Pio, l’uomo che regalava il buonumore

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Pio Ilice è stato un uomo e nello stesso tempo una meteora, una di quelle pietre ‘sparate’ dal cielo che piombano sulla terra per insegnarci qualcosa. Pio ha insegnato agli orvietani che la vita è un eterno contrasto tra ragione e fantasia. Lui al mattino doveva scendere dalla Rupe verso lo Scalo e per farlo imboccava in salita via Postierla, come fosse diretto al Duomo. Sotto il sole cocente d’agosto o col freddo che gli ghiacciava le medaglie esibite sul giaccone-divisa che al confronto il medagliere del generale Figliuolo sembra una collezione di tappi di birra, il buon Pio per andare giù, andava su. Un passo dopo l’altro, con fatica. L’automobilista orvietano mosso a pietà inevitabilmente accostava e l’invitava a entrare in macchina: ‘Pio, sali pure che anch’io vado verso il Duomo’. ‘Ma guarda che io non vado al Domez’, come lo chiamava lui in puro dialetto stranjus, la sua lingua. ‘Devo scendere allo Scaluz (Orvieto Scalo per noi umani), mi aspettano’. Inevitabile la domanda dello sconcertato automobilista: ‘Ma allora che ci fai a piedi in salita da tutt’altra parte?’. Ed ecco la lapidaria risposta del nostro Pio: ‘Dici bene tu, ma se mi avessi visto scendere da piazza Cahen di buon passo e senza fiatone non ti saresti mai fermato. Lo hai fatto, invece, avendomi notato sbuffare e soffrire in salita, dunque vuoi aiutarmi perché sei una brava persona. E allora dai, gira l’auto e portami giù dove devo andare. E fai in fretta che sono pure in ritardo’.

In un qualche pomeriggio di metà anni ottanta lo videro, berretto con la scritta ‘Comune di Rovereto’ in testa e le immancabili 14 medaglie in petto, seduto sul parapetto di tufo davanti alla facciata di San Giovenale. Stava parlando con Dario Fo che gli era in piedi davanti, ma lui lo chiamava ‘Foez’, naturalmente. Quest’ultimo prendeva appunti su un taccuino e non si perdeva neanche un’espressione verbale di Pio, il quale continuava a parlare, parlare, parlare. Sillabe e consonanti volavano in cielo come se piovesse. C’era di tutto, a metà tra le poesie di Aldo Palazzeschi, la celeberrima invettiva alle capre di Vittorio Sgarbi e i crognoli stretti tra i denti di uno che s’è appena dato accidentalmente una martellata sul dito. Al termine della prolusione, ‘Foez’ salutò con particolare deferenza Pio e chi transitò per caso vicino alla coppia sentì il grande uomo di teatro ringraziare l’altro con enfasi mista a gratitudine. Da quel pomeriggio il grammelot di Dario Fo fece un balzo in avanti quanto a qualità espressiva, la lingua foneticamente priva di senso ma ben comprensibile divenne proverbiale e nei teatri di mezzo mondo si registrò il tutto esaurito. Fu così che a Dario Fo, grazie all’aggiunta dello stranjus nel proprio bagaglio tecnico di straordinario interprete, venne conferito il Premio Nobel.

Sarebbe stato più che da Nobel l’intenso monologo di Pio sulle condizioni atmosferiche di Orvieto quando il suo talent scout televisivo, Giggione Pelliccia, lo chiamò al termine di ogni Tg di Teleannacquata, o come diavolo si chiama, a gestire la rubrica meteo. Pioggia battente o sole stempiante, Pio appariva immancabilmente con occhiale nero modello ‘Bugatti ma non ho la ruota di scorta’, berretta dismessa da Lucio Dalla e una litania che pareva scritta da Pasquale Panella per gli ultimi album di Lucio Battisti. L’incipit è di certo in qualche antologia della letteratura italiana: ‘Buona siens, su tutta l’Italia centrale, merionale, in Sicilia, Sardegna, in Scozia e anche in Svezia, tombolamenti e melegranate… ’. Più di un turista ospite in albergo a Orvieto si dava da fare per sintonizzare il canale, pensando a un’interferenza. Ma era tutto regolare.

Tutti ricordano il biglietto da visita che specificava le sue professioni: ‘Cartomante, chiromante, fotoromanzo, idrovolante’. Qualcuno ha anche avuto modo di scorgere la sua carta d’identità personale, del tutto simile a quella legale, che alla voce ‘nato il’ recava la scritta ’in data da destinarsi’. Si guadagnava da vivere lavorando e per alcuni mesi si attivò nel settore turistico vendendo ai visitatori quelle foto polaroid scaturite dalle macchinette fai-da-te che andavano di moda un tempo. Solo che erano immagini completamente nere, buio pesto, quasi fossero opere di Alberto Burri. A chi gli chiedeva conto della qualità del prodotto, Pio spiegava: ‘Ho messo a fuoco la macchinetta ma ero troppo vicino alla caserma dei pompieri e quelli sono accorsi subito’. Il turista, sconcertato, pagava le cento lire e oggi ha in casa un’opera d’arte che meriterebbe l’esposizione alla Biennale di Venezia. Pio Ilice una meteora su Orvieto, dicevamo. E’ giunto da chissà dove e alla morte è andato chissà dove. Però qui da noi ha dispensato una merce rara sulla Rupe, dove tutti ci prendiamo troppo sul serio. Ha regalato buonumore. Grazie Pio. Anzi ‘Gratiens Pius’.

Ringraziamo RTUAquesio per averci permesso di pubblicare i due video:

Le Estrazioni del Lotto
Le previsioni del tempo