeguate eliminare il gap tecnologico, una strozzatura oggi insopportabile per chi fa impresa. 

E gli imprenditori?

Arriviamo alla seconda fase, quella della creazione di una catena di valore delle aziende.  Partiamo dal presente.  Oggi il tessuto imprenditoriale orvietano è fatto di micro e piccolissime imprese, nella maggioranza dei casi.  Manca poi un settore trainante, non c’è una specializzazione; insomma, il settore produttivo orvietano non è quello che si definisce “un distretto”, è solo un arcipelago di microimprese scollegate; in tali circostanze,  si deve connettere tali imprese in una logica che susciti le cosiddette “economie di rete”, per favorire l’innovazione e creare valore.  Di esempi ne abbiamo in Italia, basta girare e studiare per capire come può funzionare questo modello.  Ogni piccola realtà imprenditoriale da sola non può competere sui mercati interni e internazionali, perché c’è chi deve occuparsi del marketing, chi degli acquisti, chi del credito e così via.  Fare tutte queste fasi del ciclo di produzione per una piccola azienda è impossibile oppure  ha un costo troppo alto, ecco che diventa fondamentale, direi vitale, “fare rete” per vivere e per crescere. 

Poi c’è il delicato capitolo dell’accesso al credito con tante imprese che si lamentano per le difficoltà nell’ottenerlo.

Le regole sono piuttosto rigide e il merito creditizio è importante.  Se non cresci e non comprimi le spese, cioè migliori la produttività, difficilmente avrai un merito creditizio soddisfacente e altrettanto difficilmente potrai avere finanziamenti. Insomma, sono tanti cani che si mordono la coda, tutti in fila, ecco perché piccolo non è bello se non si trovano sinergie e accordi tra imprese.

Quindi lei sta praticamente contraddicendo quello che in tanti in questi anni sostengono e cioè che “piccolo è bello”?

No, assolutamente.  Bisogna però intendersi sul piccolo è bello.  Si può essere piccoli, si può vivere, si può essere vincenti ma all’interno di un distretto industriale, cioè di un’economia indirizzata a pochi prodotti, o al limite monoprodotto, in cui alcuni fattori di produzione lavorano in comune per il distretto, elidendo le diseconomie legate alla piccola dimensione.  A Orvieto abbiamo realtà imprenditoriali piccole ma non abbiamo un distretto o una rete; inoltre, quando si produce con tecniche che non sono sulla frontiera dell’efficienza, si rischia l’implosione in quanto l’innovazione rigurda sempre le tecniche a più alto tasso di produttività, non le altre: se si producono macchine con la chiave inglese mentre i paesi più evoluti usano i robot, è evidente che il progresso riguarderà come migliorare l’utilizzo dei robot e quindi sposterà sempre di più al margine che utilizza la chiave inglese. Da ultimo la  politica: sovente non pianifica oltre le prossime elezioni.  Il ruolo della politica nel favorire la nascita di una rete di imprese o di un distretto industriale è fondamentale, ma si deve pensare oltre il limite temporale del singolo mandato altrimenti ci si limita a gestire il quotidiano senza un progetto per il futuro. Ma non addossiamo tutte le colpe alla politica, anche le imprese devono aver chiaro che per essere protagoniste del loro futuro devono essere pronte a cedere un po’ della loro autonomia, senza snaturarsi e senza vendere ma aprendosi al mercato e alla collaborazione con le altre imprese del territorio pensandosi come parte di un sistema complesso e non come protagonisti assoluti.  L’alternativa è il crepuscolo economico, sociale e demografico di una città e di un territorio.




Paolo Li Donni, presidente CTS, “per provare a evitare il tramonto demografico bisogna agire subito”

L’impresa sociale Cittadinanza Territorio Sviluppo ha presentato un nuovo rapporto dedicato alla demografia e ai risvolti per l’economia dell’Area Interna Sud-Ovest orvietano, curato da Eleonora D’Urzo e Antonio Rossetti.  Il risultato è a dir poco dirompente perché mette a nudo una crisi, o meglio un calo demografico che ha inizio nel 2012 e che è strettamente legato all’economia asfittica del territorio ma in particolare del comune capofila e cioè Orvieto.  Non bastano neanche i nuovi residenti stranieri per riuscire a bilanciare questa perdita che rischia di connotare Orvieto come città al tramonto nonostante gli sforzi che vengono profusi per immaginarla come città viva.  I numeri raccontano un’altra storia, quella di una città dove non si fanno figli, con un’età media più alta di quella già importante dell’Italia e ancor più dell’Umbria e con i giovani che lasciano la piccola città di provincia per trovare lavoro fuori.  Con il presidente di Cittadinanza Territorio Sviluppo, Francesco Paolo Li Donni, abbiamo approfondito proprio la demografia e il suo andamento nel territorio e a Orvieto.

Come è l’andamento demografico del territorio e di Orvieto in questi anni.  E’ vero che il calo è ormai strutturale?

Negli ultimi anni in tutto il territorio italiano si è assistito ad un fenomeno di progressiva diminuzione dei residenti: nell’Area Interna questa tendenza decrescente, a partire dal 2012, è significativamente più consistente rispetto alla media umbra. Da sottolineare che Orvieto, il comune capofila, mostra una flessione dei residenti ancora peggiore rispetto alla media dell’area territoriale indagata. Tra il 2020 e il 2021 il solo Comune di Orvieto ha registrato un calo dei residenti dello 0,7% in linea con il resto dell’Area Interna ma lievemente superiore sia alla media umbra che a quella italiana.  I peggiori sul territorio sono Fabro, Castel Viscardo, Allerona, Alviano e Ficulle mentre sono solo Parrano, Porano e Giove hanno evidenziato variazioni positive dei residenti.

Ma gli stranieri hanno contribuito a mitigare questo calo demografico?

La componente straniera della popolazione, al contrario di quanto accadeva negli anni precedenti e in controtendenza rispetto alla situazione regionale e nazionale, aumenta lievemente con un’incidenza maggiore nei comuni più piccoli.  Al contrario si registra un calo del 12% a Castel Viscardo e del 9,6% a Allerona, solo per citare i più significativi.  Orvieto, invece, ha un’incidenza di stranieri del 9,7%, più alta della media dell’Area Interna e dell’Italia, ma inferiore a quella umbra.  Il risultato è che gli stranieri hanno indubbiamente addolcito una curva discendente che avrebbe potuto essere sicuramente più decisa.  

Una domanda da vero profano.  Qual è il rapporto che andrebbe a indicare un’inversione di tendenza?

La risposta è apparentemente semplice, aumentare il tasso di natalità e riportarlo almeno a due figli per coppia.  Qui iniziano i problemi.  Oggi è più difficile che in passato formare una famiglia e fare il primo figlio.  E’ aumentata l’età media delle neo-famiglie e, di conseguenza, del primo parto.

Perché c’è tato questo spostamento più avanti negli anni?

Sicuramente la parità di genere ha contribuito a spostare in avanti l’età in cui si forma una nuova famiglia perché si studia e l’ingresso nel mondo del lavoro avviene più tardi.  Lo stesso discorso vale anche per gli uomini.  Per quanto riguarda i figli una delle cause principali è da ricercare nella scarsità di servizi dedicati alla famiglia.  Secondo i dati ISTAT in Umbria solo il 54,3% dei comuni ha un asilo nido contro il 58% dell’Italia e il nostro paese non brilla in questa classifica in Europa.  A questo dobbiamo aggiungere anche i costi laddove i “nido” esistono.  Sono costi proibitivi e in quelli pubblici le esenzioni previste per fasce di reddito legate all’ISEE sono veramente basse, direi inadeguate allo stile di vita moderno.

Perché uno degli indici che indica maggiore malessere è quello del rapporto tra giovani e anziani?

Maggiore è il peso di chi è fuori del mondo del lavoro e più alta è la spesa legata alla previdenza sociale e alla salute. Il secondo punto riguarda i giovani.  Dove mancano giovani scarseggia anche la capacità di innovazione rendendo meno concorrenziale il sistema produttivo del Paese, o nel nostro caso, del territorio.  C’è poi un discorso squisitamente economico.  Le pensioni sono già “occupate” dalla spesa per l’aiuto dei propri figli o nipoti e non sono così alte da permettere contemporaneamente anche investimenti nel sistema produttivo. 

Ma quali sono le prospettive per il futuro anche a medio-lungo termine?

Il futuro soprattutto a medio-lungo termine non è roseo.  Le fasce d’età più anziane sono destinate a raddoppiare.  E’ vero, è aumentata l’aspettativa di vita ma con maggiori problemi di salute e in particolare per le donne.  Questo si traduce in un forte aumento della spesa previdenziale ma soprattutto della spesa sanitaria con un ricambio generazionale fortemente deficitario.

Quali sono le possibili chiavi di volta per tentare di invertire questa rotta che vede un mix altamente tossico di scarsa natalità, alta emigrazione giovanile e allungamento della vita media?

Rischio di essere ripetitiva ma per favorire nuove nascite sono necessari forti investimenti per la famiglia.  Indicherei come fondamentali orari di lavoro flessibili, sostegno all’occupazione femminile, congedi parentali paritari, sviluppo dello Smart working, costruzioni di poli sportivi, scolastici e artistici, una seria politica della casa, accesso al credito più facile e investimenti nelle infrastrutture di trasporto.  E’ una lunga lista di interventi assolutamente necessari se si vuole evitare il declino.  Rischia di essere tardi visto che è dal 2012 che tutti i report indicano un invecchiamento della popolazione e un contemporaneo calo delle nascite.  In Umbria la tendenza all’invecchiamento è ancora più marcata e a Orvieto ancora di più anche perché l’intera Regione non è molto ben collegata e negli ultimi anni la situazione è, se possibile, peggiorata.  E’ altrettanto chiaro che questi interventi hanno bisogno di tempo per essere attivati e poi per registrare effetti positivi che però, non sono scontati.




Orvieto a rischio tramonto demografico se la politica non riesce a invertire la rotta

Se il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione residente sono i due mali che affliggono pesantemente l’Umbria, per l’Area interna Sud Ovest Orvietano e Orvieto il fenomeno assume una rilevanza allarmante.

Il rapporto (scarica l’intero rapporto) appena pubblicato dall’impresa sociale Cittadinanza Territorio Sviluppo a cura di Eleonora D’Urzo e Antonio Rossetti si ferma a gennaio dello scorso anno e ci fornisce un’analisi storica ricca di dati e correlazioni.  Il declino demografico ha inizio nel 2012 e da allora è inarrestabile. Ogni anno l’Umbria perde circa 5190 abitanti, mentre l’Area Interna si attesta intorno ai 416 e il comune capofila, Orvieto, a circa 140 abitanti. Un’emorragia inarrestabile che in percentuale vede la nostra Regione ottenere una variazione percentuale negativa tra il 2020 e il 2021 pari a -0,6%. La variazione percentuale dell’Area interna e di Orvieto sono ancora peggiori attestandosi a -0,7%. Va evidenziato però che questo dato per Orvieto è ancora peggiore se raffrontato con il +1,5% dell’incremento dei residenti stranieri che è 3 volte quello dell’Area interna (+0,5%) e 5 volte quello regionale (+0,3%).

Insomma, nonostante una poderosa iniezione di nuovi residenti esteri, Orvieto continua a perdere residenti. L’ultima rilevazione Istat a gennaio 2022 infatti porta il nostro comune sotto la soglia dei 20mila abitanti e proiettando il dato del calo demografico medio annuale in 10 anni ci si avvicinerebbe pericolosamente alla soglia dei 16mila abitanti. Anche sul fronte dell’invecchiamento della popolazione residente la musica non cambia: l’Umbria, quinta regione italiana come indice di vecchiaia, si attesta ad un indice pari a 217,7, l’Area Interna 272,8 e Orvieto ad un indice di 264,2. L‘indice nazionale è pari a 184,1. In generale, è difficile attribuire alla demografia una maggiore rilevanza di quella che in realtà presenti nel condizionare l’habitat economico.

I cambiamenti del modo di produzione e il tasso di crescita della produttività tendono a interagire con il tasso di sviluppo della popolazione in un modo complesso, che può variare a seconda della fase del ciclo economico e dell’organizzazione della produzione. La tesi che viene sostenuta nel rapporto è che la stasi demografica, almeno nel recente passato, ha contribuito a generare un eccesso di risparmio, di cui sono presenti le stigmate nel mercato del credito, e di fatto una performance economica inferiore a quanto si sarebbe potuto conseguire con una dinamica demografica migliore.

Peraltro, vi è anche un nesso di casualità dall’economia alla crescita della popolazione: nelle fasi di stagnazione vi saranno maggiori incentivi a migrare piuttosto che immigrare e procrastinare l’età in cui si genera prole.


Scarica il rapporto completo




Al via i servizi di operatore di quartiere e trasporto sociale per l’area Interna “Sud-Ovest Orvietano”

Dal 14 febbraio sono attivi i servizi denominati “Operatore di Quartiere” e “Trasporto Sociale”, ricompresi nel progetto per l’organizzazione e gestione di interventi e servizi da realizzarsi nell’ambito dell’Area Interna “Sud Ovest Orvietano” per le azioni a valere sull’asse II “inclusione sociale e lotta alla povertà” del POR FSE – Umbria 2014-2020.   Queste azioni sono volte a produrre il miglioramento della accessibilità, sostenibilità dei servizi sociali per migliorare la qualità della vita, garantire il permanere dei residenti nel territorio e per incrementare l’attrattività dell’area interna nei confronti di nuovi residenti e l’effettiva realizzazione dei progetti di vita degli individui e delle famiglie.

Tali prestazioni fanno seguito all’Avviso Pubblico emanato dall’Ufficio di Cittadinanza ai fini dell’individuazione di un soggetto del Terzo Settore per la coprogettazione e gestione di entrambi i servizi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale e dell’offerta dei servizi socio-sanitari.

Nello specifico, l’Area interna Sud Ovest Orvietano, con una popolazione di circa 62.500 abitanti, è caratterizzata da piccoli comuni quasi tutti sotto i 3000 abitanti ad eccezione del Comune di Orvieto più esteso degli altri. Caratteristica del territorio è l’invecchiamento della popolazione dove gli over 65 sono sempre più numerosi e sempre più bisognosi della compagnia, delle cure e dell’assistenza che la famiglia moderna non è sempre in grado di garantire. Accanto a questa esigenza si registrano altre criticità quali: processi di spopolamento, bassi tassi di natalità, minor partecipazione delle donne alla vita lavorativa attiva, precarietà del sistema di offerta di servizi socio educativi per la prima infanzia che, sommate alle misure di contenimento del virus Covid-19, hanno costretto le persone a limitare per un lungo periodo i rapporti sociali all’interno delle comunità di appartenenza, e il conseguente mutamento dell’esercizio di molti dei propri diritti e delle iniziative di solidarietà sociale in favore dei cittadini più deboli. Ne è scaturito un maggiore carico di cura che si è riversato quasi per intero sulle famiglie trovatesi a surrogare azioni educative di tipo formale in condizioni di disagio spesso sommate alle attività di cura rivolte ai familiari anziani e alle difficoltà economiche sopraggiunte con l’emergenza sanitaria.

L’Operatore di quartiere è un servizio volto a identificare e monitorare bisogni, situazioni di difficoltà e di solitudine delle famiglie fragili e anziani soli, dei minori e dei disabili al fine di fornire un supporto per affrontare problemi legati alla quotidianità, facilitare l’accesso ai servizi pubblici e privati, attivare le risorse presenti sul territorio e contrastare e prevenire l’isolamento sociale, l’emarginazione, il disagio e promuovere il benessere. Il servizio consiste nell’assegnazione di un operatore presso i centri rurali dislocati nell’area, figura presente sul territorio e reperibile telefonicamente, al fine di attivare le risorse presenti: centri sociali, associazioni, farmacie, medici, esercizi commerciali ecc.  Il servizio si configura come un sistema di prestazioni programmate e personalizzate sulle necessità della persona, da svolgersi prevalentemente presso il suo normale domicilio o la sua dimora abituale.

Il Servizio di accompagnamento e trasporto sociale è rivolto a persone in condizioni, anche temporanee, di fragilità (anziani, minori o persone con disabilità), prive di una rete familiare di supporto e/o non in grado di servirsi autonomamente dei mezzi pubblici, finalizzato, a consentirne l’accesso alla rete di servizi sanitari, sociali, educativi, sportivi e ricreativi o eventi aggregativi.  Si configura pertanto come un servizio di prossimità territoriale finalizzato a garantire l’accesso a strutture sanitarie, socio-sanitarie, socio-assistenziali, che e aggregative (ad esempio, la frequenza ai centri aggregativi nei quali potrà socializzare).  Prioritariamente il Trasporto sociale è finalizzato a facilitare l’accesso alle: strutture sanitarie; strutture socio sanitarie e/o sociali; strutture scolastiche e/o di formazione e lavoro; uffici e servizi pubblici e di pubblica utilità; luoghi di iniziative e manifestazioni valide all’integrazione e socializzazione.  Il servizio consiste nella messa a disposizione, senza costi aggiuntivi per i destinatari, di un pulmino attrezzato per gli spostamenti dalla propria abitazione per recarsi nei diversi luoghi di erogazione di interventi e servizi sociali e può essere utilizzato anche per partecipare ad attività ludico-sportive e culturali integrate. Non rientra nel servizio di accompagnamento sociale il trasporto: di ammalati gravi, di persone affette da patologie contagiose o particolarmente debilitanti e l’accompagnamento per ricoveri urgenti in ospedale.

Il contesto di intervento per la realizzazione delle attività sono i comuni della Zona Sociale n. 11 e 12, ovvero: Allerona, Baschi, Castel Giorgio, Castel Viscardo, Fabro, Ficulle, Montecchio, Montegabbione, Monteleone d’Orvieto, Orvieto, Parrano, Porano, Guardea, Alviano, Attigliano, Lugnano in Teverina, Giove, Penna in Teverina e per la Zona Sociale n. 4 il Comune di San Venanzo. I servizi sono attivi dal lunedì al venerdì dalle ore 8:00 alle 20:00. La fascia oraria dedicata al servizio è di 6 ore e per quelle non coperte dal servizio è garantita la reperibilità telefonicaI cittadini potranno rivolgersi al proprio Comune di residenza per avere tutte le informazioni e i numeri dedicati all’attivazione dei 2 servizi.

Il progetto è gestito da un’ATI composta da quattro cooperative sociali radicate sul territorio dell’Area Interna Sud Ovest Orvietano: Il Quadrifoglio Società Cooperativa Sociale di tipo A e B, CIPSS Società Cooperativa Sociale di tipo A, O.A.S.I. (Organizzazione di Allerona per lo Sviluppo Integrato) e “Luigi Carli” Società Cooperativa Sociale di tipo B.




Antonio Rossetti, CTS, “tanto risparmio ma pochi investimenti così le imprese orvietane soffrono, quali soluzioni?”

In un Rapporto appena uscito l’impresa sociale Cittadinanza Territorio Sviluppo prende in esame l’economia del territorio orvietano attraverso l’analisi congiunta di più studi. In particolare si fa riferimento, nel documento appena pubblicato, al Bollettino socio-economico 2019 del CSCO, all’Analisi dei depositi bancari dell’Umbria a cura di Mediacom043 e al recente Osservatorio permanente delle prime 20 imprese di capitali dell’Area interna Sud-ovest Orvietano proprio a cura di Cittadinanza Territorio e Sviluppo. I dati analizzati restituiscono un’ipertrofia dei depositi bancari tipica dell’orvietano e un livello del credito bancario alle imprese molto più basso ad Orvieto rispetto al dato umbro. Nel nostro territorio per ogni euro di deposito bancario solo 0,75 centesimi si trasformano in prestiti contro 0,95 della media umbra.

Un dato preoccupante che rappresenta un’ulteriore spia di allarme rispetto all’andamento economico stagnante del nostro territorio. 

Abbiamo così voluto rivolgere qualche domanda in più al curatore del rapporto, Antonio Rossetti, presidente del Comitato Scientifico di Cittadinanza Territorio Sviluppo.

Presidente Rossetti in soldoni cosa sta accadendo alle imprese del nostro territorio?

I dati ci restituiscono una situazione di stasi dei prestiti bancari consolidata da diversi anni. Tutto ciò in particolare nell’orvietano. Nonostante la mole dei depositi bancari ad Orvieto sia importante, il livello dei finanziamenti effettivamente erogati è molto inferiore al credito potenzialmente erogabile. In un sistema bancocentrico, ovvero dove le banche costituiscono con gli affidamenti il principale canale di finanziamento degli investimenti delle imprese, questa stasi del credito è uno dei fattori che inducono un peggioramento della redditività delle aziende orvietane.

Quindi mi sta dicendo che l’alta propensione al risparmio degli orvietani sta minando la salute del nostro sistema imprenditoriale?

Il risparmio delle famiglie finito nei depositi ha determinato nel tessuto produttivo minori flussi di cassa gestionali, così le imprese per finanziare i loro piani di sviluppo avrebbero avuto necessità di un maggiore  ricorso ai fidi bancari. Nel medio periodo, visto il basso livello di credito bancario del territorio, le nostre imprese hanno di fatto dovuto ridurre i loro piani di espansione. In generale quando il risparmio acquista depositi e non vi sia un parallelo incremento dei prestiti, vi è un ridimensionamento dei piani industriali, con meno investimenti fissi e più rimanenze di magazzino indotte dalle minori vendite. E’ quello che sta accadendo ad Orvieto, un eccesso di risparmio.

Eccesso di risparmio significa così crollo degli investimenti produttivi?

Proprio così. Aggiungerei che se non si vuole che anche l’aggiornamento del capitale produttivo già impiantato declini, bisogna necessariamente fare in modo che all’aumento dei depositi corrisponda un aumento degli impieghi bancari verso le imprese del territorio.

Quali sono le cause di tutto ciò?

Mi permetta un’espressione poco tecnica ma che rende bene l’idea, c’è uno “sciupio” di risparmio. Ovviamente, come sempre in economia, vi è pluralità di fattori. In primo luogo, la stasi demografica e la distribuzione del reddito concentrata sulle fasce più alte sono entrambi elementi importanti che certamente determinano questa situazione. In secondo luogo, non va trascurata però la contenuta dimensione delle imprese e anche la natura “familiare” di molte aziende del territorio, fattori che incidono sensibilmente sulla redditività e la crescita delle imprese orvietane.

Le imprese dell’orvietano sono molto più a rischio di altre?

Dall’ultimo Osservatorio permanente sulle prime 20 imprese di capitali elaborato dal CTS, anche escludendo il caso Vetrya, emerge che nel 2019 il MOL (margine operativo lordo) rapportato al fatturato è stato, per le imprese di Orvieto, poco al di sopra del 5% e il MOL per addetto si è attestato attorno ai 20mila euro. Le imprese fuori dal comune di Orvieto si sono attestate rispettivamente all’8,6% e attorno ai 56 mila euro per addetto. In conclusione, vi sono molte cause che determinano una contenuta redditività delle imprese, ma molte di esse sono evidentemente correlate al deficit d’investimento.

Perchè secondo lei vi è nel nostro territorio questa mancata crescita del credito alle imprese da parte delle banche?

Il fatto che il credito effettivo rimanga molto al di sotto rispetto a quello potenziale, garantito dall’alto livello dei depositi, può dipendere sia dalla domanda che dall’offerta di affidamenti. Probabilmente la spiegazione sta in un mix tra domanda e offerta, per cui la contenuta redditività aziendale corrente induce, se proiettata nel futuro, aspettative non ottimistiche aumentando così il rischio d’insolvenza percepito dalle banche. Allo stesso modo gli imprenditori possono sviluppare una visione pessimistica sull’andamento del futuro e procrastinare così i loro piani di sviluppo.

Quali le soluzioni perseguibili e in che tempi?

Le linee d’intervento, sono riassumibili secondo tre approcci: in primo luogo, il miglioramento tecnologico, in secondo luogo un cambiamento organizzativo, in terzo luogo una rivisitazione del ruolo funzionale dell’imprese dell’orvietano all’interno della «catena del valore», con la finalità di svolgere, in luogo delle attuali, quelle fasi del ciclo di produzione a più alto valore aggiunto. Da ultimo, un cambiamento nelle relazioni tra imprese (integrazione, deverticalizzazione, partnership, accordi di rete) e nei mercati del lavoro (un nuovo “modo di produzione” maggiormente volto al digitale e sfruttando anche le nuove possibilità dello smart working). Occorre innovazione! Il che richiede tempo, pianificazione e investimenti. Per questi ultimi vi sarebbe già lo stock di risparmio accumulato, investito in depositi e pertanto trasformabile in impieghi, in cerca di idee innovative.

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L’osservatorio delle prime venti società di capitali dell’Area Interna presentate da “Cittadinanza Territorio Sviluppo”

L’impresa sociale Cittadinanza Territorio Sviluppo presenta il primo osservatorio delle 20 principali società di capitali dell’Area Interna Sud-Ovest Orvietano.  E’ un profilo particolareggiato delle aziende che pesano in maniera determinante sull’economia di un territorio che va dal Trasimeno alla Tuscia e legato dalla storia, dalle infrastrutture viarie e da enti come il GAL Trasimeno Orvietano che intervengono progettando un futuro in rete per le imprese che sono nate e operano all’interno di quest’area vasta.  Ha aperto i lavori il presidente della CTS, Francesco Paolo Li Donni, che ha presentato l’osservatorio, “è uno strumento utile per fare scelte consapevoli da parte di enti pubblici e imprese”.  Il panel “cristallizza – spiega sempre Li Donni – la situazione al 2019 mentre per il 2020 diamo appuntamento a febbraio del prossimo anno”.

Il rapporto parte esaminando innanzitutto le dimensioni delle aziende con 1 microimpresa, 14 piccole imprese (cioè con meno di 50 dipendenti), 4 medie imprese e una sola grande impresa con più di 250 occupati.  Questo è un primo indicatore che sottolinea la mancanza di imprese di grandi dimensioni capaci di assorbire una quota di forza lavoro alta e soprattutto di spingere verso la creazione di distretti produttivi omogenei.  Secondo Matteo Tonelli, amministratore delegato del CTS, “il campione selezionato è fortemente rappresentativo rispetto al numero degli addetti e alle dinamiche tipiche della piccole e media impresa dell’Area Interna Sud Ovest Orvietano”.

Del campione preso in esame il settore più rappresentato è quello del commercio con 9 realtà produttive pari al 45% del totale, al secondo posto troviamo il manifatturiero e le costruzioni con il 15% (3 aziende), l’agroalimentare con il 10% (2 aziende), a chiudere con il 5% ciascuno e un’azienda troviamo estrattivo, terzo settore e servizi.

Il territorio più rappresentato per ricavi nel 2019 è quello di Orvieto.  Ceprini Costruzioni srl è la prima con poco più di 80 milioni di euro.  Al secondo posto c’è Rubeca Motori, un’altra srl di Città della Pieve con poco più di 29 milioni di euro.  La prima Spa è Vetrya che si ferma sempre intorno ai 29 milioni di euro. 

Il rapporto prende in esame altri due indici, gli addetti medi e il MOL e le sorprese non mancano.

L’indice più interessante è sicuramente quello degli addetti. Nel 2019 il numero totale di lavoratori occupati nelle aziende del panel era 1.100 mentre a marzo del 2021 erano 1.112.  Sempre al 31 marzo di quest’anno il numero totale degli addetti nell’Area Interna Sud-Ovest Orvietano erano 14.683 e le aziende campione pesano per il 6,86% sul totale della forza lavoro.  Se invece si prende in esame il totale degli addetti nei cinque comuni dove hanno sede le aziende campione la percentuale tra addetti totali e addetti delle prime 20 aziende sale al 10,52% un campione significativo dal quale si può partire per analizzare, ad esempio, l’andamento delle retribuzioni medie o delle qualifiche e degli inquadramenti professionali.

Sicuramente la tabella più interessante riguarda il MOL.  L’unica società con un MOL fortemente negativo è Vetrya che nel 2019 ha registrato un valore negativo pari a 5.590 milioni di euro. La Ceprini Costruzioni conferma la sua solidità piazzandosi in questa particolare classifica, al primo posto, così come nelle altre due.  Il MOL stravolge anche i rapporti di forza tra Orvieto e il resto dell’Area Interna.  Prima di trovare un’altra azienda orvietana si deve scorrere fino al 5° posto con Basalto La Spicca che è anche la prima a scendere sotto quota un milione di euro e per la precisione 830 mila euro.  Per Antonio Rossetti, presidente del comitato scientifico del CTS, “le imprese orvietane scontano un gap di redditività rispetto al resto delle imprese dell’area che sono allineate al dato nazionale.  Abbiamo riscontrato una scarsa propensione agli investimenti – continua Rossetti – e una all’innovazione tecnologica, due elementi necessari per affrontare le sfide del futuro prossimo”.

Paolo Fratini, commercialista e docente all’Università di Perugia, ha approfondito gli aspetti patrimoniali delle imprese incluse nello studio redatto dalla CTS che ha fatto emergere che “la composizione dell’attivo sia formato per più di 2/3 da attivo circolante e per la restante parte da attivo immobilizzato netto.  Quest’ultimo, per altro, cresce complessivamente nel periodo di riferimento così come il valore del patrimonio netto.  Da evidenziare, invece, come elemento di solidità patrimoniale la circostanza per cui l’indice di patrimonio netto su attivo immobilizzato assume sempre valori superiori all’unità, con ciò indicando che le immobilizzazioni sono interamente finanziate dal capitale proprio”.

Ha chiuso i lavori Francesca Caproni, direttore del GAL Trasimeno-Orvietano, che ha patrocinato l’incontro, sottolineando l’utilità dell’osservatorio soprattutto per gli enti pubblici che devono programmare il futuro del territorio. “In questo periodo post-pandemico è sempre più importante – ha sottolineato Francesca Caproni – la programmazione e il monitoraggio dell’economia, ragion per cui riteniamo prezioso il contributo della CTS con il suo Osservatorio che traccia un profilo preciso dal punto di vista non solo finanziario ma soprattutto per quanto riguarda la forza lavoro impiegata e la dimensione d’impresa nell’Area Interna”. La CTS da già appuntamento per la fine del mese di febbraio con l’aggiornamento dell’osservatorio al 2020 e la presentazione di altri due osservatori sulla demografia dell’area e sulla demografia aziendale che prende in esame tutte le altre tipologie d’impresa non rientranti nel campione delle società di capitali.