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Crescendo, con il fallimento rischio debito e blocco attività produttive

Nell’ultima riunione del Consiglio Comunale del 19 agosto scorso, insieme all’approvazione del bilancio consuntivo del Comune è stata votata dal Consiglio un’altra importante decisione, comprensibilmente passata in secondo piano rispetto all’Atto centrale di quella riunione che era il bilancio consuntivo, ma non per questo meno significativa per le sue possibili implicazioni future.

Mi riferisco alla decisione di proporre su iniziativa del Comune di Orvieto l’istanza per il fallimento del Consorzio Crescendo già in liquidazione volontaria.

Senza voler entrare nel merito della decisione, trattandosi di un atto di indirizzo politico ed in quanto tale comunque legittimo e rispettabile, è opportuno chiedersi se l’auspicato fallimento del Consorzio Crescendo sia davvero la migliore soluzione possibile per arrivare alla chiusura dell’esperienza; è opportuno chiedersi soprattutto quali potrebbero essere sotto il profilo pratico le implicazioni e le conseguenze del fallimento dell’Ente, perché il fallimento è evidentemente una procedura molto diversa dalla liquidazione volontaria.

D’altra parte, se la motivazione della scelta risiede nella volontà politica di chiudere l’esperienza negativa del Consorzio Crescendo, si può osservare che questa esperienza si è già conclusa nel 2013 con la decisione dei Soci di metterlo in liquidazione volontaria, quindi invocare oggi il fallimento del Consorzio per “chiudere quell’esperienza” appare fuori tempo e fuori luogo.

Tornando al tema delle conseguenze derivanti dall’apertura del fallimento, la più ovvia e la più immediata consiste nell’obbligo per i soci di ripianare le passività del Consorzio, come peraltro è ben noto al Consiglio Comunale visto che nella risoluzione che è stata votata è ben spiegato che nel conto consuntivo 2020 del Comune sono appostati circa 376.000 € al fondo accantonamento per perdite delle partecipate, “somma che rappresenta l’importo che il Comune di Orvieto dovrebbe sborsare per chiudere definitivamente la propria avventura all’interno del Crescendo”.  

In primo luogo, osservo che l’appostamento al Fondo accantonamento per perdite delle partecipate non può essere definito “un fatto politico innovativo” visto che è un preciso obbligo di Legge al quale il bilancio del Comune deve adeguarsi, ed inoltre una cosa è “accantonare al fondo per perdite” la somma di 376.000 € (forse abbondantemente sottostimata) altra e ben diversa cosa sarebbe l’obbligo di effettivo esborso della stessa cifra. In concreto, mentre oggi il Comune di Orvieto “rischia” di dover sborsare 376.000 € con la dichiarazione di fallimento dovrebbe pagare immediatamente quella cifra.

Altro effetto potenzialmente dannoso che deriverebbe dal fallimento consisterebbe nella sostanziale indisponibilità dei beni ancora di proprietà del Consorzio, che si ricorda sono formati da aree e immobili a destinazione produttiva dislocati in diversi Comuni del territorio. Infatti, mentre con la liquidazione volontaria i liquidatori hanno la facoltà di vendere i beni di proprietà senza particolari formalità, come è avvenuto in questo periodo di liquidazione durante la quale è stata venduta buona parte dei beni, il curatore fallimentare non può procedere alle vendite prima di aver inventariato e stimato il valore dell’attivo e prima di aver completato la procedura di accertamento dello stato passivo ed è tenuto a rispettare rigide e laboriose procedure per la vendita, attività che richiedono tempi tecnici certamente ultrannuali durante i quali le aree e gli immobili sono di fatto indisponibili. Questo potrebbe comportare che quei Comuni dove le aree produttive sono esclusivamente quelle di proprietà del Consorzio, si troverebbero sprovvisti di aree destinate ad attività produttive, di fatto impossibilitati ad acconsentire a qualunque ipotesi di avvio di attività imprenditoriali, con l’unica alternativa quella di individuare autonomamente altre aree con i tempi ed i costi conseguenti al loro adeguamento.

Io non so se queste valutazioni siano state fatte prima di votare la proposta di chiedere il fallimento, non so se ci sia stato un confronto con gli altri Soci del Consorzio, non so se siano stati interpellati preventivamente i Liquidatori, che ricordo sono Professionisti indipendenti di grande esperienza e comprovata competenza, per conoscere lo stato e la prevista evoluzione della liquidazione, ma se tutto ciò non fosse stato fatto e la decisione fosse stata presa solo sulla base di convinzioni e valutazioni di carattere squisitamente politico, allora ci potrebbe essere il rischio che la decisione potrebbe a posteriori rivelarsi avventata e frettolosa.

Ripeto, un atto di indirizzo politico è sempre per sua natura legittimo e rispettabile al di là delle diverse opinioni, ma deve sempre essere accompagnato e sostenuto anche da valutazioni di carattere pratico soprattutto sulle sue possibili implicazioni future, altrimenti lasciandosi trascinare dalla smania di sfoltire l’albero si corre il rischio di perdere un po’ di lucidità e segare il ramo dove si sta seduti.