Dalla città-cartolina al nuovo welfare culturale

Tutte le ‘città-cartolina’ come Orvieto sono delle icone culturali dove il turismo assume un ruolo leader nell’economia. Qui la varietà delle esperienze offerte ai turisti è concentrata sulla risonanza dei suoi maggiori attrattori che, man mano, stanno perdendo il loro ruolo consolidato. Minore vivacità e creatività intellettuale, staticità dello stile di vita, questi sono solo alcuni dei limiti che denunciano queste città per le quali non si prevedono cambiamenti significativi in futuro. 

In molte città italiane si sta sperimentando quello che viene definito il nuovo ‘welfare culturale’ che è la capacità di riscoprire il Patrimonio storico-artistico, rendendolo più efficace e coinvolgente. In questi anni assistiamo ad una forte crescita del turismo culturale in tutto il mondo e la tendenza delle città d’arte è appunto quella di offrire migliori servizi per restituire bellezza e attrattività ai monumenti. 

L’arte -commenta il pittore messicano José Orozco (1883-1949) – ha una funzione sociale ed esprime qualcosa che il suo tempo e la sua terra cercano di dire, qualcosa di profetico…”.  Nel 2018 il Comune di Orvieto riproponeva il progetto ‘Orvieto Città Narrante rivolgendosi a “un pubblico motivato e sempre più interessato al viaggio d’esperienza”.  Aumenta infatti il numero di coloro che viaggiano guidati da una motivazione profonda: quando partono sanno perché lo fanno e perché hanno scelto una determinata destinazione. Chi mette piede sulla Rupe deve poterci trovare molto di più che la solita città-cartolina dove basta un colpo di flash dai telefonini per dire di esserci stati! 

Nella Città narrante, dall’identità ben definita, i visitatori dovevano incontrare qualcosa di particolare, di unico, in una frase “lo spettacolo della storia nel suo tessuto vivo e coinvolgente per rivelare e far vivere ai visitatori i più alti contenuti storici e artistici della città”. Ma per realizzare tutto ci occorre una nuova visione.   L’Italia, il Paese più noto al mondo per i Beni culturali, è al penultimo posto riguardo gli investimenti destinati a una migliore fruizione del Patrimonio. Francia e Regno Unito, per esempio, hanno in media un ritorno economico dai loro gioielli tra 4 e 7 volte superiore a quello italiano. Senza andare molto lontano, c’è il fenomeno turistico di Civita che vanta un numero di visitatori paganti all’anno pari a più del doppio di quello del Duomo e del Pozzo di san Patrizio messi insieme. 

Tra la logica del business, da una parte, e la politica della conservazione, dall’altra, c’è dunque bisogno di valorizzare meglio e di più i nostri impareggiabili tesori, in linea con quanto sancito dall’articolo 6 del Codice dei beni culturali e del paesaggioche definisce la valorizzazione come “la disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale…al fine di promuovere lo sviluppo della cultura”. Qui il concetto di valorizzazione culturale va ben oltre l’ingresso ai monumenti promosso attraverso il tradizionale pacchetto turistico. 

Nel turismo moderno a prevalere è invece la dimensione esperienziale del nostro Patrimonio che deve trasformarsi in uno strumento vivo di conoscenza meravigliosa ed inaspettata. In questo caso l’Arte non è fine a se stessa, deve arrivare alla gente, giungere alla mente e allo spirito delle persone. Essa ha la funzione educativa di elevare lo stato d’essere di chi guarda, in pratica “serve a diventare cittadini, a divertirci e commuoverci, a imparare un alfabeto di conoscenze ed emozioni essenziali per abitare questo nostro mondo restando umani” (T. Montanari, storico dell’arte). 

Emerge allora il compito delle Istituzioni che, insieme a quello di conservare e amministrare il Patrimonio a loro affidato, sono chiamate ad essere ‘diffusori’ di contenuti che non si identificano con le conoscenze culturali in senso stretto, ma hanno a che fare con quei ‘significati’ e ‘valori’ etici dei Beni culturali che sono destinati a tutti, turisti e cittadini, facendo della bellezza un nobile strumento educativo a servizio della pubblica utilità, del bene comune, dell’universale. 

Orvieto non è un museo. Il suo Patrimonio deve essere abitato, vissuto, vivo ogni giorno. Sta a noi, alla nostra creatività e al nostro lavoro, continuare a farlo vivere nel tempo per aiutare le opportunità sociali ed economiche della città. Noi orvietani abbiamo un patrimonio culturale straordinario che tutto il mondo ci ammira, “onore e vanto della Nazione”, e che dobbiamo certamente custodire “finche il mondo duri”, ma che dobbiamo anche riscoprire e promuovere con nuove progettualità.  Orvieto si identifica con i suoi Beni culturali e Ambientali perché sottolinea Sergio Mattarella al convegno “Città d’arte 3.0, il futuro delle Città d’arte in Italia” – è la storia che li ha plasmati e che compone il dna delle nostre città, è l’osmosi tra natura e opera dell’uomo che ha formato i tessuti urbani, definito i paesaggi, dato vita a un modello sociale e una civiltà. È questa la nuova identità del Welfare culturale, un nuovo modello integrato di promozione dell’Arte e del Territorio per la crescita, il benessere e la salute degli individui e della comunità a cui appartengono.