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Riflessioni sull’aumento di capitale della CRO: distanza funzionale e sviluppo locale

Come ampiamente pubblicizzato, la Fondazione deve valutare se sottoscrivere l’aumento di capitale della CRO (per totali 27 milioni di euro) che stante la partecipazione di oltre il 26% assomma a un impegno di circa 7 milioni. Cosa conviene fare? In questo contributo, non proverò a rispondere a questa domanda, cercherò invece, secondo me in maniera più utile, di evidenziare un criterio logico di ragionamento per evidenziare gli impatti in termini di supporto finanziario al territorio e di redditività/rischiosità del sistema creditizio. Per fare questo dovremmo avere la pazienza di definire ex-ante alcune punti attingendo dalla letteratura sulla localizzazione dei sistemi creditizi.

La variabile chiave è la distanza funzionale, interpretabile come distanza economica tra obiettivi e strategie dei centri decisionali del sistema bancario e le esigenze, le innovazioni, la crescita dei sistemi locali periferici. Il processo di globalizzazione-integrazione del sistema bancario solitamente non aumenta la distanza operativa, grazie alle nuove tecnologie (home-banking) ma spostando i centri nevralgici dei sistemi del credito, la testa pensante, e accentrandoli di fatto aumenta la distanza funzionale. Come gioca tale variabile su: a) supporto finanziario al territorio locale, b) rischiosità degli intermediari? Per rispondere bisogna fare delle ipotesi sulla strategia della banca: accolgo l’idea, molto ortodossa, che la banca massimizzi il rendimento per unità di rischio sul proprio attivo, ciò vuol dire che tiene conto – quando decide la politica del proprio portafoglio globalmente inteso – delle interrelazioni tra i singoli investimenti (in gergo: correlazioni o covarianze).

Si può ritenere che la distanza funzionale abbia rilievo sia per la performance della banca sia per lo sviluppo economico delle aree periferiche. La letteratura empirica sull’argomento rileva che se dopo lo spostamento geografico della parte decisionale della banca la stessa continua a operare sull’area la sua performance aggiustata per il rischio sarà inferiore relativamente agli impieghi sull’area originaria di una banca operante solo localmente. Ciò deriva dalla asimmetria informativa a favore delle banche locali: queste ultime hanno un sistema di valutazione del merito di credito che utilizza la loro prossimità ai prenditori di fondi, utilizzando anche variabili non necessariamente quantitative; al contrario le banche di grandi dimensioni delocalizzate quando valutano aziende operanti su piccole realtà locali utilizzano approcci basati esclusivamente su informazioni di tipo quantitativo che alimentano modelli statistico-probabilistici. Ma è poco plausibile che la banca che si decentra conservi la stessa allocazione degli investimenti: è pensabile, in base alla ipotesi fatta sulla strategia della banca (sulla sua funzione di utilità), che la stessa parallelamente alla delocalizzazione, amplifichi la diversificazione, riducendo il supporto finanziario locale e aumentando la redditiva per unità di rischio. Del resto vi anche un trade-off della diversificazione, conglomerati troppo diversificati implicano rischi endogeni che vanno attentamente valutati e controllati: come diceva Adriano gli imperi molto grandi sono difficili da gestire!

Quindi, è pensabile che la migrazione geografica e la concentrazione del potere bancario in pochi punti nevralgici implichino una maggiore diversificazione del portafoglio della banca, un minor peso dell’impegno locale e quindi un minor rischio globalmente inteso: da un punto di vista locale si avrà una minore offerta di mezzi finanziari, per cui un aumento del loro costo, e un processo d’accumulazione del capitale fisso meno inteso.   Inoltre, l’impatto della migrazione del potere bancario ha importanti esternalità negative: i centri di ricerca e formazione, gli studi legali, fiscali, di analisi finanziaria, si accentreranno c/o i nuovi centri; gli studenti delle scuole siti nei centri del potere bancario avranno più probabilità di assunzione. I manager bancari operanti al centro avranno più opportunità di crescita e d’influenza sulle strategie bancarie. A fronte di questo, il sistema finanziario sarà meno aleatorio; questa è invece una esternalità positiva – da non sottovalutare – del processo di delocalizzazione: una crisi bancaria si porta dietro perdite in conto capitale per i risparmiatori, un aumento dei tassi richiesti da parte di chi presta, frutto di una crescita dell’avversione al rischio.

Conclusioni. La banca con un’inferiore distanza funzionale dalla zona di elezione implicherà a) minor diversificazione rispetto alla banca globalizzata, per cui da questo punto di vista più rischio b) un maggior livello di supporto finanziario locale, ottenuto gestendo il rischio utilizzando l’asimmetria informativa a suo vantaggio data la prossimità alle imprese. Tali effetto è maggiore quando più il sistema presenta imprese di dimensioni contenute.

Fino qui l’arida analisi economica. Detto questo, si deve anche considerare se è pensabile che con un pacchetto azionario dell’ordine di un quarto del capitale sociale, sia ragionevole supporre che si possa influenzare significativamente il processo strategico della CRO nel senso d’accettare una sua maggiore aleatorietà gestionale a fronte di una maggiore offerta di finanza locale a tassi inferiori con un maggior supporto agli investimenti del settore produttivo.

Ricorderete che sono famoso per dire: preferirei di no!