1

Riflessioni a caldo dopo la manifestazione sulla sanità organizzata da giunta regionale e giunta comunale

Il 30 novembre non ho potuto essere in Consiglio comunale perché impegnato con il Festival di filosofia. Avevo chiesto altra data ma ormai, come è costume, Giunta e Presidenza decidono senza riunire i capigruppo tenendo solo conto di scadenze che portano sempre all’ultimo giorno. Ne riparleremo. Dunque scrivo ora perché c’era all’odg del Consiglio una mia interrogazione sulla discrepanza tra la mozione sulla sanità approvata all’unanimità dallo stesso Consiglio lo scorso 31 maggio e la DGR del 5 ottobre con cui la Giunta regionale ha proceduto ad una drastica operazione di riorganizzazione del sistema sanitario a fini di risparmio, che riduce i servizi in tutta l’Umbria ma colpisce in particolare Orvieto, peraltro già troppo sofferente. Forse sarebbe stato utile, se avessi potuto illustrare quell’interrogazione, sentire poi dalla viva voce della sindaca perché la decisione della Giunta regionale si è discostata così pesantemente dalle proposte che sono contenute in quella mozione del 31 maggio che esprime la volontà unanime dei rappresentanti del popolo orvietano. Forse quella volontà non è stata adeguatamente rappresentata alla presidente Tesei e all’assessore Coletto? O forse Tesei e Coletto non ne hanno avuto proprio nozione o, avendone, non se ne sono curati?

Non si tratta di cose di poco conto. Basti dire che quelle nostre proposte contenevano indicazioni come queste: 1. ruolo di servizio interregionale degli ospedali e dei servizi sanitari territoriali delle zone di confine, come è quella di Orvieto; 2. per l’ospedale di Orvieto non basta dire che resta la previsione di un DEA di primo livello, perché l’emergenza urgenza già da troppo tempo è restata sulla carta, mentre è necessario inserire il nostro ospedale nel sistema provinciale Terni-Narni Amelia-Orvieto con specializzazione di funzioni, ciò che può rendere il tutto funzionale e anche attrattivo verso le zone confinanti delle altre regioni con cui fare accordi, secondo una linea di governo da regione aperta; 3. assurdo e inaccettabile sopprimere il Distretto e togliere così ad Orvieto ogni ruolo nella concreta gestione programmatica e amministrativa della sanità umbra; 4. nessuna indicazione sulla funzionalità delle localizzazioni delle Case della comunità e degli Ospedali di comunità e tanto meno il rapporto funzionale di questi con l’ospedale territoriale.

Dunque un contrasto evidente di ciò che ha deciso la Giunta regionale rispetto alla volontà della città. Se oggi fossi potuto intervenire avrei non solo chiesto ragione di questo ma del fatto che nella manifestazione di ieri pomeriggio non c’è stata non dico una giustificazione ma nemmeno un tentativo di spiegazione. Dunque parliamo anche di questa manifestazione. Uso il termine manifestazione perché di questo si è trattato. Non un incontro aperto, in cui si fanno proposte, si illustrano progetti e poi si apre un confronto con tempi e modi congrui per interventi non improvvisati. No, sequenza di interventi programmati e alle 19,20, non prevista, la possibilità di intervenire. Sbagliato farlo in quelle condizioni. Sono due anni che io, ma non solo io, chiedo su temi di valore generale come la sanità di lavorare in modo sistematico confrontandoci fin dalla scaturigine dei problemi per individuare soluzioni condivise da far valere nelle sedi decisionali. Niente, mai niente. E ieri sera (29 nivembre ndr) se ne sono viste le conseguenze.

Di fronte all’impoverimento dei servizi sanitari, sia ospedalieri che territoriali, che si reggono sempre più sulla volontà, la competenza, la responsabilità e il sacrificio del personale, si è pensato bene di organizzare una manifestazione ibrida, un po’ di propaganda e un po’ di informazione, ma senza dare risposte né alla domanda stringente di servizi, che invocavano persone in carne ed ossa, né alle preoccupazioni sui temi aperti (la localizzazione della Casa della comunità e dell’Ospedale di comunità), sul futuro del nostro ospedale (in che senso territoriale, come e quando davvero DEA di primo livello), sulla sanità territoriale, sul perché della soppressione del Distretto.

Dalla sindaca all’assessore Coletto alla presidente Tesei è tornata la citazione della pandemia e della cattiva gestione della sanità del precedente governo regionale per giustificare le carenze che nemmeno loro possono più nascondere. E chi nega l’importanza dell’una e dell’altra cosa?! Ma questo schermo non regge alla prova dei fatti. Le slides presentate dal Direttore De Fino conterranno pure numeri importanti sia sui concorsi e sulle assunzioni del personale, sia sui livelli statistici di assistenza, sia sugli acquisti di tecnologie più moderne. L’assessore Coletto avrà pure ragione ad attribuire molti problemi di gestione della sanità regionale durante la pandemia al dirigismo del governo Conte e le difficoltà attuali di liste di attesa innegabilmente pesanti ad una pesante eredità. Ma a entrambi bisogna chiedere come mai ai numeri e agli sforzi dichiarati non corrispondono dei servizi percepiti, e anzi corrispondono lamenti diffusi di prestazioni difficili, dilazionati, spesso impossibili, e una transumanza sanitaria verso altri territori o verso la sanità privata, un fenomeno diffuso, che denuncia bisogni non soddisfatti, impoverimento e abbandono individuale e sociale.

Che dire poi di altri due aspetti davvero significativi, alla cui presentazione il direttore De Fino, lo ha detto lui stesso, teneva particolarmente: da una parte della città il progetto architettonico di Casa della salute ed Ospedale di comunità nell’ex Ospedale in piazza Duomo, e nella parte opposta della città, nell’ex mensa dell’ex Caserma Piave, l’idea anch’essa già strutturata di massima di una REMS (dirò tra poco di che cosa si tratta).

Del primo progetto si può dire che, se ci dovessimo fermare all’aspetto architettonico, siamo di fronte ad un tentativo di rilettura dell’esistente che rispetto alla destinazione sanitaria presenta spetti di reale interesse. Qualcuno si è subito entusiasmato, perché, ha detto, è bello e risponde ai miei desideri e alle mie battaglie. Si, ma come si colloca nel contesto? Come funzionerà l’accesso con i mezzi pubblici e quelli privati? Dove e come i parcheggi? Quale interferenza con le necessità dei servizi turistici di una città turistica? Soprattutto, quale relazione con le altre destinazioni degli altri complessi immobiliari, a partire proprio dall’ex Piave? Niente, nemmeno un cenno di risposta.

Del secondo, la REMS, innanzitutto si deve sapere di che cosa si tratta, per poi ragionare sulla sua compatibilità sia con la città sia con la sua specifica localizzazione. La definizione di che cosa si tratta è la seguente, essenziale ma chiara: “La residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza, in acronimo REMS (Residenza per l’Esecuzione della Misure di Sicurezza), in Italia, indica una struttura sanitaria di accoglienza per gli autori di reato affetti da disturbi mentali (infermi di mente) e socialmente pericolosi. La gestione interna è di esclusiva competenza sanitaria, poiché afferenti al Dipartimento di Salute Mentale delle ASL di competenza”. Non sembra una cosa buttata là, magari ancora solo ipotizzata ma che certamente non è stata detta in questa occasione tanto per dirla. Prima di ogni altra domanda sulle compatibilità occorre osservare che è un progetto che nasce fuori dalla città. Dove? In Giunta regionale? In Direzione generale ASL? Nasce fuori, viene calato dall’alto, viene presentato come cosa scontata senza uno straccio di discussione negli organismi di governo della città e del territorio. La sindaca lo sapeva e ha dato il placet? Stando al suo post sulla sua pagina fb, certamente si. La Giunta lo ha esaminato? L’assessore Mazzi lo sapeva? Il presidente Garbini lo sapeva? La maggioranza lo sapeva? Mi auguro che sentano il dovere di rispondere, perché questa storia che chi si alza la mattina decide che cosa deve diventare la città è ormai intollerabile. E comunque la Piave e tanto meno la città non è proprietà privata o di una parte politica. Le destinazioni degli edifici pubblici sono questione pubblica.

Un giorno arriva l’assessore Melasecche e dice che, siccome alla caserma Piave non si è capaci di fare qualcosa, allora tiè, mettiamoci le case popolari. Per fortuna in questa occasione pare che la sindaca abbia detto non se ne parla proprio. Poi ieri arriva il direttore De Fino e dice che, siccome un giorno qualcuno in Umbria decise di spendere soldi pubblici per comprare l’ex mensa dell’ex Piave, allora bisogna metterci qualcosa e, idea geniale, mettiamoci una bella REMS. Ma che siamo diventati?! Ecco dove si arriva quando per anni e anni si boicottano i progetti seri e si va avanti alla carlona senza uno straccio di visione di quale città vogliamo e di quali soluzioni riteniamo consone, necessarie e possibili.

Ma ci sono altre domande inevitabili. Una REMS, per sua stessa natura, è compatibile con una città come Orvieto? Una REMS, per sua stessa natura, quanto pregiudica o comunque condiziona le altre destinazioni dell’ex caserma? Ancora una volta si ha la netta sensazione non solo di una cosa fiondata dall’alto, già avallata dalla sindaca e probabilmente dall’amministrazione, ma comunque di cosa non studiata rispetto al contesto. Brutta sensazione, perché dentro un quadro in cui Orvieto conta poco o niente, subisce passivamente le decisioni e ottiene certo qualche briciola, ci mancherebbe!, e alla fine viene anche chiamata ad applaudire. Il bello è che c’è chi lo fa.

Davvero le domande di fondo allora sono due: che cosa sta succedendo? dove stiamo andando? Ieri sera c’è stato un piccolo segnale di risveglio civile, seppure organizzato. Non basta. La città deve ritrovare il senso di sé stessa. L’arrendevolezza non paga. L’indifferenza è deleteria. Il minimalismo è perdente. La città ormai è di fronte a sé stessa, al suo stesso destino: le responsabilità non consentono più piccole furbizie o comodi nascondigli.