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Il Crescendo politico? Contraddittorio e a caro prezzo per il contribuente

La storia del Crescendo nasce lontano nel tempo e di sicuro quanto espresso, almeno in termini di aspettative a partire dal nome, non si è poi verificato nel corso dei 22 anni di vita del consorzio di sviluppo. Tanti sono infatti gli anni trascorsi dal quel 1999 quando l’allora sindaco di Orvieto, Stefano Cimicchi, insieme ad altri colleghi del territorio diedero vita a questo veicolo di spesa pubblica destinata a rivitalizzare o concepire aree produttive, con l’obiettivo di aumentare l’occupazione nel territorio orvietano e creare infrastrutture al servizio del sistema imprenditoriale. Da allora sono stati spesi non meno di 8 milioni di euro (tra debiti accumulati e capitale versato dai soci) oltre 360mila euro ogni anno dal 1999 ad oggi. I risultati di questa spesa pubblica sono certamente residuali targando questa esperienza politica con il marchio peggiore, ovvero quello dello spreco di denaro pubblico. Oggi più che mai, travolti dalla crisi del COVID, possiamo cogliere quanto 8 milioni di euro avrebbero potuto rappresentare un ottimo viatico allo sviluppo territoriale purché spesi con criterio. Invece a 22 anni di distanza l’Orvietano continua a elemosinare la banda internet e la fibra, non ha collegamenti ferroviari veloci e tanto altro. Come si dice il tempo è denaro e in questi 22 anni poco è stato fatto e molto è stato sperperato. 

La scorsa settimana il consigliere Stefano Olimpieri ha riproposto politicamente il tema Crescendo addirittura con una mozione in Consiglio comunale per decretarne il “definitivo superamento” grazie al “cambiamento” voluto dalla giunta Tardani che sta, a suo dire, così mettendo la parola fine al “sistema di potere attraverso associazioni società e consorzi strumentali ad estendere ….i tentacoli – della politica di sinistra – sulla città e sul territorio”. Difficilmente si può essere in disaccordo con il giudizio storico di Olimpieri, soprattutto perchè quella stagione di “spesa allegra” oggi non sarebbe più possibile e di certo si stenta a coglierne il risultato in termini di investimento. Tuttavia la mozione di Olimpieri, almeno per la vicenda Crescendo, appare fuori tempo massimo, ridondante e insensata

Se infatti le conclusioni sulla pessima gestione politica della spesa pubblica attraverso l’articolato sistema delle partecipate concepito nel corso dell’ultimo ventennio sono condivisibili e lampanti, risulta comunque essere tardive e altresì ridondanti dato che, per il Crescendo, questa analisi fu fatta e suggellata con la messa in liquidazione dall’allora Giunta Concina ad Orvieto insieme agli altri Comuni del territorio già nel 2013. Addirittura la messa in liquidazione ad Orvieto fu firmata dal vice sindaco di quella Giunta, Roberta Tardani. Di fatto quella decisione pose fine alla fallimentare esperienza del Consorzio grazie anche ad un consenso trasversale che vide le giunte di sinistra che seguirono confermarne l’esito e soprattutto la soluzione. Allora si scelse la liquidazione per mettere un freno alla spesa, fin lì fuori controllo, e preservare il patrimonio accumulato nel Consorzio minimizzando così l’impatto futuro delle perdite sui conti dei Comuni e dei contribuenti. 

Se invece si approfondisce l’analisi dei documenti societari (statuto e bilanci) del Consorzio Crescendo, la mozione di Olimpieri è si legittima, come l’ha giustamente definita Matteo Tonelli nel suo editoriale “Crescendo, con il fallimento rischio debito e blocco attività produttive” pubblicato su questa testata lo scorso 22 agosto, ma risulta essere del tutto insensata. Si vuole infatti giustificare la richiesta di fallimento da parte del Comune di Orvieto con la necessità di terminare l’esperienza del Consorzio Crescendo perché improduttiva e soprattutto perché onerosa per le casse del Comune che nel bilancio consuntivo, appena discusso, ha dovuto accantonare 360mila euro per coprire/sanare la sua esposizione nel Consorzio.  Ciò che stona oltre che a chiedere il fallimento non sia un creditore bensì un socio e per di più debitore (il Comune di Orvieto), è che questa valutazione politica ancorché tecnico-economica sia stata già presa nel 2013 dalla Giunta Concina e dall’allora vice sindaco Roberta Tardani. Cosa è cambiato da allora ad oggi e soprattutto cosa ha fatto cambiare idea alla maggioranza che il sindaco Tardani guida con piglio solerte su un tema così ben conosciuto? 

I fatti e i numeri non aiutano certo a comprendere questo cambiamento di rotta ma, soprattutto, impongono un ulteriore quesito: Cui prodest? Di certo non conviene al contribuente e di seguito proverò a darne qualche evidenza oggettiva.

Il Comune ha accantonato circa 360mila euro a fronte di un suo debito potenziale risultante dal bilancio 2020 di circa 607mila euro. Questo perché è stata contabilizzata la compensazione tra le partite a credito e a debito del Comune nei confronti del Consorzio. Infatti dal bilancio del Comune risultano sia un credito di 288.400 euro per IMU sia un debito di 40.298 euro relativo alle quote 2019 e 2020. La compensazione di tutte queste partite dà appunto il risultato di un debito per il Comune di Orvieto pari a circa 360.000 euro. Un approccio contabile corretto se in costanza di liquidazione, nel senso che è solo con la liquidazione che può essere ipotizzata una compensazione delle partite di credito e debito. 

Con il fallimento la musica cambia e di molto. Mentre il liquidatore ha la facoltà ed i poteri statutari di transare ed accettare compensazioni di partite, il curatore fallimentare non ha questa facoltà. Il curatore fallimentare deve seguire una sequenza molto rigida nelle operazioni fallimentari, deve prima incassare tutti i crediti e liquidare tutte le attività e, solo dopo con il ricavato saldare, per intero o pro quota secondo le disponibilità, tutti i creditori. Tutto ciò comunque mai e poi mai con compensazione di partite, come proposto dall’approccio contabile del bilancio consuntivo comunale appena approvato. In caso di fallimento il debito che il curatore richiederebbe al Comune di Orvieto non sarebbe pari all’accantonamento previsto di 360mila euro, bensì sarebbe di 607.000 più 40.298, quindi poco meno di 650.000 euro.

E’ vero che con il fallimento cesserebbe l’esborso annuo della quota annuale del Comune di Orvieto quale socio del Consorzio, ma sul punto va fatta una valutazione tra costi e benefici: è vantaggioso pagare 650mila euro tutti e subito, piuttosto che accantonarne a riserva solo 360mila per risparmiarne 20.000 all’anno (valore della quota sociale del Comune di Orvieto)?

A questo primo quesito la risposta sembrerebbe scontata ma di sicuro renderebbe già insensata la richiesta di fallimento da parte del Comune. Eppure l’insensatezza appare ancora più evidente e pesante per le tasche del contribuente se la valutazione dell’impatto di questo cambio di rotta politica della Giunta Tradani sul futuro del Crescendo si focalizza sull’attivo del Consorzio, ovvero sui suoi asset immobiliari. Dall’ultimo bilancio del 2020 il Consorzio dichiara all’attivo un patrimonio immobiliare da liquidare di circa 3,8 milioni di euro e altri beni per circa 800mila euro. Un tesoretto che si è via via assottigliato e che, per esempio, nel 2018 ha consentito attraverso alcune vendite di immobili e transazioni di debiti un utile di gestione del Consorzio Crescendo. In fondo dei 22 anni di spesa pubblica attraverso il Consorzio ai Comuni e, di conseguenza, ai contribuenti cosa resta se non almeno il patrimonio? Nel 2013 La politica aveva giustamente sentenziato: basta con gli sprechi e la spesa improduttiva e tuteliamo almeno il patrimonio, minimizzando le perdite. Con il fallimento questa tutela verrebbe di fatto a mancare mentre sarebbe certa una svalutazione degli asset immobiliari da aggiudicare attraverso aste pubbliche.

Se fin qui la liquidazione ha consentito cessioni a prezzi congrui, senza svalutazioni selvagge, il fallimento aprirebbe la strada ad aggiudicazioni al ribasso da parte di imprenditori che, seppur interessati, oggi si vedono aperta la strada ad una possibile aggiudicazione del patrimonio del Crescendo a prezzi di saldi di fine stagione

Se oggi i 3,8 milioni di asset immobiliari venissero liquidati il saldo negativo in quota parte a carico del Comune di Orvieto (13,4%) sarebbe ben inferiore ai 360mila accantonati, mentre è lecito pensare che la procedura fallimentare porti ad una svalutazione tra il 60 e il 70% degli asset triplicando l’esborso (ben oltre i 600mila euro) per i comuni e i contribuenti che secondo l’Art. 25 dello Statuto del Crescendo sono chiamati a coprire dette perdite. Oltre al danno di una spesa pubblica senza alcuna valore d’investimento il contribuente verrebbe così ulteriormente beffato vedendo ancora una volta “socializzate” le perdite e “privatizzati” gli utili con patrimoni ceduti al mercato a prezzi di saldi e senza oneri.

Concludo aggiungendo che se la mozione del consigliere Olimpieri è tardiva e ridondante come insensata è l’avallo della maggioranza e del sindaco Tardani, ancor più assordante è il silenzio di una minoranza che sulla questione ha marcato visita al Consiglio comunale e che sul fatto non proferisce ancora parola.

Cosa sta accadendo alla politica orvietana?