Il Kosovo in fiamme

Il grido di dolore lanciato dal premier del Kosovo Kurti, nel corso del ricevimento presso la nostra ambasciata a Pristina nel giorno della festa della Repubblica 2 giugno, è il corollario di una serie di eventi gravi avvenuti nel corso di questi ultimi giorni nello Stato balcanico.
34 i militari della KFOR, la forza Nato cui è affidata la sicurezza del Kosovo, feriti nei duri scontri avvenuti a Zvecan, paese a maggioranza etnica serba dove i kosovari albanesi sono spesso costretti a “mimetizzarsi” per non incorrere in rappresaglie e non rischiare di subire violenze dai serbi.
La miccia che ha scatenato i disordini è stato l’insediamento di tre nuovi  sindaci di etnia albanese in località a fortissima maggiorana serba, Zvecan inclusa e che ha portato la stessa ad insorgere contro i militari Nato e la polizia kosovara, intente a proteggere le sedi comunali invase dai manifestanti. La denuncia di Kurti è circostanziata, non a caso espressa presso una sede italiana, dal momento che a capo della missione KFOR vi è proprio l’Esercito Italiano e che 14 dei 34 soldati colpiti dai facinorosi sono del 9 Reggimento Alpini L’Aquila di stanza nei Balcani.

L’Europa, afferma il premier Kurti, non può lasciare solo il giovane stato kosovaro, proclamatosi indipendente nel 2008, sorto dopo la disgregazione della ex Jugoslavia ed a seguito della guerra tra Serbia e Nato del 1999 nel corso della quale il regime serbo di Milosevic aveva espulso tutti gli abitanti albanesi dai suoi confini mentre sui bosniaci si accaniva con una pulizia etnica che causò stragi di portata immensa come quella di Sebrenica e crimini di guerra di inaudita ferocia.
Un Europa che al momento, alle prese con l’invasione russa dell’Ucraina, non ha di certo intenzione di aprire un nuovo fronte nei Balcani e che tutto sommato non prende così a cuore la questione serbo-kosovara, ma che in ogni caso schiera come forze di interposizione 700 uomini provenienti da 27 paesi.
Quello che è indiscutibile, come unica ragione adotta dai serbi, è che una elezione disertata dal 97%della popolazione non può certo essere ritenuta valida e per questo tanto Macron che Scholz hanno chiesto la ripetizione delle consultazioni e Kurti si è detto disponibile a ripeterle.
D’altro canto i precedenti e l’aggressività serba permettono a Kurti di perorare la causa del suo paese con forza e con ampie e giustificate ragioni, anche in virtù di un filoatlantismo ed europeismo che a lui appartengono e non sono di certo patrimonio ideologico del governo di Belgrado, tanto più che la Serbia è fiera alleata della Russia di Putin.
Il dato incontrovertibile e che comunque quest’area di Europa non riesce a trovare una stabilità ormai da oltre un secolo e che le crisi balcaniche, fomentate da nazionalismi esasperati, ciclicamente, fanno ripiombare il nostro continente in una polveriera pericolosa e sono vicine ai nostri confini.
Ecco perché il Kosovo in fiamme dovrebbe preoccupare tutti noi e non farci stare sereni, visti soprattutto i precedenti di 20 anni orsono e quanto accaduto in Bosnia, a causa del governo del criminale serbo Milosevic.