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La sindrome cinese

Quanto accaduto in questi ultimi giorni con le manovre cinesi sull’isola di Taiwan è estremamente preoccupante per la pace e stabilità mondiale, già minati dall’aggressione russa dell’Ucraina e da un Medioriente che è costantemente a rischio polveriera. Le esercitazioni militari avvenute e le dichiarazioni del leader Xi Jinping, confermato da poche settimane presidente della Repubblica Popolare Cinese, con le quali esorta l’esercito a prepararsi ad un conflitto vero e non solo simulato, non lasciano presagire nulla di buono, non solo per Taipei ma per gli equilibri politici, strategici ed economici internazionali.
Fin dalla fondazione della Repubblica popolare nel 1949, quando i comunisti sconfissero i nazionalisti, il mantra cinese è stato e rimane “Esiste una sola Cina e Taiwan ne fa parte”. La domanda che ci si pone riguardo alla  aggressività cinese è se la difesa di Taiwan, messa in atto verbalmente dagli USA e dal suo presidente Biden, possa bastare ad essere il deterrente per non scatenare una guerra di aggressione e di riannessione del territorio taiwanese, che porterebbe la Cina a divenire definitivamente la potenza dominante dell’Asia.
In questo contesto sul piano strategico e diplomatico non si può non ricordare il disgelo avvenuto recentemente tra Iran ed Arabia Saudita, grazie ad i buoni auspici di Xi Jinping, con l’incontro dei ministri degli esteri dei due paesi, preludio alla riapertura delle ambasciate e dei rapporti diplomatici, avvenimento che non fa altro che rafforzare l’idea di una Cina sempre più al centro di strategie di potere a livello mondiale.
Allo stesso tempo la presenza di Vladimir Putin alle scorse Olimpiadi invernali di Pechino 2022, terminate qualche giorno prima dell’aggressione russa all’Ucraina, lasciano pensare che la stessa aggressione abbia avuto la benedizione(o quanto meno la consapevolezza)del leader cinese, rafforzando ancora l’immagine della Cina attiva su scala mondiale.
La stessa recente visita di Xi Jinping a Mosca, con un piano di pace da proporre al leader russo per fermare le ostilità, propone sempre di più la tigre asiatica come interlocutore di primissimo piano a livello planetario.
L’ Europa intanto sul  tema-Taiwan si mostra debole  con la Germania che lancia un generico “appello alla calma” e con il leader francese Emmanuel Macron, alle prese con un crisi interna senza precedenti sul tema riforma delle pensioni, che si smarca anche lui affermando che l’Europa non si deve far coinvolgere in una crisi lontana dagli interessi del vecchio continente e prendendo le distanze dall’amministrazione USA che invece, nei propositi, sembrerebbe voler difendere Taiwan.
Il dubbio che ci si pone e’sapere fino a che punto e fin  dove si spingerà Biden nell’intento di proteggere l’autonomia dell’isola. Sicuramente, come afferma il Segretario di Stato Blinken, una crisi  avrebbe effetti dirompenti sull’economia globale, ma viene da chiedersi piuttosto: chi pensa ai cittadini di Taiwan, alla loro incolumità fisica ed al pericolo di rimanere vittime di un paese brutale come la Cina, che non tutela e non tiene in considerazione i diritti umani in alcuna maniera?
A peggiorare il quadro le ultime rivelazioni emerse in seguito al caso della giovane talpa americana Jack Texeira, che tra i documenti riservati del Pentagono ne diffonde uno attraverso il quale si parla di un test missilistico compiuto lo scorso 25 febbraio  dai cinesi, i quali hanno lanciato un razzo che ha volato per 12 minuti coprendo 2100 km, con alta probabilità di penetrare i sistemi di difesa antimissilistica americani.
Dopo le immagini alle quali stiamo assistendo quotidianamente che ci arrivano dall’Ucraina di morte e distruzione, di tutto avremmo bisogno meno che di un conflitto nel cuore dell’Asia che ci riporti allo stesso drammatico scenario.