1

Giobbe uomo dei nostri tempi

Vorrei iniziare questa riflessione citando un libro che recentemente ho letto “Il grido di Giobbe” di Massimo Recalcati. Un libro provocante ma al tempo stesso consolante, perché affronta una materia scottante, cioè l’universale scandalo del male e della sofferenza. Perché il male? Perché il male nel mondo? Perché esiste la sofferenza? Perché soffrire senza colpa le sventure della vita? Sono interrogativi difficili che emergono con inquietante ansia nel tentativo di trovare una risposta alle domande più antiche che l’umanità si pone e di dare un significato al perché dei tanti momenti drammatici della vita che colpiscono noi personalmente ed il mondo intero. Durante la nostra esistenza sperimentiamo gioie e dolori, felicità e tribolazioni, angosce morali e spirituali, e nessuno, per quanti sforzi possa fare, riesce ad evitare o allontanare sofferenze e patimenti. Nessuno può ritenersi esente dal provare questi dolorosi periodi esistenziali. Anzi, ogni volta che il dolore bussa al nostro cuore, ci poniamo la domanda: “Perché è successo proprio a me?”, “Che cosa ho fatto di male per meritare questi guai, io che ho sempre agito onestamente e secondo giustizia?” E facciamo fatica a reagire alla sofferenza, ad accettare il dolore come maestro di vita che ci rende più forti. Viviamo in un mondo complesso in continua evoluzione, tormentato da tanti e lunghi conflitti, da quelli mediatici, come la guerra in Ucraina, ad altri più silenziosi, come per esempio quelli nel Corno d’Africa, in Siria, nella Repubblica Democratica del Congo e l’elenco sarebbe lungo e forse mai completo. Le vicende belliche che attualmente ci attanagliano sono di una drammaticità impressionante. Quando i media ci mostrano le immagini di morte e distruzione, opera della perversa logica della guerra, ci viene spontaneo gridare “Perché tanta sofferenza, tanta ingiustizia e soprattutto perché infierire con tanta disumana crudeltà verso persone innocenti e bambini?”, “Che senso ha tutto questo? che colpa hanno commesso i bambini per essere vittime di tanta ferocia?” “Perché le disgrazie succedono quasi sempre alle persone buone e difficilmente ai malvagi?” Il senso del dolore, in questi casi, è drammaticamente inspiegabile. La storia dell’uomo, con tutto il suo peso di sofferenza e di morte, è nei piani di Dio e non di un crudele destino e nessuna sofferenza, nell’ottica cristiana, appare inutile, insensata, perché il dolore umano non è mai senza significato. Il grido degli innocenti è il grido di Giobbe, l’uomo di tutti i tempi, direi nostro contemporaneo, l’inviato-portavoce del grido dell’umanità. Il testo biblico del Libro di Giobbe ci presenta la storia di un uomo giusto, un benestante, timorato di Dio, che improvvisamente viene messo alla prova con molte e orrende sciagure e avversità: dalla perdita delle ricchezze e dei figli, alle malattie inguaribili. Giobbe, tormentato dai patimenti e dalle tribolazioni, si chiede: “Cosa ho fatto di male perché Dio mi punisce così?” É il canto del dolore che l’uomo giusto ripetutamente rivolge a Dio senza riceverne una risposta, se non alla fine. Giobbe non ha perduto mai la fede, nemmeno nelle circostanze più drammatiche che lo hanno messo a dura prova. Pur schiacciato dal dolore, rimase saldo nella fede, la sola che lo aveva sostenuto. L’uomo ha il coraggio di chiedere a Dio il motivo del suo tanto soffrire e sorretto, dalla sua grande fede, alla moglie che lo rimproverava, dice che “Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare anche il male?” E tra patimenti e tribolazioni sussurrava la sua invocazione: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore”. Dall’esempio di Giobbe impariamo che la sofferenza è sempre una spiacevole esperienza, specialmente quando la riteniamo ingiusta. Solo Dio può trasformarla in una occasione di purificazione e redenzione se la nostra risposta alle avversità prende a modello il comportamento paziente di Giobbe che mai maledì né rinnegò Dio, né lo accusò di alcuna ingiustizia, pur ritenendolo artefice del suo immenso dolore! L’atteggiamento di Giobbe ci dimostra che la fede si prova e si misura nelle avversità. Non si incontra Dio solo nella gioia ma anche nella sventura e nella protesta che il dolore suscita nel nostro cuore. A volte abbiamo la sensazione che la vita ci abbia tolto qualcosa di caro, di indispensabile, allora proviamo delusione e rabbia, accusando Dio di averci procurato tanta sofferenza. Non consideriamo che quanto ci accade sono esperienze preziose per la nostra crescita umana e spirituale e deve esserci di conforto il sapere che Dio non permetterà di tentarci oltre le nostre forze. A chi chiedeva il perché della presenza del male nel mondo San Pio da Pietralcina rispondeva, con il suo tono bonario, presentando un esempio tratto dalla vita concreta: “C’è una mamma che sta ricamando una tela; il suo bambino, seduto su uno sgabello basso, osserva il suo lavoro, ma capovolto. Vede i tanti nodi del ricamo, i fili confusi, i colori mescolati…e dice “Mamma si può capire che fai? È così poco chiaro il tuo lavoro!”. Allora la mamma abbassa il telaio e mostra la parte bella del suo lavoro. Ogni colore è al suo posto e la varietà dei fili si compone nell’armonia del disegno. Noi vediamo il rovescio del ricamo. Siamo seduti sullo sgabello basso…(e come dire) Dio scrive dritto sulle righe storte”. Nessuno ama il dolore, ma è inevitabile non incontrarlo nella vita: ecco che bisogna essere preparati a viverlo. Nel Magistero della Chiesa abbiamo, a tal proposito, un magnifico documento, la lettera apostolica scritta da San Giovanni Paolo II, Salvifici Doloris, pubblicata nel febbraio 1984 e dedicata al tema della sofferenza umana. Papa Wojtyla, con delicata sensibilità, parla al cuore di coloro che, a causa della malattia, rischiano di perdere la fede ed esorta quanti si trovano in situazioni di dolore a vivere cristianamente il mistero della sofferenza, perché è un’importante testimonianza che può aiutare molti ad affrontare con serenità tutti i momenti della vita, soprattutto i più difficili e penosi. A conclusione di questa breve riflessione desidero riportare alcune espressioni che ho trovato in un libro letto tanti anni fa e che rappresentano una sintesi che prolunga la nostra meditazione sul mistero della sofferenza: “L’esperienza del dolore è una provocazione molto forte al senso dell’esistenza….Avere la forza di dire: Io sono più grande del dolore che vivo, perché trovo il segreto della mia esistenza nell’arrendermi non tanto alla sofferenza, alla malattia, all’ingiustizia, ma a Colui che dà senso a ogni esistenza, che di ogni esistenza è la speranza assoluta. A questo punto il dolore purifica, segna la vita, fa trovare le vie della preghiera e della solidarietà, può diventare persino una missione.

Quanti cristiani sono capaci di questo!” (G.Moioli, La Parola della Croce, Ed. Viboldone, 1985, pp. 158-159)