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Quando i giovani hanno ragione a protestare e la strana decisione del ministro di ritornare agli scritti per la maturità

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Il 4 febbraio è stato il giorno della protesta degli studenti. Non il solito sciopero contro qualcosa a tutti i costi. La motivazione è di quelle serie: l’esame di maturità. Paura degli esami? Certamente, come tutti. Chi non ha mai avuto un incubo con protagonista l’esame di maturità. Questa volta la questione è più complessa. Il ministro si è “risvegliato” a fine gennaio per comunicare che a giugno gli esami si sarebbero svolti in presenza e con due prove scritte. E’ scoppiata la protesta e questa volta ci sentiamo di dire giustamente. Questa volta hanno sbagliato gli adulti, quelli che dovrebbero avere maggiore esperienza. Dopo un lungo, torpore durato un quadrimestre, il ministro all’improvviso comunica di aver deciso in splendida solitudine di tornare più o meno alla normalità anche per l’esame finale delle superiori. Nel frattempo nelle scuole, tornate con fatica a una parvenza di normalità e comunque in presenza fatte salve le quarantene sparse e frequenti, i docenti sono tornati a spiegare, interrogare come sempre. Ma, molti di loro non hanno previsto il risveglio del ministro e non hanno affrontato la questione della eventuale seconda prova scritta caratterizzante. Anche sulla prima, quella classica d’italiano, in molti casi si è lasciato correre.

Due semplici domande: perché a settembre il ministro non ha comunicato il tentativo di ritorno alla normalità anche per gli esami, salvo emergenze? E perché molti docenti non sono tornati effettivamente alla normalità guidando i loro studenti sulla strada della maturità, prove di compito finale comprese?

Ecco, questo è il problema. Questa volta il parallelo con il mondo dell’impresa è calzante. Di solito quando si disegnano scenari futuri ci si prepara a quello peggiore; in questo caso lo scenario “peggiore” è quello della seconda prova. Nel caso della scuola si è scelto di nicchiare, ma a vantaggio di chi? E ora perché a pagarne le conseguenze devono essere i giovani già messi duramente alla prova e danneggiati nella preparazione dal lungo lockdown e dalla “dad” passiva di questo ultimo biennio? Il ministro si spertica nel raccomandare “normalità” ma si dimentica della maturità fino a oltre metà anno, per poi comunicare che si farà tutto come prima, come se il biennio pandemico non fosse esistito e soprattutto come se le quarantene non ci fossero mai state anche in quest’anno scolastico. Una vera e propria normalità di facciata, che fa male alla scuola e soprattutto alla credibilità dell’istituzione.

La saggezza avrebbe dovuto far scegliere la via di mezzo con la prova di italiano confermata, anche perché la nostra lingua dal punto di vista grammaticale e sintattico dovrebbe essere già ben nota, per poi passare a una prova orale approfondita, seria e in presenza. E invece, no. Si è voluto tutto e subito e la reazione non poteva che essere quella di questi giorni da parte degli studenti: delusione, rabbia e richiesta di condivisione delle scelte, già condivisione, una parola che rischia di essere tremendamente vuota di significato nonostante sia fra le più citate nei discorsi ufficiali.

La manifestazione degli studenti a Perugia. Grazie a Umbriaon.it e al direttore responsabile Fabio Toni, ecco il video con l’intervista a Giorgio Tropeoli, coordinatore regionale degli studenti