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I coccodrilli “piangono” sulla privatizzazione della sanità e il cittadino paga

Sanità vero punto dolente del nostro territorio.  Non solo di Orvieto perché, e la consolazione è piuttosto magra, anche altrove le liste d’attesa per alcuni esami diagnostici sono lunghissime e gli screening languono.  A dire il vero bisogna sottolineare che alcuni screening di prevenzione oncologica sono comunque stati effettuati ma in molti hanno rinviato per timore del virus. 

Torniamo al territorio orvietano, da tempo penalizzato nelle scelte e che continua ad esserlo.  Basta scorrere velocemente la propria pagina FB per imbattersi praticamente con cadenza quotidiana in post che testimoniano i gravi ritardi per esami e visite specialistiche nelle strutture pubbliche.  Sì, in quelle pubbliche perché ormai, più o meno apertamente, già in fase di prenotazione viene “suggerito” di rivolgersi al privato.  E allora le domande da porsi sono due: è giusto che il privato si sostituisca al pubblico? La politica, e in particolare l’opposizione, perché non interviene in maniera determinata e anche dura se necessario?

Alla prima domanda la risposta è piuttosto evidente, “no”, mille volte “no”.  Il privato giustamente fa il proprio lavoro, investe ed è pronto ad accogliere le legittime richieste di visita, ma deve essere una libera scelta del cittadino.  Non è possibile che si sostituisca la sanità pubblica, gratuita o in concorso di spesa, con quella privata a totale carico del cittadino.  Si parla da tempo di una “privatizzazione” del sistema sanitario umbro strisciante ma sempre più evidente; allora che si faccia in convenzione ma assicurando il primato delle strutture pubbliche con seri investimenti in mezzi e personale. 

Alla seconda domanda la risposta deve essere necessariamente più complessa.  In Umbria abbiamo votato per le regionali con anticipo per i problemi legati proprio alla sanità utilizzata come “ufficio di collocamento degli amici” e la sinistra ha perso le elezioni perché si è resa poco credibile.  L’attuale centro-destra si è presentata spiegando di voler rendere un servizio di eccellenza ai cittadini.  Oggi non è proprio così.  Diminuiscono i servizi, si tagliano presidi e il cittadino soffre.  Il paragone con il Veneto non può valere.  Anche orograficamente l’Umbria è totalmente diversa e le distanze sono ampliate dalla difficoltà nei collegamenti stradali in particolare per alcuni territori, e tra questi c’è sicuramente l’orvietano che avrebbe il vantaggio di avere una struttura ospedaliera che però è in sofferenza per persone e mezzi ma soprattutto per la risposta ad eventuali emergenze e urgenze.  Anche il Veneto entra in sofferenza nell’area montana per motivi simili, così come la Lombardia.  E poi c’è la questione dei numeri.  Non si possono legare le prestazioni esclusivamente alla massa degli interventi e della popolazione, si deve superare questo metodo o almeno si deve inserire quello delle patologie tempo-dipendenti, altrimenti si rischia un peggioramento delle condizioni di vita di un intero territorio se non di un’intera Regione

Per l’attuale opposizione il gioco sembrerebbe apparentemente facile, ma poi, basta andare a ritroso nel tempo, rileggere i dossier delle tante commissioni locali e regionali, per rendersi conto che il processo di privatizzazione era iniziato ben prima e senza paracadute per i meno abbienti.  Ma soprattutto che alcuni territori sono stati impoveriti da tempo.  L’unica USL, prima della ulteriore riforma, ad essere sacrificata fu quella di Orvieto, dai bilanci in equilibrio e con cespiti di tutto rispetto; il nuovo ospedale è stato inaugurato già vecchio; il turn-over dei primari assomiglia molto a quello dei calciatori delle squadre di Serie A di secondo livello e quindi non si è assicurata una crescita sia delle prestazioni che professionale; al centro dei ragionamenti politici c’è Perugia, poi Terni e ancora Foligno, mentre all’orvietano restano le briciole con interventi spot di maquillage che nascondono i difetti ma solo per un breve periodo di tempo.  E Orvieto? E gli orvietani?  Sembrano rassegnati a subire il progressivo e non più lento impoverimento di servizi sul territorio, quasi senza colpo ferire.  Se poi piangono in particolare i coccodrilli allora la reazione non s’innesca.  Nella vicina Pantalla in una domenica assolata e post-lockdown, i cittadini si sono messi a manifestare di fronte all’ospedale insieme ai sindacati, tutti, senza distinzione politica, per difendere un bene comune.  Basterebbe prendere esempio da lì facendo rete, una parola quasi sconosciuta nella Città del tufo, ma che oggi è necessaria per tentare di non perdere ulteriori servizi di primaria importanza e perché vengano rispettati le decisioni unanimi del consiglio regionale in materia di urgenze sanitarie e crescita professionale dell’ospedale.