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“Botto di una notte di mezza estate”, tra sogno e realtà a rischiare è la Città.

Se nella più famosa opera di Shakespeare, Sogno d’una notte di mezza estate, mito fiaba e quotidianità si intersecano continuamente senza soluzione di continuità, rivelandoci un teorema sul nonsense della vita degli uomini, l’annosa vertenza sul futuro della cava di Basalto in località La Spicca, come abbiamo già avuto modo di scrivere, rischia di far fare il botto alla città di Orvieto e alla politica orvietana. Ambientalismo ideologico, insipienza politica e private logiche immobiliari stanno trasformando una ventennale vertenza giuridico-legale in un vero pastrocchio. Per descrivere meglio questa madornale sbandata della politica locale e regionale nella gestione dello sviluppo economico-territoriale dovremmo prendere in prestito il numero 32 di Dylan Dog, che parafrasando il celebre drammaturgo inglese, titolava “Incubo di una notte di mezza estate”.  Lo stato dell’arte della vertenza è il seguente. A fine giugno la Concessione che autorizzava l’estrazione di basalto in capo alla società Basalto la Spicca scadrà. Questa Concessione per lo sfruttamento del sottosuolo nasce a metà dello scorso secolo con la società SECE e l’attuale proprietà la rileva dal concordato preventivo nel  2016 e, vista la scadenza di giugno 2022, ne ha chiesto nel 2019 il rinnovo con un nuovo progetto di ampliamento del sedime estrattivo e per un periodo di ulteriori 20 anni. Tra lungaggini, ritardi e ricorsi, l’iter autorizzativo dal 2019 è giunto sino ad oggi con la pubblicazione delle osservazioni da parte degli Amici del Botto a cui si aggiungeranno probabilmente le contro deduzioni della Basalto La Spicca. La Regione a questo punto potrebbe chiedere delle integrazioni e, se tutto filasse liscio, ci troveremmo a fine maggio, ma il condizionale è d’obbligo visti i precedenti. A questo punto si aprirebbe la Conferenza dei Servizi per chiudere il Paur (Procedimento Autorizzativo Unico Regionale) che ha massimo 90 giorni per accettare o negare l’autorizzazione. Ovviamente nel secondo caso la Concessione verrebbe a terminare e la società se volesse comunque proseguire nelle sue attività, dovrebbe iniziare dal principio innescando un nuovo iter autorizzativo su rinnovate basi progettuali e nel mentre interrompere ogni attività estrattiva nell’attesa del responso. Visto i precedenti è plausibile ipotizzare almeno 24/36 mesi di tempo per arrivare sino in fondo. Nel primo caso invece, ovvero nell’ipotesi che il Paur addivenisse all’autorizzazione dell’attuale richiesta di ampliamento e durata della concessione, si potrebbe comunque paventare uno stop delle attività di almeno due mesi visto che i 90 giorni, se iniziassero dai primi di giugno, terminerebbero tra la fine di Agosto e i primi di Settembre. Per i 20 dipendenti della Basalto La Spicca e le loro famiglie si preannuncia un’estate torrida e a tremare con loro sono anche i dipendenti di tutto l’indotto non meno di 75 dipendenti. Fermo restando l’esito del procedimento autorizzativo, per nulla scontato, sarebbe auspicabile che il tutto, nel rispetto dei procedimenti e della necessaria trasparenza, possa avvenire nel più breve tempo possibile e nel caso specifico entro la fine di Giugno. Rientrare in questi tempi è ovviamente un tema eminentemente di volontà politica. La vicenda della Basalto La Spicca ci suggerisce comunque delle riflessioni  e degli interrogativi di carattere generale che è utile fissare per inquadrare e valutare le ipotesi di politica economica a valere ad Orvieto e più in generale in Umbria.

Gli Amici degli Amici del Botto
Le osservazioni presentate dagli Amici del Botto fanno riferimento a 13 persone e un’associazione. Tra questi, si legge nel testo indirizzato alla Regione Umbria, solo 4 sarebbero gli amici direttamente interessati dalle attività della cava perché proprietari di abitazioni in prossimità del sito estrattivo. Tra questi amici non può che spiccare un nome su tutti, l’Amico degli Amici del Botto, il “cittadino orvietano” che da oltre un decennio chiamando a sé e sostenendo  numerosi proseliti e altisonanti consulenti legali nazionali e locali si batte per far chiudere la Cava in località La Spicca. Stiamo parlando del cittadino italiano Fausto Giori, classe 1938, residente in Svizzera a Crans-Montana. E’ suo il Ricorso al Tar contro la SECE dell’imprenditore Fiaschi presentato già nel 2008 dall’avvocato orvietano Fausto Cerulli e il perugino Paolo Mamaroni. Allora le ragioni del Giori, dapprima accolte dal Tar, furono respinte dal Consiglio di Stato e il “cittadino orvietano” residente in Svizzera fu “graziato” dalla proprietà della cava da una causa per danni per aver contribuito con la sua azione legale al fermo operativo temporaneo dell’impianto. Così gli dev’essere sembrato necessario alzare il tiro e coinvolgere nella battaglia un vero Principe del foro come l’avvocato Alessandro Botto, ex Consigliere di Stato e Capo di Gabinetto e Consigliere legislativo di vari ministri oltre che professore alla LUISS. Con lui, se non bastava, anche l’avvocato e professore Antonio D’Arcangelo, tutti domiciliati presso lo studio dell’Avv. Manfredi Maglio di Perugia. Dell’orvietano Cerulli si sono perse le tracce, mentre all’ultima ora è comparso un altro nome di spicco tra i legali della Rupe, quello di Simona Sacripanti sorella del più noto consigliere leghista Andrea che proprio in Consiglio Comunale nel dibattito sulla ratifica dell’accordo di copianificazione del 25/03/2021,“Accertamento dei giacimenti di cava”, della L.R. 2/2000, richiesto dalla Basalto La Spicca aveva espresso un problema tecnico e la necessità di rinviarne l’approvazione per approfondirne con l’Assessore Mazza gli aspetti peculiari del progetto. Insomma non propriamente un’armata Brancaleone, piuttosto una vera e propria macchina da guerra legale assistita da altri consulenti tecnici che a giudicare dai nomi e dai numeri dovrebbe anche costare molto. Un costo probabilmente da moltiplicare per tutti i ricorsi presentati separatamente, altri 3 (Zenobi, Duthler e Amici della Terra), sempre con la stessa compagine legale. Infine si sono aggiunte le tante associazioni ambientaliste, 14 sigle,  che affollano la Tuscia allargata all’orvietano lavorando come cassa di risonanza attraverso una fitta comunicazione a mezzo stampa. Non bisogna poi tralasciare l’ultima ma necessaria, ai fini della battaglia legale, costituzione con forma giuridica associativa dello stesso Comitato Amici del Botto. Insomma non siamo davanti ad un semplice comitato di cittadini residenti, bensì è evidente l’impegno e la regia professionale che il Giori e pochi altri hanno messo in campo da quando hanno acquistato le loro proprietà immobiliari. La domanda sorge spontanea: ma dalla Svizzera quando il signor Giori è sceso a valle per investire nella campagna orvietana non si era accorto che lì vicino c’èra la Cava? E poi, prima di scatenare cotanta tempesta legale,  ha mai incontrato operai e proprietà per ricercare un punto di incontro o un compromesso? 

La decrescita felice degli Amici del Botto
Al coro degli Amici del Botto si è aggiunto quello del Coordinamento delle Associazioni ambientaliste contrarie al prosieguo della Cava. In un loro comunicato scrivono testualmente: “ furono i PD (Bracco e Pesaresi) che sconfessarono una vecchia impostazione sulla crescita dell’Orvietano e tracciarono un interessante quanto stimolante profilo di sviluppo orientato al turismo e alla conservazione di veri giacimenti inesauribili quali il paesaggio, la cultura e le tradizioni dei luoghi. Fu la contrapposizione, certamente non ideologica, ma reale e già in atto, fra le civiltà della pietra e quella degli uomini, fra la concentrazione di grandi economie in poche mani e la diffusione di un reddito frammentato fra agriturismi, aziende agricole, attività legate alla cultura, strutture ricettive finalmente rese possibili da apposite leggi di incentivazione”. Un riferimento storico (2009) preciso che ha fortemente incentrato lo sviluppo regionale in tal senso ma tra le righe si legge altresì una lettura fortemente ideologizzata che intravede nell’Industria e in determinate attività un rischio di accentramento economico e di qualità. Volendo però tralasciare l’ideologia e soffermandoci al dato di economia politica citato, si possono fare alcune doverose quanto interessanti osservazioni. Se è vero che in tutti questi anni tanto è stato fatto e soprattutto incentivato sul fronte agro-turistico ricettivo nell’orvietano e non solo, bisogna anche poterne valutare i risultati e le dinamiche produttive. I numeri della ricettività in termini di posti disponibili sono certamente aumentati e molti di questi posti sono proprio quelli relativi agli Agriturismi e ai B&B, ma se ci si sofferma sulla percentuale di utilizzo degli stessi prima, durante e dopo il Covid questa non eccede il 20%. La questione è presto detta. O c’è un enorme sommerso che sfugge alle registrazioni delle presenze oppure, com’è più probabile che sia, dopo aver fatto tanto nella direzione dell’offerta è necessario concentrarsi sul fronte della domanda, stimolandola con offerte e servizi qualificati che possono differenziare il tipo di utenza e soprattutto portandola sul nostro territorio garantendogli infrastrutture di collegamento adeguate (fermata del Freccia Rossa, collegamenti diretti con Fiumicino, Ciampino e Civitavecchia, tutti hub turistici di rilevanza). Infine a voler puntare tutto sul Turismo si rischia e non poco. Purtroppo la cronaca di questi anni ci ha insegnato molto in tal senso: i giacimenti turistici sono risorse preziose ma soggette a numerose variabili esterne che ne possono improvvisamente mitigare i flussi ingenerando pericolosi gap produttivi. Le pandemie e purtroppo anche i conflitti stanno producendo simili effetti. Una politica economica più prudente dovrebbe suggerire semmai di garantire al territorio un mix produttivo più equilibrato e soprattutto capace di assorbire eventuali crisi di filiera. Nel caso dell’orvietano inoltre è assurdo parlare di concentrazione economica quando sono praticamente assenti grandi e medie imprese. Semmai il problema del nostro territorio è l’eccessiva frammentazione che, a determinati livelli, crea una forte limitazione nella garanzia di adeguati standard produttivi e di servizio in ogni settore ivi compreso il turismo.  

Soprintendenza ad orologeria
La Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria è praticamente al collasso”. A lanciare l’allarme fu nel maggio 2020 la soprintendente ad interim Rosaria Mencarelli, secondo cui l’ente stava lavorando in una situazione di grave carenza di personale che impediva alla soprintendenza di far fronte alle tante richieste di autorizzazione. Eppure il sospetto che per alcuni, dicasi semplici cittadini, l’Ente rappresenti un complesso quanto lento apparato burocratico, mentre per altri, dicasi associazioni ambientaliste, un solerte e utile “vigilantes” a chiamata è reale. Nel nostro caso non poteva mancare il Vincolo della Soprintendenza che è arrivato puntuale e con una celerità “svizzera”. L’oggetto del vincolo è un manufatto all’interno di un casale per cui vi sarebbe un interesse storico archeologico degno, evidentemente, di tutela. Ciò che stride invece è che dal 2008 ad oggi nessuno si era accorto di quel casale lasciando che l’attività estrattiva arrivasse addirittura a lambirlo. Poi eccoti il vincolo nel bel mezzo di un procedimento autorizzativo così complesso come il Paur e soprattutto in una fase così avanzata. Come si dice: a pensar male si fa peccato, ma spesso….. Nei giorni scorsi avevamo dato la notizia di una sentenza storica del Consiglio di Stato che ha sbloccato un progetto di impianto fotovoltaico nel viterbese interrotto nel suo iter autorizzativo e di realizzazione proprio da un vincolo della locale Soprintendenza, intervenuto dopo il via libera di tutti gli altri Enti. Un altro esempio che vede il vincolo della Soprintendenza intervenire a gamba tesa senza un’adeguata logica di concertazione in capo a tutti gli Enti coinvolti nei processi autorizzativi.

Salvaguardia ambientale si. Ambientalismo ideologico no grazie
La salvaguardia ambientale non è banalmente una priorità, piuttosto una fondamentale necessità. Ma ogni interpretazione ideologica di un buon principio ne deturpa di fatto il significato più puro e profondo del principio stesso. La Convenzione europea del paesaggio si pone l’obiettivo di “… garantire il governo del paesaggio al fine di orientare e di armonizzare le sue trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed ambientali“, e non di conservarlo immutato. Lo scorso venerdì a Roma si è svolta una manifestazione dei “Cittadini per l’Italia Rinnovabile”, un comitato di recente costituzione formato da cittadine e cittadini, attivisti, giornalisti, professionisti, esperti e operatori delle rinnovabili e rappresentanti di associazioni ambientaliste. Tra essi molte firme di autorevoli ecologisti italiani. Gli organizzatori lamentano che la svolta “rinnovabile” in Italia viene bloccata da un decennio con l’uso strumentale della burocrazia, e con il pretesto dei vincoli paesaggistici, e spesso con altre motivazioni non più accettabili. Incredibile perchè lo stesso si potrebbe dire sul caso della Basalto La Spicca dove i lavoratori e gli imprenditori chiedono di poter lavorare e intraprendere nel rispetto delle regole poste a tutela della Salvaguardia ambientale e che nel settore estrattivo-minerario non sono certo poche e banali. Tutto ciò mentre indefessi comitati del “No” continuano da anni a boicottarne l’operato e il futuro attraverso l’uso strumentale della burocrazia, delle lungaggini procedurali e dei mille ricorsi. Forse c’è un po’ di confusione? Soprattutto bisognerebbe una volta per tutte garantire percorsi certi e celeri a quelle imprese che dimostrano nei fatti di saper rispettare le complicate procedure di salvaguardia ambientale e contemporaneamente che garantiscono posti di lavoro qualificati e duraturi.