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Gli effetti distorsivi del mercato immobiliare orvietano. Una città a misura delle banche

L’andamento del mercato immobiliare di Orvieto continua ad essere sostenuto, con flessioni molto meno consistenti rispetto a quelle registrate altrove negli anni della crisi. Orvieto è infatti una delle città umbre in cui le case hanno il costo maggiore; al momento attuale il prezzo al metro quadrato è quasi il doppio rispetto a quello del capoluogo di provincia. I motivi per i quali si registra ormai da molto tempo questa tendenza che, a prima vista, appare in forte contraddizione con la generalizzata stagnazione demografica di cui Orvieto soffre fin dalla seconda metà degli anni Sessanta, sono molteplici. Lo sviluppo urbanistico degli anni Novanta e Duemila, innanzitutto, è stato piuttosto contenuto o, perlomeno, non marcato come avvenuto in altri centri della regione o della provincia. Non si è dunque creata una situazione di eccesso di offerta immobiliare, l’invenduto è rimasto quantitativamente contenuto e non si è innescata un dinamica di calo dei prezzi per aumento dell’offerta.  La leggera riduzione dei prezzi delle case degli ultimi tre-quattro anni è stata infatti solo la conseguenza fisiologica della situazione economica generale. Pur non crescendo la popolazione, si registra però una domanda di residenzialità anche “esogena”  che, soprattutto dopo il covid, si indirizza verso certe tipologie di immobili (casali, case di pregio con spazi verdi) che sono limitate nel numero e che anzi stanno terminando e che, nel caso del centro storico, scontano un naturale contingentamento. Nel caso del centro poi, giocano un ruolo non secondario anche altri fattori come l’elevato numero di abitazioni vuote ma non disponibili per vari motivi (circa 200 secondo una stima di alcuni anni fa) e le tante abitazioni non disponibili nè per la vendita e nè per la locazione perchè trasformate in bed and breakfast, secondo una tendenza alla crisi della disponibilità per le locazioni che ha da tempo assunto dimensioni molto critiche nei centri storici di città a forte vocazione turistica come Firenze e Venezia, modificando lo stesso assetto sociale di queste città, super popolate di turisti, ma sempre più svuotate di residenti. Nel complesso c’è insomma una forte strozzatura sul fronte dell’offerta a fronte di una domanda che continua comunque ad essere presente pur non generando espansione demografica.

Avere un mercato immobiliare con prezzi alti non rappresenta necessariamente un male, anzi. Le città in cui le case costano poco sono di solito quelle in cui nessuno vuole andare a abitare e che subiscono lo spopolamento. Nel caso di Orvieto però ci sono altre considerazioni che sono collegate alla necessità prioritaria di adottare efficaci politiche per il ripopolamento e per le quali è evidentemente opportuno avere un mercato immobiliare abbordabile. Ripopolare Orvieto significa rendere più basso il prezzo degli immobili e per farlo è necessario rendere disponibili nuovi abitazioni, ristrutturando o costruendone ex novo.

Oltre ad azzoppare ogni tentativo di rilancio demografico, un mercato delle abitazioni così alto produce un altro effetto distorsivo del quale si parla troppo poco e che riguarda l’economia del territorio.  Se Terni ha prezzi di mercato delle case che sono circa la metà di quelli di Orvieto, ad esempio, accadono alcune cose a cascata.  Significa, ad esempio che se una famiglia ternana e una famiglia orvietana con lo stesso reddito decidono di accendere un mutuo per comprare una casa, quella ternana avrà nel tempo un esborso per le rate del mutuo che sarà circa la metà di quella orvietana. La famiglia ternana potrà dunque destinare, almeno in teoria, una parte del proprio reddito alle spese per consumi e per investimenti che sarà il doppio di quella orvietana, decisamente più impegnata finanziariamente a pagarsi la casa.  La bassissima propensione agli investimenti di Orvieto ha anche questa spiegazione, insieme ad altre.   E’ dunque evidente come sia l’intero sistema economico ad andare in sofferenza per questa fossilizzazione verso l’alto del mercato immobiliare locale mentre a beneficiare di questa situazione sono ovviamente le banche che, da sempre, considerano Orvieto una preziosa riserva di caccia per la raccolta del risparmio, considerando la somma monstre dei 550 milioni di euro che sono depositati qui nei conti correnti, cioè in una forma del tutto improduttiva per i correntisti. Una riserva finanziaria di tutto rispetto che, altro amaro paradosso, si trasforma da anni in attività creditizia che finanzia lo sviluppo di altri territori in cui la propensione all’investimento esiste ed è molto più dinamica come alcune zone della provincia di Roma, stando ad una analisi contenuta in un numero del Bollettino economico orvietano di pochi anni fa. Orvieto crea insomma zero sviluppo, ma la dimensione ormai patologica del suo risparmio privato favorisce la crescita di altre città.  Abbiamo costruito un microcosmo economico che incentiva solo gli interessi delle banche, fatto apposta per scoraggiare famiglie e crescita oltre che per drenare risparmio all’esterno del territorio. 

Forse è arrivato il momento di accendere un faro sulle storture endemiche di un modello che non funziona perchè è dagli anni Sessanta che mette in fuga i giovani e ha trasformato la città in un bell’ospizio. Come uscire da questa empasse? Ammesso che si possano superare le difficoltà di un sistema politico-sociale-culturale che ruota solo intorno al valore della conservazione e della promozione dell’esistente, ma è estraneo all’idea della crescita, l’intervento per mettere sotto controllo il prezzo degli immobili potrebbe prevedere un coinvolgimento maggiore dell’Ater (da quanto tempo non investe su Orvieto?), ma anche qualche accorta operazione di urbanistica contrattata, per collaborare con il mondo delle imprese ed avere in cambio immobili da usare in operazione di housing sociale (locazioni a prezzi concordati o vendite a prezzi calmierati). Non vogliamo creare nuove edificato? Pensiamo ad un piano di recupero dell’edilizia esistente. Prima di tutto però bisognerebbe capire se queste cose ci interessano o se siamo solo intenzionati a continuare nella gestione del declino.