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Paolo Li Donni, presidente CTS, “per provare a evitare il tramonto demografico bisogna agire subito”

L’impresa sociale Cittadinanza Territorio Sviluppo ha presentato un nuovo rapporto dedicato alla demografia e ai risvolti per l’economia dell’Area Interna Sud-Ovest orvietano, curato da Eleonora D’Urzo e Antonio Rossetti.  Il risultato è a dir poco dirompente perché mette a nudo una crisi, o meglio un calo demografico che ha inizio nel 2012 e che è strettamente legato all’economia asfittica del territorio ma in particolare del comune capofila e cioè Orvieto.  Non bastano neanche i nuovi residenti stranieri per riuscire a bilanciare questa perdita che rischia di connotare Orvieto come città al tramonto nonostante gli sforzi che vengono profusi per immaginarla come città viva.  I numeri raccontano un’altra storia, quella di una città dove non si fanno figli, con un’età media più alta di quella già importante dell’Italia e ancor più dell’Umbria e con i giovani che lasciano la piccola città di provincia per trovare lavoro fuori.  Con il presidente di Cittadinanza Territorio Sviluppo, Francesco Paolo Li Donni, abbiamo approfondito proprio la demografia e il suo andamento nel territorio e a Orvieto.

Come è l’andamento demografico del territorio e di Orvieto in questi anni.  E’ vero che il calo è ormai strutturale?

Negli ultimi anni in tutto il territorio italiano si è assistito ad un fenomeno di progressiva diminuzione dei residenti: nell’Area Interna questa tendenza decrescente, a partire dal 2012, è significativamente più consistente rispetto alla media umbra. Da sottolineare che Orvieto, il comune capofila, mostra una flessione dei residenti ancora peggiore rispetto alla media dell’area territoriale indagata. Tra il 2020 e il 2021 il solo Comune di Orvieto ha registrato un calo dei residenti dello 0,7% in linea con il resto dell’Area Interna ma lievemente superiore sia alla media umbra che a quella italiana.  I peggiori sul territorio sono Fabro, Castel Viscardo, Allerona, Alviano e Ficulle mentre sono solo Parrano, Porano e Giove hanno evidenziato variazioni positive dei residenti.

Ma gli stranieri hanno contribuito a mitigare questo calo demografico?

La componente straniera della popolazione, al contrario di quanto accadeva negli anni precedenti e in controtendenza rispetto alla situazione regionale e nazionale, aumenta lievemente con un’incidenza maggiore nei comuni più piccoli.  Al contrario si registra un calo del 12% a Castel Viscardo e del 9,6% a Allerona, solo per citare i più significativi.  Orvieto, invece, ha un’incidenza di stranieri del 9,7%, più alta della media dell’Area Interna e dell’Italia, ma inferiore a quella umbra.  Il risultato è che gli stranieri hanno indubbiamente addolcito una curva discendente che avrebbe potuto essere sicuramente più decisa.  

Una domanda da vero profano.  Qual è il rapporto che andrebbe a indicare un’inversione di tendenza?

La risposta è apparentemente semplice, aumentare il tasso di natalità e riportarlo almeno a due figli per coppia.  Qui iniziano i problemi.  Oggi è più difficile che in passato formare una famiglia e fare il primo figlio.  E’ aumentata l’età media delle neo-famiglie e, di conseguenza, del primo parto.

Perché c’è tato questo spostamento più avanti negli anni?

Sicuramente la parità di genere ha contribuito a spostare in avanti l’età in cui si forma una nuova famiglia perché si studia e l’ingresso nel mondo del lavoro avviene più tardi.  Lo stesso discorso vale anche per gli uomini.  Per quanto riguarda i figli una delle cause principali è da ricercare nella scarsità di servizi dedicati alla famiglia.  Secondo i dati ISTAT in Umbria solo il 54,3% dei comuni ha un asilo nido contro il 58% dell’Italia e il nostro paese non brilla in questa classifica in Europa.  A questo dobbiamo aggiungere anche i costi laddove i “nido” esistono.  Sono costi proibitivi e in quelli pubblici le esenzioni previste per fasce di reddito legate all’ISEE sono veramente basse, direi inadeguate allo stile di vita moderno.

Perché uno degli indici che indica maggiore malessere è quello del rapporto tra giovani e anziani?

Maggiore è il peso di chi è fuori del mondo del lavoro e più alta è la spesa legata alla previdenza sociale e alla salute. Il secondo punto riguarda i giovani.  Dove mancano giovani scarseggia anche la capacità di innovazione rendendo meno concorrenziale il sistema produttivo del Paese, o nel nostro caso, del territorio.  C’è poi un discorso squisitamente economico.  Le pensioni sono già “occupate” dalla spesa per l’aiuto dei propri figli o nipoti e non sono così alte da permettere contemporaneamente anche investimenti nel sistema produttivo. 

Ma quali sono le prospettive per il futuro anche a medio-lungo termine?

Il futuro soprattutto a medio-lungo termine non è roseo.  Le fasce d’età più anziane sono destinate a raddoppiare.  E’ vero, è aumentata l’aspettativa di vita ma con maggiori problemi di salute e in particolare per le donne.  Questo si traduce in un forte aumento della spesa previdenziale ma soprattutto della spesa sanitaria con un ricambio generazionale fortemente deficitario.

Quali sono le possibili chiavi di volta per tentare di invertire questa rotta che vede un mix altamente tossico di scarsa natalità, alta emigrazione giovanile e allungamento della vita media?

Rischio di essere ripetitiva ma per favorire nuove nascite sono necessari forti investimenti per la famiglia.  Indicherei come fondamentali orari di lavoro flessibili, sostegno all’occupazione femminile, congedi parentali paritari, sviluppo dello Smart working, costruzioni di poli sportivi, scolastici e artistici, una seria politica della casa, accesso al credito più facile e investimenti nelle infrastrutture di trasporto.  E’ una lunga lista di interventi assolutamente necessari se si vuole evitare il declino.  Rischia di essere tardi visto che è dal 2012 che tutti i report indicano un invecchiamento della popolazione e un contemporaneo calo delle nascite.  In Umbria la tendenza all’invecchiamento è ancora più marcata e a Orvieto ancora di più anche perché l’intera Regione non è molto ben collegata e negli ultimi anni la situazione è, se possibile, peggiorata.  E’ altrettanto chiaro che questi interventi hanno bisogno di tempo per essere attivati e poi per registrare effetti positivi che però, non sono scontati.