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Lettera aperta a Massimo Braganti, “chissà da dove partono gli umbri alla ricerca di servizi sanitari di qualità”

La sanità umbra è in sofferenza. I conti non tornano come dovrebbero e in particolare balza agli occhi una spesa da 3,3 milioni di euro per la cosiddetta mobilità passiva. In un articolo apparso sul quotidiano “La Nazione” a firma di Michele Nucci il direttore della sanità, Massimo Braganti ha spiegato che “da tre anni la Regione viene richiamata dal MEF per il trascinamento di perdite dai dodici mesi precedenti…”. Quali sono la cause? Certamente ci sono spese non controllate a dovere, come quella farmaceutica ma a ben vedere la mobilità passiva inizia a pesare ogni anno di più. Tanto per sgombrare il campo da illazioni politiche provenienti dall’attuale opposizione, il circolo vizioso è nato e cresciuto durante la gestione Marini per poi continuare nella sua escalation nel 2019, per la gran parte ancora in capo al centro-sinistra. Il covid ha dato la mazzata finale. Ma è colpa del virus? Perché la sanità umbra da eccellenza è diventata un punto debole? E’ così dappertutto? Veniamo al territorio orvietano: si è investito bene in questi anni? Si è pensato e programmato sui bisogni dei cittadini? E’ giusto spendere gran parte delle risorse per la creazione di un centro della salute a due passi dal Duomo? OrvietoLife vuole sapere e ha deciso di scrivere una lettera aperta al direttore regionale alla sanità e al welfare, Massimo Braganti.

Egr. dr. Massimo Braganti,

la notizia che ogni anno il saldo di bilancio tra spese verso altre regioni e incassi da altre regioni è in rosso per 3,3 milioni euro ha lasciato a bocca aperta molti, ma non tanto i cittadini di un’area, quella dell’orvietano, che ormai da anni subiscono le lentezze, la mancanza di professionalità mediche e la carenza di servizi nella sanità pubblica. Ci risulta, infatti, poco credibile che questi 3,3 milioni vengano spesi in maniera più o meno omogenea in tutta la Regione. Perugia e Terni hanno ospedali eccellenti e Foligno segue a ruota, tanto che la prima mobilità per gli orvietani è proprio verso questi tre hub regionali. Nulla da eccepire, si badi bene, in una Regione con poco più di 850 mila abitanti pretendere servizi sotto casa è fuori luogo. Alcune domande però ci girano nella testa; è giusto ragionare in termini meramente aziendali? Come mai il privato, invece, riesce a guadagnare e bene? Le patologie tempo-dipendenti vengono tenute nel giusto conto? La posizione geografica e logistica di Orvieto è stata ragionata bene?

Ragioniamo e cerchiamo di capire. L’area “Umbria ovest” è a scarsa presenza di presidi ospedalieri con unico riferimento l’ospedale di Orvieto. Dovrebbe essere una garanzia, anche perché a ben guardare il territorio è cerniera con altre due Regioni, che spesso afferiscono al Santa Maria della Stella per le prestazioni ospedaliere e specialistiche. Quindi il sistema sanitario umbro prende dal territorio con la mobilità passiva dell’Alto Lazio e della Bassa Toscana. Ma la Regione Umbria, intesa come politica, ha mai ragionato sul bacino d’utenza allargato, oppure si è fermata ai meri numeri dei Comuni del distretto? Insomma quando a Perugia si programma si ragiona sui circa 120 mila cittadini potenziali o su numeri sicuramente più bassi? Si è mai pensato ad Orvieto come “Porta dell’Umbria” vera e propria? Dal punto di vista degli investimenti nei trasporti e nella viabilità la risposta è più che chiara, assolutamente no, ma ciò sembra valere, purtroppo, anche in sanità.

A parte Terni, che per ovvie ragioni è un’eccellenza, poi abbiamo Foligno, con alcune specializzazioni di riferimento per l’intera USL Umbria2, Narni-Amelia che supportano il capoluogo, e a Orvieto? La programmazione sanitaria ha preso in considerazione i numeri della patologie croniche, acute e tempo-dipendenti in rapporto, ad esempio, all’età media della popolazione? Ha mai preso in considerazione i costi per il trasferimento di pazienti solo stabilizzati verso Terni per patologie cardiache acute? La mobilità passiva potrebbe addirittura aggravarsi se i cittadini provvedessero alle visite specialistiche e agli esami diagnostici presso strutture fuori Regione pubbliche. Invece in molti scelgono il privato, pagando di tasca propria, almeno chi può, per evitare liste d’attesa da tempi biblici. A proposito, il privato investe in mezzi e professionisti, spesso ex-pubblici, e il gioco vale la candela; perché lo stesso ragionamento non dovrebbe valere nel pubblico? E ancora, perché nel PNRR Umbria, certo poco più di una lista della spesa, gli investimenti nella sanità orvietana sono ridotti al lumicino? Un po’ di telemedicina, non si capisce bene come e con quale specializzazioni incluse, lavori di ristrutturazione del Pronto Soccorso, alcuni macchinari sostituiti (finalmente!) e poi un palazzo di grandissimo pregio vista Duomo, che verrà trasformato in centro salute e residenza diurna per anziani…Verrebbe da dire, tutto qui? 3,3 milioni di euro di mobilità passiva rischiano di crescere ogni anno in maniera esponenziale mettendo a rischio, alla fine, il sistema sanitario. Quali cittadini partono per i “viaggi della speranza” dall’Umbria, allora? E’ poco credibile che siano perugini o ternani o folignati o spoletini. Il territorio che negli anni ha perso appeal, professionalità e con adeguamenti tecnologici dell’ultimo minuto è Orvieto, almeno questo balza agli occhi.

Allora non si può sopportare chi si meraviglia di questo risultato. Non si può sopportare l’indignazione di un’opposizione che ha iniziato la “privatizzazione” dei servizi e il depauperamento professionale dell’ospedale di Orvieto; le liste d’attesa sono un problema annoso e molti primari top sono “andati via” in quegli anni. Oggi l’attuale maggioranza non ha cambiato lo schema, anzi lascia convivere pubblico e privato ma senza il filtro sociale della “convezione”, quindi chi può si cura e chi non può aspetta e prega. A questo punto non resta che attendere il nuovo Piano Sanitario Regionale per capire definitivamente verso quale sanità si vuole andare e soprattutto se e quanto è importante il territorio orvietano per l’Umbria.